Un titolo lungo e una sfida quasi personale, vinta dal soprano cesenate Raffaella Battistini, il coro Maria Callas di Cesena e tutti gli interpreti, collaboratori e lo staff al completo. Andiamo con ordine: il teatro Bonci è a Cesena, in Emilia Romagna, città ricca di storia e monumenti, artisti e personaggi storici, una popolazione dal sorriso e dall’accoglienza subitanea…
Il teatro Bonci, la sua storia
Siamo nel 1842, la popolazione cesenate si batte per un teatro comunale e l’incarico viene affidato all’architetto Vincenzo Ghinelli. Le decorazioni sono affidate all’artista bolognese Gaetano Bernasconi. Al centro c’è Apollo dio delle arti, e poi le muse: Talia, commedia, Melpomene, tragedia, Clio, storia, Polinnia, retorica, Venere dea dell’amore, a sinistra è rappresentato Bacco dio dell’allegria, Ercole, semidio che rappresenta la forza, Tersicore musa della danza; il soffitto invece è dipinto da Francesco Migliari da Ferrara. La volta della sala è dipinta con scene che riproducono quattro episodi della Divina Commedia.
Il 15 agosto 1846, il teatro Comunale di Cesena viene inaugurato con l’opera di Gaetano Donizetti Maria Rohan, e poi il balletto Beatrice Gand con la famosa Fanny Essler.
Cesena ha finalmente il suo teatro, anche se in ritardo nei confronti delle vicine città; lo stile è neoclassico, dalla sua inaugurazione poche sono state le modifiche e hanno sempre rispettato l’originale, senza stravolgerlo, nel 1870 le candele a sego per l’illuminazione furono sostituite dal gas e nel Novecento il teatro usufruì dell’elettricità.
Tantissimi sono i grandi nomi che hanno calcato il palcoscenico del teatro Comunale da Ermete Novelli a Adelaide Ristori e Irma Grammatica, sorella di Emma, ma il teatro fu dedicato all’acclamatissimo cantante lirico cesenate Alessandro Bonci. Interessanti furno le promozioni: fazzoletti di carta pe le signore con incisi i titoli delle opere. I giornalisti dell’epoca magnificarono il teatro con articoli entusiastici.
Anche oggi i nomi della prosa che calcano il suo palcoscenico sono di altissimo livello, da Alessandro Gassman a Ottavia Piccolo, ma per citarne davvero un paio.
La sfida di Raffaella Battistini, soprano di levatura internazionale, è stata quella di portare un’opera “difficile” che si svolge in quattro atti con cambi di costumi e scenografie frequenti, un lavoro davvero impegnativo. Notevole l’uso delle luci e magnifici i due cori: il coro Maria Callas di Cesena e il coro lirico San Rocco di Bologna, coadiuvati dalla maestra Marialuce Monari, che con grande bravura hanno reso lo spettacolo un grande meritato successo.
L’orchestra Città di Ferrara è stata diretta dal maestro Massimo Scapin. La performance è stata veramente una cooperazione interregionale estremante valida: il centro studi danza di Gambettola, coadiuvato da Eleonora Pandolfini e Giorgia Muratori, è stato meraviglioso nel ballo degli zingari, mentre i ragazzi delle scuole Anna Frank, San Giorgio e Plauto di Cesena erano sotto la direzione della maestra Chiara Farolfi. Le scene, allestimento e luci sono di Giorgio Lorenzetto, i costumi sono del conservatorio Bruno Maderna di Cesena,con l’aiuto regista Luciana Berretti e il regista Alberto Umbrella, tutti professionisti che con grande amore per il proprio lavoro hanno reso la serata magica.
Una sinergia che Raffaella Battistini segue da anni coinvolgendo anche le scuole per avvicinare così le giovani generazioni ad una delle nostre eccellenze nel mondo, una sfida quindi vinta da tutti i protagonisti che amano la lirica e portano il loro amore al pubblico.
L’opera
Il Trovatore di Giuseppe Verdi si svolge in Spagna, Aragona, inizi secolo XV; è un’opera non lineare, con colpi di scena che la rendono intrigante e avvolgente.
Atto primo. Nel palazzo dell’Aliaferia, la dimora del il conte di Luna, il capitano delle guardie Ferrando raccomanda la massima allerta poiché si attende il rientro del conte con la sua amata Leonora. Il conte è geloso di un misterioso trovatore che nottetempo dedica serenate alla sua amata.
Ferrando racconta ai suoi soldati la storia del fratello minore del conte, Garzia, che venti anni prima fu stregato da una zingara, condannata al rogo; per vendetta, la figlia della zingara rapisce il piccolo e si credette anch’egli buttato nel fuoco. Il padre morente fa promettere al fratello di cercare suo fratello, purtroppo con vani risultati.
Nella seconda scena, Leonora e Ines, dama di compagnia della principessa d’Aragona, si scambiano confidenze. Leonora non riesce a dimenticare un cavaliere incontrato ad un torneo e che non ha mai più rivisto a causa della guerra civile scoppiata tra il conte di Luna e il conte di Urgel.
Una notte riconosce in un trovatore il suo mai dimenticato giovane, Manrico; lei gli corre incontro ma al buio scambia il conte di Luna per il suo amato, il conte è innamorato di lei e la vuole in sposa, quindi ben presto la gelosia prende il sopravvento e sfida il rivale a duello.
Nel secondo atto, Manrico è al campo degli zingari in Biscaglia, nel duello con il conte è stato ferito. La zingara Azucena gli racconta di sua madre e della sua orribile morte sul rogo, lei allora aveva rapito il piccolo Garzia, ma per un tragico errore aveva bruciato suo figlio al posto del bimbo rapito. Il giovane Manrico è stupito dal racconto ma sua madre Azucena gli chiede come mai pur potendo uccidere il conte si sia fermato… Manrico non lo sa, e spiega che è come se una voce divina lo avesse fermato.
Un messo annuncia che Castellor è stata conquistata dalle truppe di Urgel. Leonora, credendolo morto in battaglia, decide di prendere i voti, e Manrico, nonostante le insistenze della madre, parte per raggiungerla.
Nella seconda scena il conte di Luna si appresta a rapire Leonora; Manrico riesce a sventare il tutto e la porta in salvo.
Siamo al terzo atto; i due giovani sono a Castellor, assediato dal conte di Luna, Azucena è nei dintorni e creduta una spia viene imprigionata. Ferrando la riconosce, come la rapitrice del piccolo Garzia e viene condannata al rogo, come sua madre.
Nella seconda scena Manrico e Leonora stanno per sposarsi quando un soldato annuncia che Azucena sarà arsa viva; Manrico non può permetterlo e parte per liberarla.
Il quarto atto consta di due scene, nella prima Manrico è prigioniero e chiuso nella torre dell’Aliaferia, il conte lo ha condannato alla decapitazione, Leonora promette al conte di sposarlo se risparmierà Manrico e sua madre, ma non può mantenere l’impegno e si avvelena con il veleno nascosto nel suo anello.
Siamo all’epilogo nella seconda scena, Manrico e Azucena si confortano a vicenda, Leonora arriva comunicando loro la liberazione, Manrico capisce cosa c’è dietro la sua scarcerazione e non può accettarlo… il veleno però fa il suo effetto e Leonora muore fra le sue braccia.
Tutta la scena è stata seguita di nascosto dal conte di Luna; accecato dalla gelosia ordina la morte immediata di Manrico e ordina che sua madre assista al supplizio.
Eseguita la sentenza, Azucena gli rivela che il conte ha appena ucciso suo fratello Garzia; quindi, la terribile vendetta della zingara è compiuta.
Un dramma a tinte forti e truci. L’allestimento consisteva in una scenografia fatta di enormi pannelli dipinti che raffiguravano accesi tramonti, castelli su colline, archi, tutto con colori forti, quasi sanguigni, il dosaggio delle luci anch’esse forti e brillanti quasi a mitigare e allo stesso tempo esaltare l’orrore della storia di eros e thanatos.
I personaggi
Raffaella Battistini è stata una Leonora appassionata e delicata allo stesso tempo, fremente amante pronta a tutto, con una presenza scenica e interpretazione magistrale.
Angelo Villari ha presentato un Manrico giovane irruente e innamorato, con un destino atroce e fautore di un bel canto che ha incantato.
Tiziana Carraro ha offerto una Azucena forte, anche qui una presenza scenica imponente e di grande impatto, adorata dal pubblico in sala
Stefano Meo, il conte di Luna, torreggiava con la sua presenza e con la sua voce, ricca e calda
F.Ellero D’Artegna si è dimostrato un Ferrando di grande presenza, perfetto come capitano delle guardie, estremamente compreso nel suo ruolo. Il maestro Scapin ha provato di essere un direttore di grande esperienza, come tutti del resto; cantare e recitare, muoversi sulla scena con una padronanza e professionalità che ha lasciato un pubblico affascinato da un’opera e una operazione dove ogni tassello combaciava, una sinergia e una comunanza che è arrivata anche al pubblico, mai avaro di applausi.
Non bisogna dimenticare che parte del ricavato è stato devoluto all’ospedale Bufalini di Cesena, reparto terapia intensiva, e un ringraziamento particolare va a Daniele Gualdi, presidente dell’ERT Emilia Romagna Teatri per il suo interessamento al progetto.
Una serata esaltante e un pubblico entusiasta chehanno provato che la lirica al Bonci deve avere più spazio; lo chiedono in molti e a gran voce. Del resto il teatro fu appunto inaugurato con un’opera… che la tradizione continui.