Friday, November 22, 2024

James Dean, attore. Un giovane attore

Di Stefano Cominale

James Dean
James Dean

Trovo sempre triste, superficiale ed arrogante, leggere improvvisate recensioni di improvvisati esperti il cui solo scopo è quello di asserire che la stella di James Dean brilli esclusivamente di una luce iconografica che non va oltre il suo personaggio da rebel boy. Poi ci rifletto su, ci rifletto bene. Arrivo ad una conclusione democratica e mi autoconvinco che un certo tipo di iter critico passa un po’ per tutti gli artisti che fanno della loro vita una sceneggiatura vera e propria. È sempre così per i professionisti a cui una morte prematura finisce per appiccicare un’etichetta bohémienne atta ad appannare con la spettacolarizzazione estrema gli enormi sforzi artistici. Basti pensare ai vari Modigliani, Basquiat, Joplin, Morrison, Kobain, Hendrix, Parker. Ma come loro, talenti di indubbio spessore, James Byron Dean ha regalato al pubblico un inestimabile patrimonio spettacolare al quale non rende giustizia il tenue marchio di bello e tormentato. Tra il 1955 ed il 1956, il ragazzo dell’Indiana colleziona tre gemme che entrano inequivocabilmente nella storia della cinematografia. Solo tre. Poi la morte. Quella inaspettata, improvvisa e, visti i referti delle autorità, alquanto paradossale; la morte di una testa calda a bordo della sua fiammante Little Bastard.

Prima di essere un soggetto in contumacia di artisti come Warhol e Rotella, James Dean recita nel ’55 in La Valle dell’Eden, film diretto (e prodotto) da Elia Kazan all’alba del Cinemascope. Il suo è un personaggio che funge da premessa a quello di Gioventù Bruciata. Cal è un figlio sovversivo di una famiglia tradizionale, figlio insofferente dell’America intera. Egli è metaforicamente il fratello maggiore di Jim Stark di Gioventù bruciata: solo forse più duro, più aspro, rispetto al Rebel Without Cause diretto da Nicholas Ray nel ’55. Ed è proprio nel secondo lungometraggio che James Dean diviene l’icona della generazione debole, confusa: beat! La ricerca del brivido, dell’emozione, dell’adrenalina, non sono nient’altro che un modo per sentire la propria esistenza fra le dita, un doveroso atto di vitalità, un’ode a se stessi senza curarsi delle oggettive conseguenze. Il giovane diventa uomo nel 1956. Ne Il Gigante, Jett Rink “Dean” riesce perfino a capovolgere il tavolo: lotta, aspetta e diviene ricco, ricchissimo. Il suo denaro, però, non vale quanto la felicità che vede sfuggire lentamente col passare degli anni.

Una felicità che, nell’arco della sua esile filmografia, non raggiungerà mai uno stato catartico. James Dean non lo nasconde, nemmeno quando toglie la maschera; non si cela in nessuna occasione dietro la sua stella hollywoodiana. Fa soltanto del suo corpo da “Actors Studio” e del suo sguardo tagliente, angelico, notturno, un mito introverso non ancora uomo.

Sì, perché James Dean era solo un ragazzo. Un ventiquattrenne a cui la maturità incuteva un timore innato, uno di quei giovani che si incontrano nelle sale da biliardo di ogni città, che si divertono a porre l’accento su un limite che va al di là dei limiti, ammesso che ne esistano in questo mondo.

A me non sembra così scandaloso. Scandaloso è denudare James Dean, psicanalizzarlo senza gusto, strappargli i panni di attore, di grandissimo attore, per darlo in pasto alla leggenda effimera e alla banalità da ultima pagina.

James Dean, il bastardo, il ribelle, l’innamorato, il malinconico, il giovane James Dean, resta un artista che attraversa gli Stati Uniti da una costa all’altra fino a raggiungere il vecchio mondo ben oltre il tempo, ben oltre le innovazioni filmiche, ben oltre le etichette sterili da divo dannato.

 

 

 

 

 

redazione
redazione
Tiziano Thomas Dossena, Leonardo Campanile, LindaAnn LoSchiavo, and Dominic Campanile

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