Thursday, December 12, 2024

L’arte della felicità di Alessandro Rak

locandina-2Il fascino dei film d’animazione risiede, dal mio modesto punto di vista, nella traslazione dell’introspezione in immagini artigianali. L’occhio dello spettatore getta via l’abitudine del percorso “reale” (che reale non è mai) e con giustizia  rende all’animo sfumature mai del tutto sottili: non parlo di particolari fiamminghi o barocchi, ma di inquadrature create minuziosamente, a prescindere dello stile del disegno stesso, con finalità tanto conoscitive quanto ontologiche. E ciò che meglio pone in risalto questa mia affermazione è la raggiante produzione metaforica nei diversi atti di tale genere cinematografico. Niente di più seducente vi è nei singoli scorci mostrati dagli autori, in dettagli fatti a mano mai scontati ed invadenti.
Questo mio celere pensiero è frutto della visione del film L’arte della felicità, uscito nelle sale poco più di un anno fa. Questo progetto, firmato Alessandro Rak, porta in grembo un’ambizione fuori dal comune: un film d’animazione in cui la filosofia funge da base cognitiva per quasi tutti gli ottantadue minuti di durata. Lo spettatore s’imbatte in una storia d’amore tra due musicisti, due fratelli, divisi non tanto da un destino avverso, ma da una scelta mistica di uno di loro. Alfredo, infatti, si ritira nella spiritualità buddista poco prima che la morte lo prenda con sé.
lartedellafelicita2
Sergio, invece, rimane a Napoli a gettare la sua vita in un taxi zeppo di ricordi e mozziconi di sigarette. Ed è proprio Sergio che diventa perno del soggetto de L’arte della felicità: un uomo che rinuncia al pianoforte (e sostanzialmente alla propria vita) barattando la sua bravura, la sua passione, con una licenza da tassinaro qualsiasi nel bel mezzo di una Napoli antiestetica in piena emergenza. L’auto bianca di Sergio diventa una gabbia proustiana: i flashback si alternano ai passeggeri e le reminiscenze di una vita ormai perduta soffocano il protagonista fino al giorno dei funerali di Alfredo. A scandire i semafori, vi è una radio che funge da parentesi continua, da opinione autorale: una radio che detta un codice più che un percorso preciso.
arte-felicita-2Alessandro Rak è bravo, bravissimo, nel destabilizzare le immagini, renderle oblique e, pertanto, nervose. Trasmette con esse un grigiore antipartenopeo,  un grigiore che rappresenta l’opprimente perdita di ideali, di miti, di speranza. Preziosi sono i primissimi piani dell’ex pianista, imbottiti di vuoto e nostalgia. E preziosa è l’atmosfera underground che si propaga tra gli anelli di fumo e la pioggia incessante.
Quello che lo spettatore sente meno è (probabilmente) il contatto umano coi personaggi del film. Uomini troppo spesso ancorati ad una sceneggiatura fin troppo sana (e universitaria), stilisticamente legata a dialoghi a dir poco verbosi e ridondanti. La stesura delle battute definitive del lungometraggio avrebbe dovuto alleggerire il significante senza perdere il peso del significato.  L’unico neo del film, a mio avviso, sta pertanto nella caparbietà di porre un accento letterario a ciò che merita di essere prettamente cinematografico.
Detto ciò, credo che L’arte della felicità sia un film da vedere assolutamente, un film da captare ed elaborare sequenza dopo sequenza, ricordo dopo ricordo. Chiaro, con spirito e religiosa attenzione.

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