di Fabrizio Prina
Pietro Augusto Cassina nasce a Torino il 03 febbraio del 1913 e vi muore il 02 aprile 1999.
Su sua richiesta, volle che non prima dello scadere dei vent’anni dalla scomparsa, si allestissero mostre ed eventi per ricordarne l’opera e la vita (impegno puntualmente rispettato tranne che in un paio di occasioni richieste da importanti Istituzioni italiane).
L’ho conosciuto a metà degli anni ’60, ancora giovane studente del liceo artistico e posso affermare che mai fece cenno al ‘dopo’ se non negli ultimissimi tempi quando, sia pure con il suo inconfondibile tono scherzoso, mi citò con divertita teatralità e riferendosi alla morte, un verso a lui caro di Christian Chabanis:
“Non sei una nemica,
e non sei neppure un’amica:
sei il luogo nel quale finisce l’ignoto,
perché io sono un mistero a me stesso
solo fino all’ora in cui tu strappi il velo…”
Pietro, all’età di 8 anni si perse in un bosco e venne ritrovato il giorno successivo in stato confusionale e colpito da un evidente strabismo. Questo ‘difetto’ visivo caratterizzò il suo modo di percepire la realtà e di trasfonderla negli anni successivi, una volta maturata l’ispirazione, nelle sue opere pittoriche.
A 15 anni, per paura di essere punito per aver mostrato un’immagine della Maja desnuda, capolavoro di Francisco Goya, ad una compagna di scuola, decide insieme a lei di fuggire. Rintracciati dopo un paio di settimane, superata Ventimiglia e ormai prossimi al confine francese raggiunto a piedi da Torino, vengono consegnati alle rispettive famiglie dalla polizia ma Pietro, per volontà del padre, autoritario ufficiale dell’esercito, viene rinchiuso nel riformatorio Cesare Beccaria di Milano, dove rimarrà per 4 anni.
Inizia così la sua lunga e travagliata vita che lo vedrà di volta in volta vittima innocente di ingiuste persecuzioni culminate, per aver difeso una ragazzina dalle volgari angherie di un gruppo di giovani avanguardisti fascisti, nella condanna a 9 anni di reclusione nella struttura manicomiale della Certosa di Collegno.
In questa terribile esperienza gli fu d’aiuto la sua immensa passione per il disegno e la pittura che lo portarono ben presto ad essere ammirato e universalmente riconosciuto come uno dei più significativi artisti del ‘900.
Fu liberato nel ’45 grazie al suo amico Vittorio Bottino, direttore di importanti testate giornalistiche e dell’ANSA, che, accolto a bordo di un carrarmato americano, partecipò allo sfondamento del muro di cinta del manicomio, facendolo fuggire.
I tratti salienti della vita di Pietro sono ben narrati nell’ultimo libro biografico a lui dedicato “Luminosa polvere d’oro”, Castelvecchi Editore, scritto da Giovanni Cordero, critico d’arte, psicologo, docente presso l’Università la ‘Sapienza di Roma’ e già dirigente presso la Soprintendenza per i Beni Artistici e Ambientali del Ministero della Pubblica Istruzione.
Si capisce così perché Pietro non abbia mai amato le luci della ribalta ed anzi scelto quali unici interlocutori i pennelli, i colori, le pareti del suo Studio.
Nel suo voluto romitaggio non é stato minimamente sfiorato dagli ‘ismi’ delle cosiddette avanguardie dell’epoca, fino al punto di rifiutare l’invito di Patrice Leleu, responsabile artistico della ‘Galerie Salammbo’ di Parigi, ad esporre permanentemente le sue opere accanto a quelle di Buffet, Dalì, Samanos, Roth, Toffoli e Picasso.
Un’idea del suo ‘gesto creativo’ la si può ben cogliere da un video realizzato nel 1990 dall’Archivio Storico ‘FA-VI & LU’ di cui io stesso ho fatto parte con gli amici esperti d’arte Vittorio Marino e Luisa Brusini. Ne riporto di seguito l’accesso web: https://youtu.be/_euluvvGzz4
E qui…per concludere questo primo ‘incontro’ con il nostro amato Pietro, sempre idealmente presente e pronto ad ascoltarci, rivolgendomi a lui direi che…nell’eterno fanciullo che dipinge, c’é qualcosa di continuamente eccessivo e improbabile e, insieme, di palpabilmente vero. Il raggiungimento di quella sobria ebrietas che conduce alla lucidità e consente di intravedere il proprio cammino. Insomma, parafrasando Kremski, potrei ancora affermare che con questa bella e limpida pittura cominciamo a viaggiare in paesaggi sconosciuti e pertanto assolutamente familiari.
L’ultima importante retrospettiva é stata realizzata con inaugurazione il 07 febbraio 2020 presso le sale storiche — risalenti ad epoca romana — del Museo Diocesano di Torino. L’evento, di risonanza nazionale, é stato coordinato dal Comitato per la Conservazione dell’Arte composto da Fabrizio Prina, Giovanni Cordero, Annalisa Alluto, Gianni Bestente sotto l’ègida del rettore museale Carlo Cir Franco.
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Altri riferimenti:
https://www.facebook.com/media/set/?set=oa.10156857317296580&type=3