Gli orti spaziali, che in futuro forniranno agli astronauti cibo durante le missioni di lungo corso, sono oggetto di diversi progetti e sperimentazioni con l’Italia in prima linea attraverso molte industrie e istituzioni scientifiche, tra le quali il Cnr, impegnato anche nel nuovo progetto BioLuna. I vegetali portati in orbita o nelle basi planetarie non avranno solo funzione alimentare, ma assimileranno anche la CO2 prodotta dall’equipaggio rifornendolo di ossigeno, acqua pura e minerali necessari alla vita. Un circolo virtuoso di cui ci parla Alberto Battistelli dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr
Nel celebre film di Spielberg “E.T.” una squadra di botanici alieni atterra in una foresta della California con la missione di recuperare e studiare campioni di vegetazione terrestre. A distanza di oltre 40 anni la scienza ci dice che non saranno gli extraterrestri, bensì gli esseri umani a portare nello spazio diverse specie vegetali, non per gli alieni, ma per l’alimentazione degli astronauti nel corso delle loro missioni di lunga durata. Parliamo degli orti spaziali, piccole serre in orbita o che saranno posizionate sulla superficie lunare o marziana, oggetto di diversi progetti e sperimentazioni, con l’Italia in prima linea attraverso molte industrie e istituzioni scientifiche, tra le quali il Cnr.
“Fornire cibo adeguato agli astronauti è stato da sempre un impegno cruciale nella pianificazione delle missioni spaziali. I rifornimenti da terra saranno sempre più onerosi man mano che le missioni porteranno gli astronauti più lontano e per più lunghi periodi”, spiega Alberto Battistelli, fisiologo vegetale, dirigente di ricerca dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Cnr. “Avere cibo fresco e appetibile durante le missioni spaziali sarà fondamentale anche per contrastare i molteplici rischi per la salute umana insiti nella permanenza nello spazio. Inoltre, le piante portate negli avamposti spaziali, mentre forniranno cibo, assimileranno la CO2 prodotta dall’equipaggio rifornendolo di ossigeno, acqua pura e minerali necessari alla vita”.
Un circolo virtuoso, quindi, non a caso questi orti in orbita vengono considerati dagli addetti ai lavori una componente essenziale dei “sistemi biorigenerativi”, dove le piante saranno centrali nell’uso circolare delle risorse. I ricercatori, agendo sulle variabili ambientali, come luce e temperatura, potranno inoltre ottimizzare la produzione di vegetali e la qualità nutrizionale degli alimenti ottenuti. Per il benessere degli astronauti sarà infatti essenziale l’apporto di nutrienti chiave, quali la vitamina C, e a questo scopo i ricercatori del Cnr, in collaborazione con i partner del progetto REBUS, finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), hanno studiato come produrre cibo vegetale ricco di questa preziosa vitamina. “La produzione nello spazio ovvierebbe alla sua bassa conservabilità nel tempo e il cibo ricco di vitamina C, potente antiossidante, sarebbe una contromisura per lo stress ossidativo a cui gli astronauti sono sottoposti”, prosegue Battistelli. “Abbiamo constatato che coltivando rucola o microortaggi di ravanello e verza, possiamo produrre la quantità di vitamina C necessaria giornalmente a una persona (90 mg) con poco più di mezzo metro quadrato di superficie coltivata, e lavoriamo a soluzioni di controllo ambientale che ci permettano di aumentare ulteriormente l’efficienza produttiva dei nostri sistemi”.
Un altro gruppo di alimenti su cui si sono focalizzati i ricercatori del Cnr-Iret sono i prebiotici, molecole utilizzate dal nostro microbiota con effetti benefici per la nostra salute.
Sempre nell’ambito del progetto REBUS, collaborando con l’Istituto superiore di sanità, i ricercatori hanno verificato che la cicoria può produrre radici ricche di fruttani, confermati prebiotici, anche in condizioni di completo controllo ambientale come quelle che si dovranno adottare nello spazio.
Allo studio anche orti spaziali per la Luna, come richiesto dal programma Artemis della Nasa. Una sfida ambiziosa accettata con il progetto BioLuna (Biologia vegetale e intelligenza artificiale per il sostegno alla vita sulla Luna), finanziato da Asi, coordinato da Thales Alenia Space Italia SpA che coinvolge, oltre al Cnr-Iret, anche il Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II, Stam Srl e Aiko Srl. Iniziato lo scorso aprile, il progetto impegnerà i ricercatori per circa 30 mesi e impiegherà tecniche di Intelligenza Artificiale. “In questo progetto uno degli obiettivi specifici del Cnr-Iret sarà quello di potenziare l’hardware e il software delle strutture di crescita delle piante per lo spazio, in modo da controllare la fotosintesi di una coltivazione di piante eduli tramite un algoritmo di Intelligenza Artificiale che riesca a modulare la fissazione di CO2 del sistema in tempo reale, agendo sulle variabili ambientali più rilevanti come intensità e spettro della luce di crescita, pressione parziale della CO2 e del vapore acqueo nell’atmosfera, temperatura dell’ambiente”, precisa il ricercatore.
Insomma, dalla Luna a Marte, le piante faranno parte dei tecno-ecosistemi (così li chiama Battistelli) spaziali per il sostegno alla vita degli astronauti. “Le coltivazioni spaziali replicheranno le molteplici funzioni che le piante svolgono negli ecosistemi terrestri, ma nello spazio saranno protette dalla tecnologia, che manterrà e controllerà in modo funzionale un ambiente compatibile con la vita, dove altrimenti vita non ci sarebbe”, conclude Battistelli. “Un insegnamento generale che le nostre ricerche ci forniscono è il superamento della artificiosa antinomia tra naturalità e tecnologia. Lo spazio ci impone di coniugare natura e tecnologia, in modo che l’una trovi sostegno dall’altra. Non è del resto anche quello che la conoscenza generata dalla ricerca dovrebbe permetterci di fare sulla Terra?”
[Almanacco della Scienza N.5, Maggio 2024]