Di Isabella Rossiello
La lugubre storia di due regine, Maria Stuarda regina di Scozia e d‘Inghilterra e Elisabetta I Tudor regina d’Inghilterra, appartenenti e sostenitrici della religione cattolica la prima, protestante la seconda.
Due donne molto diverse anche per personalità, Maria educata alla raffinata corte di Francia e sposa tre volte: del re di Francia Francesco II, Enrico Stuart e James Hepburn, bella e colta.
Elisabetta è figlia di Enrico VIII, che condannò a morte sua moglie e madre della piccola Elisabetta Anna Bolena, considerata bastarda, affascinante ma non bella senza figli né marito, ebbe amanti ma non si sposò mai; era considerata la regina vergine perché sposata alla sua Inghilterra.
Tra le due regine sorsero conflitti non solo religiosi ma soprattutto di potere, Elisabetta I Tudor tenne prigioniera Maria Stuart per 19 anni, che comunque dalla prigione tramava per rovesciare il fiorente regno di Elisabetta fino a decretarne la condanna a morte per decapitazione.
Il dramma di Friedrich Schiller, composto nel 1800, racconta gli ultimi giorni di Maria Stuarda regina di Scozia imprigionata in Inghilterra ufficialmente per l’omicidio di suo marito Darnley; Elisabetta è titubante nel firmare la condanna a morte e affida la sua vita a Mortimer (personaggio creato da Schiller) che dovrebbe consegnare una lettera al conte di Leicester Robert Dudley, che comunque appoggia Elisabetta. Le due si incontrano (in realtà non è mai avvenuto) ma litigano furiosamente perché Maria si rifiuta di sottomettersi; inoltre, con l’infruttuoso complotto di Babington Mortimer si suicida.
Elisabetta firma la condanna a morte e la consegna al suo sottosegretario Davison senza una precisa istruzione; Lord Burleigh la prende e fa decapitare Maria.
Elisabetta viene a sapere della morte della cugina e condanna i due alla prigione e al bando dall’Inghilterra; il conte di Leicester abbandona la sua terra natia per la Francia, ed Elisabetta rimane sola. Sipario.
Questa la versione di Schiller che viene ripresa dal regista Davide Livermore, un curriculum ricco di successi in ogni ambito in cui si è proposto, regia, scenografia, costumista, attore, tenore, direttore artistico del teatro di Torino e attualmente del Teatro Nazionale di Genova.
Livermore ha cambiato il modo di fare teatro, a volte contestato o visceralmente amato.
Il teatro “moderno” come tutta l’arte la si ama o la si detesta, la pièce teatrale è molto fedele al testo di Schiller anche se dubito che il poeta, drammaturgo, filologo e saliente figura della letteratura tedesca avrebbe gradito due masturbazioni in scena, per carità nulla di “visibile” ma fortemente evocative.
Le due regine sono Elisabetta Pozzi e Laura Marinoni, che ogni sera scoprono insieme al pubblico se vestiranno i panni di Maria o Elisabetta suggerito dal ruolo del “caso” del destino.
Un intreccio complicato, ricco di colpi di scena, come nei feuilleton ottocenteschi, due donne e i loro drammi personali, le titubanze, i sensi di colpa, le fughe dalla propria coscienza o i conti con essa.
Elisabetta e Maria in scena sono riccamente vestite dagli stilisti Dolce&Gabbana, una ricchezza di strass, luce accecante ma anche un abito floreale e veli neri.
Tre ore con intervallo, una scenografia “minimalista” fatte di scalinate (la vita fatta di dolorose salite e altrettante dolorose discese?) meraviglia l’accompagnamento musicale di chitarra e voce di Robert Dudley, riconoscibilissima la magnifica Nothing else Mattters del gruppo heavy Metal Metallica.
Il teatro Bonci di Cesena presenta un calendario variegato e sempre di qualità, l’ERT è una potente “arma” di cultura per fortuna in un mondo ricco di programmi scialbi e volgari, il teatro colto è un’ancora di salvezza.
Un grazie non solo alle due primedonne ma agli attori: Gaia Aprea in più ruoli come tutti, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi.
La costumista è Anna Missaglia, allestimento scenico di Lorenzo Russo Rainaldi, musiche di Mario Conte e Giua, le luci Aldo Mantovani, assistente alla regia Mercedes Martini le foto di scena sono di Alberto Terrile e Masiar Pasquali.
Dopo il sipario e standing ovation del pubblico una graditissima sorpresa, il cast balla al suono della canzone di Annie Lennox Sweet Dreams quasi a sciogliere l’angoscia di questo dramma di potere e religione, tra l’altro estremamente attuale