Thursday, April 25, 2024

MAC BETH IN BIANCO E NERO CINEMATOGRAFICO AL TEATRO LA FENICE DI VENEZIA

Recensione di Federico Scatamburlo.

Giuseppe Verdi in quest’opera porta ai massimi vertici le emozioni in pagine musicali contraddistinte da un alto stile drammatico, degne testimoni del primo incontro del compositore con i drammi di Shakespeare.

È noto che le tragedie shakespiriane sono spesso intrise di simbolismi legati a travagliati rapporti di coppia e della famiglia. Una delle più drammatiche e profonde è proprio quella del titolo, un’opera che ben si presta ad analisi in stile freudiano, onirica alla follia, con molte sfaccettature e velate allegorie ad argomenti spinosi ma verosimilmente attuali. Storie di anime schiave di sentimenti che indulgono a estreme manifestazioni d’amore, che possono essere spesso tanto languide quanto crudeli.

Tanto spazio dunque per le re-interpretazioni e ne ha ben approfittato Damiano Michieletto in questa regia, con il suo modernissimo stile che lo contraddistingue. Le scene curate da Paolo Fantin sono realizzate con estrema essenzialità, dalla quale si evince chiaramente la volontà, insieme al regista, di scavare nei messaggi più reconditi lanciati dall’autore. E i costumi, di Carla Teti, non potevano essere più adeguati di così a questa atmosfera: moderni, eleganti e contemporanei in alcuni momenti, fantasiosi e creativi in altri. La rappresentazione delle streghe, per esempio, con abiti e maschere tinta carne che hanno annullato i lineamenti del viso, diventano seducenti e angoscianti presagi dell’avvenire. Tutto questo grazie anche ai precisi ed efficaci movimenti coreografici di Chiara Vecchi.

Filo conduttore di tutta questa rappresentazione l’angoscia del protagonista, che prima, durante e dopo il regicidio commesso per sua mano ma istigato dalla moglie, Lady Macbeth, si manifesta nel dolore scaturito nel lutto per la figlia perduta, ma anche nei ricordi infantili dei protagonisti, qui rappresentati dai figli di altre famiglie. Macbeth soccomberà al desiderio mancato della paternità e a quello di compiacere Lady Macbeth, fino a compiere il gesto più estremo.

Una tragedia sanguinaria, anche se in questo caso è il bianco e nero a predominare, quasi  a rappresentare i poli opposti dei sentimenti, nel colore stesso del sangue del protagonista, bianco per l’appunto. E si manifestano dunque i meandri di una mente sconvolta, nei simbolismi di altalene spesso presenti in scena, che si moltiplicano a dismisura con l’aumento della follia amorosa, insieme ad altri richiami di strumenti di svago infantili. Bellissimo il momento in cui un triciclo, prima condotto da un fanciullo, ricompare poi in scena muovendosi autonomamente in cerchio, in un lento vortice, come i pensieri nella devastata mente di Macbeth.

Sempre presenti in scena teli di plastica leggera: chiarissima l’allegoria delle tenebre di una mente malata, che tenta di squarciare i veli che nascondono la negazione della verità.

Il ruolo protagonista è messo a dura prova in quest’opera, sia dal punto di vista psicologico che vocale. Prova brillantemente superata dal baritono Luca Salsi, che, con notevole abilità tecnica, ha utilizzato infinite sfumature per trasmettere il dramma del suo personaggio, con acuti sfolgoranti ma anche con intimissimi momenti raccolti e sfumati, quasi come preghiere rivolte a sé stesso. Bravo.

Non meno difficoltosa la parte  interpretata dal soprano coreano Vittoria Yeo, Lady Macbeth. Il personaggio è spietato, calcolatore, indifferente alle sofferenze del marito, con mille sfaccettature psicologiche, e alla cantante sono richieste potenza ed agilità, ma con una certa propensione al registro grave. E anche Vittoria risolve tutto questo con abilità e tecnica vocale. Tralasciando qualche piccolo inciampo iniziale, subito si rivela una Lady malvagia e compassionevole allo stesso tempo, esattamente come nelle intenzioni dell’autore. Bellissima, anche nell’interpretazione drammaturgica, la scena del sonnambulismo, con la celebre aria Una macchia.

A fianco dei due protagonisti emergono altre due voci di caratura. Banco, generale del defunto re Duncano, è il basso Simon Lim. Anch’egli coreano, è ormai una presenza frequente nei cast della Fenice. Con il tempo abbiamo potuto apprezzarlo sempre di più per la bella sfumatura di colore di voce, la dizione chiara, l’attenzione alle sfumature e ai dettagli. Prova ineccepibile.

Nei panni di Macduff il tenore Stefano Secco. In questa finzione scenica è un nobile scozzese, e l’abbiamo particolarmente apprezzato nel momento più impegnativo per lui, nell’unica aria prevista in questo ruolo, perché è riuscito a dare un’ottima prova nonostante tempi musicali piuttosto lenti.

Completano il cast, in maniera funzionale e più che lodevole Elisabetta Martorana (Dama di Lady Macbeth), Armando Gabba (Medico), Enzo Borghetti (Domestico di Macbeth), Giampaolo Baldin (Sicario), Nicola Nalesso (Araldo). Bravi i solisti dei Piccoli Cantori Veneziani che, intonatissimi e con voce chiara hanno interpretato le tre apparizioni.

Commento a parte invece per Marcello Nardis (Malcom, figlio di Duncano), che si è esibito in una prova stentorea e ai limiti dell’intonazione.

Gli artisti del Coro del Teatro La Fenice, sapientemente istruito dal maestro Claudio Marino Moretti, in questa domenica pomeriggio si sono esibiti in una prova particolarmente brillante. Quasi sempre presenti in scena, hanno sfoderato doti attoriali che possiamo definire seducenti, e sono stati precisi, dinamici e molto ben amalgamati dal punto di vista vocale. Bellissima l’esecuzione di Patria oppressa con un finale sul pianissimo emozionante.

Myung-Whun Chung ha debuttato nella direzione e concertazione di quest’opera, ma la splendida Orchestra del Teatro La Fenice lo conosce ormai bene. E, come ci si aspettava, il maestro Chung ha trasposto in questa sua esecuzione una sua personalissima interpretazione e l’eleganza che lo caratterizza. Contrasti tra tempi lenti, scatti improvvisi, suoni drammatici che hanno reso la colonna sonora dell’opera un gioiello finemente cesellato. Ai più smaliziati non sono sicuramente sfuggite le sfumature e i colori che sono emersi da ogni singolo strumento, in un’orchestra perfettamente a proprio agio in una partitura che ha emozionato dall’inizio alla fine. E non sarà sfuggito anche l’occhio attento e di riguardo che il maestro ha avuto per tutti gli artisti coinvolti nella recita, nessuno escluso. Complimenti maestro.

Meritate ovazioni finali (proseguite anche a tela calata) di un pubblico entusiasta per tutti, a cui ci uniamo volentieri con i nostri complimenti aggiuntivi anche a tutto il personale dietro le quinte, che fa “girare” come un orologio la splendida “macchina” del teatro.

La recensione si riferisce alla recita di domenica 25 novembre 2018.

Photo©MicheleCrosera

Federico Scatamburlo
Federico Scatamburlo
Nato in provincia di Venezia nel 1965, fin da giovane coltiva intimamente la passione per la musica classica, accostandosi al mondo dei teatri e delle rappresentazioni liriche. Da allora scopre un particolare gusto per i virtuosismi vocali, per il bel canto in generale, rendendosi conto suo malgrado di avere un “orecchio” particolarmente attento per questo tipo di esibizioni. Il suo ambito artistico spazia, oltre che alla lirica, anche nell’arte e nella fotografia.

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