Recensione di Gianluca Macovez
Una intensa edizione del lavoro sull’esodo forzato dei Giuliani Dalmati, che sono stati costretti ad una drammatica diaspora senza ritorno.
Ci sono stati momenti della storia dell’umanità macchiati dalla vergogna della cattiveria e della violenza, dalla sete inestinguibile del potere, feriti dal silenzio.
Sicuramente uno di questi è stato l’esodo forzato degli italiani che hanno dovuto forzatamente lasciare i territori giuliano dalmati, alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
In un tempo di pace quegli italiani dovettero abbandonare i loro paesi, perdendo quasi tutto; fuggire per salvarsi, per difendere una identità, per tutelare la loro storia.
Queste tremende vicende sono al centro di ‘Magazzino 18’, straordinario musical scritto una decina di anni fa da Simone Cristicchi con Jan Bernas e recentemente ripreso, proprio a Trieste, per celebrare la memoria di quegli italiani coraggiosi, costretti a trasferirsi, alcuni nella vicina penisola, altri in Australia, tanti nell’America del Sud, molti negli Usa.
Lo spettacolo nacque dopo una visita che il cantautore fece al grande deposito all’interno del Porto Vecchio di Trieste che conservava le testimonianze di una quotidianità rapita agli esuli italiani, strappati dalla loro casa, da una vita spesso umile e sempre di grande fatica, costretti ad una diaspora su cui si taceva vergognosamente, sicuramente dolorosa e violenta, anche se meno allucinante del destino degli infoibati, lasciati rantolare nel fondo di una buca carsica, condannati per la colpa grave di esistere, spesso avvolti nel filo spinato ruggine ed aguzzo e, quel che forse è peggio, seppelliti da un velo di ignobile silenzio delle istituzioni e degli intellettuali che per decenni seppero girarsi dall’altra parte con una indifferenza che ha dilaniato la nostra fiducia nella volontà di verità.
In un tempo drammatico come quello che l’Europa sta vivendo, Cristicchi ha deciso di ripropone lo spettacolo oggi, a dieci anni dalla prima, sempre con la regia poetica di Antonio Calenda, proprio nei Giorni della Memoria.
Lo fa incurante della contemporaneità del Festival di Sanremo, che ha fatto riprogrammare spettacoli e programmi , vincendo con una serie di sold out clamorosi.
Lo fa a Trieste, città che ancora sanguina per un passato di cui profondamente si vergogna e che ha subito impotente: la Risiera, le Foibe, le azioni di vendetta dei nazisti sul Carso che riuscirono a distillare il male in azioni di violenza inimmaginabile, ma anche il periodo della Città libera, che la faceva zona protetta ma separata da quell’Italia per la quale tanto aveva patito dolori.
Lo fa con una serie di spettacoli studiati solamente per la città, coinvolgendo l’Orchestra della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi, che risponde con inedita ed apprezzata sensibilità alla proposta: i teatri della città uniti, ad evocare le sensazioni di un passato che deve essere conosciuto per non correre il rischio che si ripresenti, improvviso e mascherato, alle porte di qualche casa, da qualche parte nel mondo.
Parlare di incontro, di dialogo fra le istituzioni, di coraggio della condivisione in una città che nell’ultimo secolo è stata austrica, ha subito le forti ingerenze naziste, ha avuto un governo americano, è finalmente ritornata italiana, ma ha temuto anche di diventare iugoslava, è un messaggio importante, coraggioso, che non vogliamo leggere come una risposta al passato, ma un proposito per il futuro.
Lo spettacolo è molto intenso. Due ore serrate, senza una pausa, con un fortissimo coinvolgimento emotivo del pubblico, che pare, ad un certo punto, respirare con il protagonista, condividerne le pause, gli strazi, le malinconie, in una sorta di rito collettivo sacralizzato dalle musiche di scena, dirette dal Maestro Valter Sivilotti, che riesce a trasformare il suono della brava Orchestra del Verdi in autentica poesia, mai sfondo od accompagnamento, ma racconto parallelo, struggente e mai scontato anche grazie al prezioso contributo dei bravissimi allievi di On Stage – School of Performing Arts
Cristicchi non si risparmia. Non lo fa mai, in qualunque spettacolo, ma in questa occasione riesce ad accarezzare con bravura e discrezione le corde più intime del vissuto collettivo, sia quando recita che quando canta le canzoni scritte per ‘Magazzino 18’.
Riesce a leggere le vite attraverso gli oggetti che riempiono il palcoscenico, nella riuscita scenografia di Paolo Giovanazzi, illuminata con bravura da Nino Napoletano, giocando con i suoni, le sfumature, trasformando la voce per dare vita a coloro cui l’esistenza è stata strappata.
Il testo è costruito con bravura, affidando il ruolo principale ad un archiviatore un po’ burino, mandato dal Ministero per sgomberare il magazzino, che riesce a regalare qualche sorriso e collega le storie ed i personaggi evocati con struggente malinconia, senza indugiare sugli effetti facili, le sottolineature truculente.
La sala viene spesso attraversata da brividi intensi quando ritrova nel testo episodi ascoltati a casa, riesce a contestualizzare tante drammatiche narrazioni infantili, coglie il senso di mezze frasi ascoltate di nascosto, vive il disagio di capire solo in quel momento la portata di avvenimenti che avevano sfiorato i loro genitori, i nonni, tanti amici.
Alla fine una gigantesca standing ovation mescola lacrime ed applausi, gratitudine commossa e grida di acclamazione, che suggellano un successo autentico di una artista coraggioso, che riesce ancora una volta ad incantare con il coraggio della verità.
MAGAZZINO 18
scritto da Simone Cristicchi con Jan Bernas
con Simone Cristicchi
regia Antonio Calenda
con l’Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
diretta da Valter Sivilotti
con la partecipazione degli allievi di On Stage – School of Performing Arts
musiche e canzoni inedite Simone Cristicchi
musiche di scena e arrangiamenti Valter Sivilotti
scene Paolo Giovanazzi
luci Nino Napoletano
coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Bolzano, Corvino Produzioni
Trieste, Teatro Rossetti , 12 febbraio 2023