In questi giorni ricorre il 10° anniverario della scomparsa di due celebrità “made in Italy”. Due uomini diversissimi in tutto, GIANNI AGNELLI e ALBERTO SORDI, così diversi da non sembrare nemmeno compatrioti; differenti come modo di porsi, stile di vita, estrazione sociale. Ad esempio le cronache raccontano di un’educazione molto “British” ricevuta dagli Agnelli ( “Don’t forget you are Agnelli”- dicevaloro Miss Parker, la governante inglese), ed immagino al contempo l’educazione popolare e perbenista di un figlio di quella Roma tanto grande e tanto bistrattata.
Impossibile, inimmaginabile tracciare paralleli fra queste due figure di un’identità nazionale sempre traballante, variegata e a volte inesistente, e a questo proposito Sordi, in un’intervista, una volta disse: “Bisognerebbe che tutti ci volessimo più bene e ci ricordassimo che in fondo siamo tutti italiani”. Questi due uomini, ripeto, così diversi fra loro, nel momento dell’addio hanno ricevuto un incredibile, tributo d’amore e un cordoglio così vasto, così sentito e tangibile ci ha sorpreso tutti.
Io non so se i due si fossero mai incontrati, amati, ignorati, odiati, ma appartenevano ad una stessa generazione, due grandi “vecchi” che hanno speso la loro vita sotto le luci dei riflettori ed entrambi hanno attraversato tanti anni di storia del nostro paese: il boom economico e gli anni di piombo, il rampantismo e poi Tangentopoli, cogliendo sempre con grande lucidità i cambiamenti sociali, adeguandosi, studiandoli, affrontandoli ognuno nel modo che gli competeva.
Gianni Agnelli era bello, ricco, amante dello sport, dell’azzardo, della discesa precipitosa sugli sci, desiderato dalle donne, protagonista delle cronache mondane degli anni cinquanta, un simbolo, l’icona di tutto ciò che si può sognare.
Alberto Sordi, invece, ha sempre tenuto blindata la sua vita privata e non ha mai reso ufficiale alcun legame sentimentale tranne una volta che stava per sposare una bellissima signora austriaca, Uta Franzmeyer, ma, decisa la data del “sì”, fu preso dal panico e, come un personaggio dei suoi film, mandò un amico che usava sempre il plurale a dire alla famiglia di lei: “Quest’anno non ci possiamo sposare perché siamo molto occupati”.
Da buon romano poi, un po’ pigro e indolente di “corse spericolate sugli sci” magari non ne ha mai voluto sapere!
L’unico grande amore è sempre stato per il cinema e per il suo lavoro è stato molto più che un attore; geniale maschera comica e tragica, ha saputo nel corso della sua carriera dar vita a una serie di caricature d’inimitabile forza satirica che mettevano a nudo la vigliaccheria, il cinismo e il provincialismo, ma anche la bonarietà del popolo italiano.
Questi due uomini, nel bene e nel male, con le loro manie, i loro vizi e le loro virtù, sono stati allo stesso tempo umani e irraggiungibili, ma sicuramente hanno dato qualcosa a noi tutti e al paese.
Se Agnelli era soprannominato pomposamente e semplicemente: “L’AVVOCATO” e il giornale austriacoDie Presse titola l’evento della sua morte: “Se ne va il vero re d’Italia”, Sordi era “L’ALBERTONE NAZIONALE” ed è stato addirittura “Sindaco di Roma per un giorno”, quello, festeggiatissimo del suo ottantesimo compleanno.
Invito a leggere le loro straordinarie biografie, e cari lettori, concorderete con me che il dolore degli italiani, dei loro amici, e anche, dei loro detrattori, era vero e profondo. Di un’altra cosa sono altrettanto sicura: che anche molti italoamericani si saranno sentiti fieri di essere rappresentati da Gianni Agnelli (tra l’altro amico personale di H. Kissingere di tante altre personalità statunitensi e del jet set internazionale come Errol Flynn, Porfirio Rubirosa, l’Aga Khan, Ranieri di Monaco ecc.), ed altrettanto fieri di sapere che nel 1955 il presidente degli Stati Uniti Truman concesse ad Alberto Sordi le chiavi di Kansas City e la carica di Governatore onorario della città,per la propaganda favorevole all’America promossa dal personaggio di Nando Moriconi nell’indimenticabile film: UN AMERICANO A ROMA.
Due “calibri da 90” che nel 2003 ci lasciano a pochi mesi l’uno dall’altro, e noi ci siamo sentiti improvvisamente orfani di due personaggi, che sentivamo nostri, che ci rappresentavano, in un modo o nell’altro, nel mondo, ambasciatori di due Italie all’apparenza così diverse e così uguali. Questa volta non era per “circostanza” che si piangevano due italiani famosi, ma per profondo affetto e stima terribilmente sinceri!
Figura carismatica e internazionale la prima, irresistibilepersonaggio e a volte feroce “caricatura” del “italiano medio” l’altro, li abbiamo pianti perché noi italiani e italoamericani ci siamo riconosciuti in tante loro virtù e vizi, che allo stesso tempo ci rendono tanto umani agli occhi di altri popoli, che a volte ci amanoe a volte cidetestano. Di certo noi italiani non passiamo mai inosservati, così caratteristici e a volte folcloristici (ma lo dico con affetto) che è difficile ignorarci!
Cenni Biografici su Alberto Sordi
Alberto Sordi nasce il 15 giugno 1920, figlio di Pietro, concertista al Teatro dell’Opera di Roma, e di Maria Righetti, maestra elementare.
Si esibisce davanti al pubblico fin da bambino, girando la penisola con la compagnia del Teatrino delle marionette. Poi canta come soprano nel coro della Cappella Sistina e a 16 anni incide un disco di fiabe per bambini.
Dopo aver abbandonato l’Istituto d’Avviamento Commerciale ‘Giulio Romano’ di Trastevere (si diplomerà in seguito studiando da privatista), si trasferisce a Milano per frequentare l’Accademia dei Filodrammatici. Ma a causa del suo spiccato accento romano, Sordi viene espulso dalla scuola e soltanto nel 1999 riceverà dall’Accademia un diploma honoris causa in recitazione, quasi una sorta di risarcimento.
È il 1936, Sordi tenta senza successo la strada del teatro leggero, poi torna a Roma, dove partecipa come comparsa al film Scipione l’Africano. L’anno successivo vince un concorso della Metro Goldwin Mayer come doppiatore di Oliver Hardy e debutta nell’avanspettacolo proprio in qualità di imitatore di Stanlio e Ollio, con il nome d’arte di Albert Odisor.
Lungo il corso degli anni Quaranta, Alberto Sordi è impegnato soprattutto in teatro e nel doppiaggio, prestando la sua voce anche a Robert Mitchum e Anthony Quinn, nonché a Marcello Mastroianni per il film Domenica d’agosto. Il cinema gli concede solo piccoli ruoli, mentre alla radio ottiene un successo straordinario con: “‘Rosso e nero”’ e “Oplà”, presentati da Corrado, e poi con il programma “‘Vi parla Alberto Sordi”.
Nel 1950 ottiene finalmente un ruolo da protagonista nel film di Roberto Savarese Mamma mia, che impressione! L’anno successivo Fellini gli regala la grande occasione con la parte dello sceicco romanesco ne Lo sceicco bianco.
Nel 1953 Sordi conquista definitivamente il pubblico e la critica con I vitelloni, sempre diretto da Fellini, e con Un giorno in preturadi Steno, seguito nel 1954 da Un americano a Romadi Steno.
La carriera cinematografica di Alberto Sordi, da questo momento in poi, è una lista interminabile di titoli, con film presto diventati di culto e pellicole che hanno segnato la storia del costume del nostro paese. Negli anni Cinquanta interpreta, solo per fare pochi esempi, L’arte di arrangiarsi (1955) di Luigi Zampa, Un eroe dei nostri tempi (1955) di Mario Monicelli, Lo scapolo d’oro (1956) di Antonio Pietrangeli, con cui riceve il suo primo Nastro d’Argento come miglior interprete protagonista, Ladro lui, ladra lei (1958) ancora diretto da Luigi Zampa e soprattutto La grande guerra(1959) di Mario Monicelli e Il vigile (1960), sempre di Luigi Zampa, dove, nei panni dello spiantato Otello, crea uno dei suoi personaggi più divertenti.
Dopo aver ricevuto nel 1958 la prestigiosa carica di comandante della Repubblica Italiana, nel 1965 Alberto Sordi esordisce dietro la macchina da presa con Fumo di Londra, poi, nel 1968, ottiene un successo straordinario con Il medico della mutuadi Luigi Zampa e anche con Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?diretto da Ettore Scola.
Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971), Lo scopone scientifico (1972), Polvere di stelle(1973), Un borghese piccolo piccolo, con un Sordi mattatore che conferma di saper utilizzare abilmente anche il registro drammatico e di poter mescolare con sapienza il comico al grottesco, e poi Il marchese del Grillo (1980).
In coppia con Monica Vitti, sua partner perfetta, nel celebre Io so che tu sai che io so (1982) e poi insieme a Carlo Verdone in In viaggio con papà (1982) e Troppo forte (1986), Alberto Sordi riceve negli anni Ottanta molti riconoscimenti internazionali, che culminano al Carnegie Hall Cinema diNew York dove, nel novembre del 1985, si svolge la rassegna ‘Alberto Sordi – Maestro of Italian Comedy’. Ma la lista dei premi prestigiosi è ancora lunga: tre Nastri d’Argento, sette David di Donatello, due Grolle d’Oro, un Golden Globe, un Orso d’Oro a Berlinoe un Leone d’Oro a Venezia per celebrare la sua carriera.
Alberto Sordi è morto il 25 febbraio 2003, nella sua villa di Piazza Numa Pompilio, a Roma. Aveva 82 anni, e da tempo lottava contro una grave malattia. Il giornalista Michele Serra ha scritto di lui: “…Sordi riuscì ad essere il mostro della normalità italiana, dell’opportunismo smagato, dell’incapacità congenita di appartenere ad un campo ideale, ad una socialità condivisa” e ancora “… indimenticabile nei panni dell’italiano ruffiano, dell’italiano che tira a campare…” “Se n’è andata una metà di Roma, ma anche dell’intero Paese” dice la regista Lina Wertmuller. Pupi Avati, regista, lo pone accanto a Charlie Chaplin e Buster Keaton: se non altro per aver saputo, come loro, mettere insieme dramma e comicità, amarezze e ironia. Luigi Magni, il regista de “L’anno del signore“, lo identifica senza mezzi termini con il cinema italiano. “… era lui e basta”, dice “anche se con questo non voglio togliere nulla a tutti gli altri”.
Al suo funerale sono presenti molti politici, intervenuti come ho detto sopra, non per “circostanza“ ma per un omaggio sincero e dovuto. Eugenio Scalfari giornalista ne traccia un profilo illuminante: “…tra i grandi comici italiani del Novecento lui è stato quello che più e meglio di tutti ha simboleggiato il carattere del paese. Non a caso la sua immensa produzione cinematografica, la sua opera omnia fu definita “storia d’un italiano” poiché ha materializzato in personaggi, situazioni e storie una condizione umana tipicamente e inconfondibilmente nostra, composta da una mescolanza di difetti dai quali emerge poco meno che una etnia: familismo, sbruffoneria, furbizia, misoginia, vittimismo, bugie e soprattutto viltà, viltà fisica e morale.” Dice di lui il regista Monicelli “: … più un attore è grande e più è facile dirigerlo. Ecco, con lui era esattamente così …e non faceva il “divo”. “È un altro grande che se ne va”, dice Risi il regista, “ oggi ci sono bravi attori, ma grandi così no, in giro non ce ne sono”.
Il giorno dei funerali di Sordi, un piccolo aereo sorvolava i cieli di Roma con uno striscione che diceva: STAVOLTA CI HAI FATTO PIANGERE.
Forse con questo mio articolo avrò messo un po’ di tristezza negli amici lettori, ma la morte è sempre triste, anche quando è stata serena e circondata dall’affetto dei propri cari. Ci consola sapere che, sia L’Avvocato che Albertone, da lassù ci hanno insegnato tante cose: GIANNI AGNELLI che l’Italia è un partner affidabile e serio, e ALBERTO SORDI che abbiamo da smaltire ancora tanto provincialismo.
Coraggio, diamoci da fare, rimbocchiamoci le maniche, il mondo ha bisogno di noi e noi abbiamo bisogno del mondo, senza distinzione di razze, religioni e appartenenza, mantenendo certo vive le proprie tradizioni, ma aprendosi agli altri senza pregiudizi di sorta. Questi, secondo me, i più notevoli insegnamenti di questi due grandi: internazionalità e meno provincialismo.