S’era di giugno inoltrato.
Calava il sole dietro le montagne e l’ultimo spicchio appena affiorante ne sottolineava il profilo irregolare con un riverbero rosso.
Dal parco vicino alla casa giungevano acute le risa di un bambino. Una voce femminile lo chiamò con tono deciso: “ Mattia, è tardi. Vieni su, è ora di cena”.
“Ma, mamma! Tombola deve ancora fare pipì!”
“ E’ in tavola, Mattia, pipì o non pipì!”
Isidoro Semolini sorrise e si affacciò alla finestra. Si sporse nel tentativo d’intravvedere, tra il garbuglio dei platani, un bimbo e una cagnetta. Non vide nulla, ma aspirò con gratitudine la parvenza del profumo di un tiglio e accolse sul viso l’illusione dell’impercettibile brezza della sera, indulgenza benedetta d’un’estate precoce. Gli giunse all’orecchio il frinire lontano, che accolse come una gentilezza, d’una cicala tiratardi, testarda nell’incedere inflessibile del crepuscolo. Indugiò sul davanzale per un bel po’: si perse nell’intrecciarsi alto nel cielo dei ghirigori delle rondini e osservò, laggiù in strada, le persone che rientravano in casa, e due macchine parcheggiarsi nei posti assegnati.
Con calma, decise di prepararsi la cena. Tagliò in quattro sei pomodorini ciliegina che aggiunse all’insalata mista, già tagliata in busta. Aprì una scatola di sardine portoghesi sott’olio e desinò, accompagnando il tutto con un bicchiere e mezzo di rosso.
Pane, niente.
Per continuare a leggere, clicca sull’illustrazione….