Recensione di Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
Attila di Giuseppe Verdi è un’opera spesso considerata “minore”, poco rappresentata e un po’ trascurata. I melomani peppiniani si chiedono il perché, i critici e gli storici forniscono le le più variegate risposte. Ovviamente me lo sono chiesto anch’io, che sono una melomane peppiniana a tutti gli effetti.
Ascoltando l’opera a Modena, andata in scena al teatro Comunale Pavarotti il 2 il 5 e il 7 febbraio 2017, mi sono data una risposta personale: perché di Attila veramente grandi ce ne sono stati e ce ne sono pochi.
La parte di Attila contiene momenti di virtuosisismo per un protagonista che ha la vocalità del basso; momenti che pretendono l’assoluta padronanza del palcoscenico, non solo della propria voce.
A Modena Attila era Carlo Colombara. Avevo già ascoltato, recensito e intervistato proprio lui a Catania per la stessa opera, nel dicembre 2014, e l’ho trovato assolutamente grande anche nella città emiliana. La voce brunita, la precisione dell’esecuzione, il fraseggio mirabile, la chiarezza della dizione, la potenza e la correttezza dell’emissione fanno, a mio parere e non solo, di Carlo Colombara il miglior Attila sulle scene di oggi.
La fisicità, inoltre, conta, in quest’opera e al Colombara, trent’anni di carriera da festeggiare quest’anno, non mancano la presenza scenica e il portamento regale, che applica ai suoi personaggi, i quali, per forza di cose, si trovano ad essere spesso dei re o degli imperatori, come il suo amatissimo Filippo II dal Don Carlo e il suo zar Boris Godunov, ultimamente debuttato a Varna con grande successo.
Tornando alla messa in scena modenese, è d’obbligo passare in rassegna le altre voci e dunque veniamo ad un punto specifico in cui il melomane peppiniano s’impunta ascoltando l’Attila: il baritono Ezio e i suoi staccati; li aspetta al varco ancor più di quelli di Attila stesso. E se Ezio non li esegue, il melomane ne esce malissimo: è una questione di principio (ed anche di avere nelle orecchie l’esecuzione storica Ramey-Zancanaro-Muti alla Scala, 1991, che come termine di paragone farebbe tremare le ginocchia a chiunque).
Il baritono in scena deve essere un gigante anch’egli, come Attila. A parte aria e cabaletta che Verdi gli ha affibbiato, Ezio ha a che fare con un re barbaro, a cui l’autore ha affidato una parte vocalmente molto incisiva e potente ed il baritono è quasi costretto a gareggiare con il basso o rischa di esserne coperto e annientato.
Accostare ad un grande Attila una voce baritonale degna è un obbligo. E a Modena il baritono Vladimir Stoyanov ha dato il meglio. A parte l’emissione e la proiezione notevoli entrambe, quanto agli staccati di cui sopra, lo Stoyanov ha avuto la correttezza di eseguirli tutti. Dunque lode anche anche a lui. Mica facile, poi, tener testa a Carlo Colombara, che, a sua volta i propri staccati non li esegue soltanto, li cesella!
Dunque la qui presente melomane peppiniana a Modena è rimasta soddisfattissima: il duetto Attila-Ezio ha funzionato come un orologio. Gli staccati c’erano tutti, la potenza e l’amalgama delle due voci altrettanto.
La Odabella di Svetlana Kasyan, invece, era acerba ancora, in questa parte, necessitava di una maggiore precisione nelle agilità, di un fraseggio più accurato, di maggiore cura nei passaggi, di una messa a punto vocale complessiva del personaggio, nonostante la bella presenza scenica.
Foresto, Sergio Escobar, a sua volta, voce potenzialmente molto valida, soffriva di qualche problema d’appoggio e non solo, nonostante la fisicità imponente.
Corretti gli altri interpreti e il coro, diretto da Stefano Colò.
Il tutto sotto la bacchetta del M° Aldo Sisillo, alla guida dell’Orchestra dell’Opera italiana, il quale, sinceramente, avrebbe dovuto aggiungere un po’ di propellente al proprio entusiasmo verdiano e soprattutto infondere maggiore energia agli orchestrali. Tempi lasciati un po’ a se stessi, con qualche decelerazione, dinamiche da approfondire, ma nel complesso un buon sostegno per i grossi calibri sul palcoscenico, che affrontavano, tra l’altro, l’edizione integrale dell’opera, priva di tagli.
Gradevole la messa in scena di Enrico Stinchelli, che ha curato forse più il versante “romano” che quello “barbaro”, ma che ha ottenuto momenti godibili anche dal punto di vista visivo, con le proprie luci e con le scene e i costumi di Pier Paolo Bisleri dell’allestimento della Fondazione del teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste, nonché usufruendo di alcune suggestive proiezioni.
Da questa produzione della Fondazione del teatro Comunale di Modena verrà tratto un CD e il melomane peppiniano attende di riascoltare l’opera in registrazione…I famosi staccati, ovviamente, prima di tutto.
Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
PHOTOS © Teatro Comunale di Modena, AA.VV.