Recensione di Marina Agostinacchio
Il primo luglio, è andata in scena, con un nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice nell’ambito di Estate Fenice 2016, Mirandolina, opera degli anni ’50 del compositore ceco Bohuslav Martinů.
Ispirata alla commedia di Carlo Goldoni La Locandiera, messa in scena a Venezia al Teatro Sant’Angelo nella prima metà del gennaio del 1753, l’opera buffa in tre atti ripropone in chiave moderna il personaggio femminile a celebrazione della grazia, dell’astuzia e dello spirito seduttivo della donna.
Personaggio centrale dell’ opera del Goldoni, scaltra, gaia e intelligente imprenditrice che deve fare fruttare l’eredità consegnatale dal padre, nella fattispecie una locanda, nell’opera dello scrittore veneziano, Mirandolina incarna il gioco allegro e spregiudicato dell’essere muliebre; sa farsi ammirare, corteggiare, vivere la stagione della giovinezza della cui brevità è consapevole (alla fine sposerà Fabrizio per rientrare nel ruolo che la vita pare assegnare alla donna del tempo, all’interno di una lineare borghese quotidianità). Con astuzia ed equilibrio, Mirandolina sa mettere in atto tutte le astuzie femminili per fare cadere il misogino cavaliere di Ripafratta ai suoi piedi e per poi ridurlo a disperazione.
Nella trasposizione operistica, l’idea centrale é quella della seduzione e ruota intorno alla protagonista e alle sulle sue arti seduttive, ai danni del cavaliere, sicché ogni altra caratterizzazione di personaggi secondari, appartenenti alla commedia, scompare in Martinů che ristruttura il testo goldoniano secondo un sapiente montaggio di tessitura musicale.
L’allestimento in pannelli mobili a cura di Massimo Cecchetto, pur geniale nella ricreazione dell’ambientazione (la locanda si connota dei lussi offerti dai servizi di un centro-benessere) si muove su uno sfondo scenografico essenziale che fa pervenire in modo immediato all’occhio dello spettatore, come in uno sbalzo scultoreo, le fragilità umane: i personaggi quasi in una caricatura assumono le caratteristiche dei vizi e della superficialità di una società ahimè omologata nella prassi di vita e nella richiesta di esigenze esistenziali, assunte come indispensabili e necessarie.
Si deve sottolineare, tuttavia, che proprio in forza della volontà precisa di una messa a fuoco della protagonista come del messaggio del compositore ceco, attraverso le parole e i conseguenti tagli operati nella pièce teatrale, il personaggio di Mirandolina non convince del tutto nella realizzazione degli intenti del musicista di formazione praghese tanto nella resa vocale quanto in quella plastica. E ciò, forse, tradendo in tal modo, le aspettative di un pubblico esigente.
Le stesse figure femminili che fanno corolla alla protagonista, nel ruolo di Ortensia eDeianira, e che proprio Martinů aveva “salvate” dai tagli operati da lui stesso su altri personaggi, ed eliminate da precedenti riscritture in musica, appaiono vocalmente fragili al cospetto degli uomini tutti, sul palco della Fenice.
C’è un intento parallelo di fondo tra scrittore e musicista nella visione del gioco d’amore. In entrambi i protagonisti di questa recita che nell’opera scritta incarnano la riforma del teatro italiano, rispetto a quelli piuttosto “macchietistici” della Commedia dell’Arte, vivono in nuova prospettiva, da cui ricevono luce nuova. Per questo la parola la fa da padrona, sia essa parlata sia modulata in vibrazione vocali. Nell’opera musicale, inoltre, si dà spazio anche “al recitato”, quasi a sottolineare una singolare sintonia tra Martinů e Goldoni. Qui infatti cantato e parlato si sposano felicemente, quasi per uno strizzarsi d’occhio, seppure lontano, tra i tempi di vita dei due artisti. E allora, quale migliore risoluzione se non quella di conferire dignità in tutte le sue parti ai personaggi scelti, dando ampio spazio nella potenza strumentale, ampia e avanguardistica a voci altrettanto “importanti”?
Si sa che ogni cantante ricopre una parte specifica all’interno di una composizione melodrammatica. In genere viene assegnato un ruolo in base alle caratteristiche del personaggio recitante. Ci è parso pertanto che nel “comparto femminile” di Mirandolina (Silvia Frigato -soprano), Ortensia (Giulia Della Peruta -soprano), Deianira (Laura Verrecchia -mezzosoprano) non si sia raggiunto un livello ottimale nella scelta dei personaggi, scelta che in altre occasioni ha convinto per la felice coincidenza del ruolo con le caratteristiche vocali . Insomma si è assistito a una forzatura; si è avuta l’impressione di una pretesa: ottenere dei suoni non fisicamente possibili alle corde vocali. Al cospetto si sono stagliate su tutto le voci maschili, in particolare modo il baritono Omar Montanari (il cavaliere di Ripafratta) il cui “legato” a cui è pervenuto nel tempo per le caratteristiche fisiologiche connaturategli ha confermato il superbo effetto espressivo nel ruolo del cavaliere e il tenore Leonardo Cortellazzi (Fabrizio) dotato di una voce limpida, che ha saputo incarnare con buona capacità la parte poco ampia destinata al personaggio dal compositore ceco, attraverso una linea di canto nostalgica dalla tessitura acuta.
Buona, infine, la resa degli altri contendenti della locandiera, Bruno Taddia e Marcello Nardis, rispettivamente nei ruoli del marchese di Forlimpopoli e il conte d’Albafiorita, che con sapiente maestria scenica hanno saputo chiudere il cerchio dei personaggi principali dell’opera. Lodi anche a Christian Collia, che porta in scena il servitore del Cavaliere.
Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia diretta sapientemente dal M°John Axelrod che ha infuso carattere e colore al comparto orchestrale.
I costumi sono di Carlos Tieppo, le scenografie di Massimo Cecchetto, la regia affidata al promettente Gianmaria Aliverta.
Si replica fino al 14 luglio.