Wednesday, December 4, 2024

“Trovai Amore in mezzo de la via”. Recensione del film “Incroci sentimentali”

Di Marina Agostinacchio

Orso d’argento per la miglior regia alla 72° Berlinale, Avec amour et acharnement, -“con amore e determinazione”, inteso come accanimento – (titolo internazionale: Both Sides of the Blade, tutti e due i lati della lama) e uscito in Italia, con il titolo, Incroci sentimentali, è un film di regista Claire Denis, ispirato al romanzo Un tournant de la vie di Christine Angot con cui condivide l’adattamento e la sceneggiatura.
Ho visto poco tempo fa Avec amour et acharnement e mi sono trovata di fronte Amore, scandagliato nella sua parte più intima, più segreta.
La visione di questo film è stato un viaggio esplorativo nel femminile, tra incongruenze, guazzabugli, angolature di illogicità.
Sara, interpretata da Juliette Binoche, è colei che incarna i lati più nascosti, irrazionali, di questo sentimento.

Sara e Francois

Di questa donna, al di là di quanto già detto, vorrei poter fare “il focus” su alcuni aspetti, su piani sequenza, su un’interiorità fatta di scuotimenti, sobbalzi, sussulti, espressi con forza, drammaticità, verità interpretativa.
Parto dalla scena iniziale del film. Due corpi, lei e lui, avvolti in abbracci, carezze, baci, immersi nel mediterraneo, in cui sono riflesse lame di sole.  La felicità di corpi che paiono riattivare fotogrammi di un’epoca ancestrale, dove l’acqua era per l’uomo elemento privilegiato all’interno del grembo materno.

Photo by Anthony Harvey/Shutterstock (12961320ac)
Claire Denis, Grand Prix, Stars at Noon
Winners’ photocall, 75th Cannes Film Festival, France – 28 May 2022

E questo stato di grazia, pare prolungarsi, per continuità, grazie sia all’esterna del movimento dinamico della macchina da presa, lungo il tragitto autostradale che porta al meno luminoso, rispetto alla sequenza del mare, appartamento parigino, sia all’inquadratura del terrazzo — che si affaccia sui tetti di Parigi — dove i due protagonisti ancora si abbandonano in abbracci.
L’incipit, quindi, seguirebbe i canoni del noir, con un inizio in adagio, se non fosse per la musica di sottofondo dei Tindersticks, la rock band che ha contribuito alle musiche originali del film “con una canzone inedita (Both Sides of the Blade)” .
Proprio la musica ci fa prospettare un qualche genere di evoluzione formale serrata, appartenente al genere thriller d’azione i cui componenti sono in climax ascendente: tensione, suspense, paura.

Gregoire Colin-Francois

Ma qui ci troviamo di fronte a un dramma psicologico, che ci interroga e ci incalza, costringendoci a svolgere un’indagine introspettiva nei meandri sotterranei della psiche; Sara stessa dirà, piangendo, in una delle scene finali, di sentirsi confusa.

“È un thriller sentimentale, che non si sviluppa tra spari e coltelli”, ci suggerisce una parte della critica, ma ha tutti gli elementi per configurarsi come tale, cioè thriller, poiché agli occhi di chi sta guardando il film, tutto appare complessivamente instabile e confuso: nel triangolo amoroso, ogni volta le parole, le azioni di Sara ci appaiono definitive e vere per poi essere subito smentite alla prossima scena.
E forse ciò è quanto interessa mettere in luce dalla regista — attraverso l’ossessiva ricerca del corpo come cardine esplorativo del sé — di questa donna che sembra fagocitare nel corpo, nella sua carnalità, il proprio doppio, vissuto fino alla fine al di là degli schemi, in ogni atto presente, immanente; in questa “immersione” nel duplice di Sara, troviamo, da un certo punto della storia, anche quell’incapacità di dono con Jean, libero  dalle antiche cicatrici del suo rapporto precedente con François.

Ma quale l’elemento, l’occasione destabilizzante nella vita di Sara? Ebbene, un incontro accaduto per strada, senza alcuna previsione. Sara rivede François, suo ex compagno di vita. Travolta, si sente pervasa dall’antica passione. È un’emozione profonda, intensa, straziante.
Quell’incontro, quel movimento degli occhi verso l’antico amore fanno riemergere dalla memoria, come già sottolineato da altri, l’incipit della Vita Nova, ([Vita Nuova IX 9-12]), nel momento in cui Dante vede Beatrice. Dante scrive:

Cavalcando l’altr’ier per un cammino,
pensoso de l’andar che mi sgradia,
trovai Amore in mezzo de la via
in abito leggier di peregrino.
“Trovai Amore in mezzo de la via”

Dante (uno dei fondatori del “dolce stil novo”- XIII-XIV secolo), identifica la donna, appena vista, con l’Amore e non è questo il solo esempio di Amore che appare all’improvviso, provocato dalla vista della bellezza della donna stessa.

Anche la Scuola siciliana, (XIII secolo), precedente al “Dolce stil novo”, indagando sul tema dell’Amore, inteso come iniziale piacimento, dà  questa risposta:

«Amore è uno desio»
(Rime, 19) Giacomo da Lentini

Amore è uno desi[o] che ven da’ core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore
e lo core li dà nutricamento.

Come possiamo notare Giacomo da Lentini, appartenente alla Scuola siciliana, concepiva gli occhi quali generatori dell’amore nel suo momento d’esordio.

Christine Angot co-sceneggiatrice e autrice del romanzo

La regista Claire Denis pare avere assimilato dunque la lezione dei grandi poeti e fa incarnare in Juliette Binoche, per mezzo dell’azione scenica, il principio d’Amore, rivissuto, come subitaneo incontro visivo che non potrà essere dimenticato.
Del resto quello degli occhi è un topos che si affaccia anche in un dialogo di Sara con Jean; lei nelle sue parole ripercorre il momento dell’accorgersi di lui attraverso un vetro.
Questo dramma, dunque, come dicevo, esplode quando Sara rivede il suo ex compagno di vita, François. È il ritorno di un passato, della giovinezza della donna ed esplode con prepotente deflagrazione. Ecco allora incominciare a smarrirsi quell’equilibrio di coppia, aprirsi in Sara una voragine da cui uno e centomila volti e psiche riemergono a dispetto di uno “statu quo” ricercato nel sentimento d’amore con Jean.

Bulle Ogier-Nelly

Eppure nei modi, nel tono della voce, che indulge nell’assicurazione di un sentimento stabile nei confronti del marito Jean e di fronte a lui stesso, crediamo alla versione della donna che poi cede, cade nel rito dell’accoppiamento impetuoso, veemente, di un tempo, mai completamente scordato e, se mai, riemerso dalla memoria. Del resto in un momento che precederà il gesto passionale con François, in lacrime Sara, riflettendo la propria immagine davanti alla macchina da presa, dirà parole che ripercorreranno sensazioni fisiche, turbamenti, della sua esperienza amorosa con lui.
E di tanta tempesta emotiva quel che rimane viene affidato alla scomparsa di possibili contatti registrati sul cellulare volutamente fatto “annegare” nella vasca da bagno e di cui Sara in un secondo momento vorrebbe la risurrezione che non ci potrà essere.
L’occhio della regista si focalizzerà, nella scena finale, ad una Sara che, andando al lavoro, dirigerà i propri passi proprio su quella strada, principio dei propri interrogativi e delle proprie scelte.

Marina Agostinacchio
Marina Agostinacchio
Nel 1998 e nel 2007, Marina Agostinacchio è tra i vincitori del concorso nazionale di poesia “Premio Rabelais”. Nel 2006 è tra i finalisti del Premio “Tra Secchia e Panaro”. Nel 2002 ha ottenuto il Premio internazionale Eugenio Montale per l’inedito. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesie Porticati, nel 2009 la raccolta Azzurro, il Melograno, nel 2012 Lo sguardo, la gioia, nel 2014 Tra ponte e selciato. Nel 2021, Marina Agostinacchio ha pubblicato i volumi bilingue di poesie "Trittico Berlinese", 2021, e "In the Islands of the Boughs", 2023.

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