Thursday, December 26, 2024

Infodemia, profezia autoavverante

di Marco Ferrazzoli

La proliferazione di comunicazione si autoalimenta in un modo inevitabile. L’urgenza del problema è evidente. Basti pensare all’insistenza di papa Francesco sul pettegolezzo, alla teoria socratica dei “tre setacci”, alla preoccupazione dell’Oms per le informazioni non corrette, non chiare o non complete su Covid. A livello popolare, la si deduce da alcuni modi di dire: “Il silenzio è d’oro”, “Un bel silenzio non fu mai scritto”, “Usi obbedir tacendo”, “Taci! Il nemico ti ascolta”, “Pensa prima di parlare” o “Acqua in bocca”, “Tenersi un cecio in bocca”…

Scrivere o parlare di “infodemia” significa entrare in un circolo vizioso, una profezia autoavverante, una contraddizione in termini, un paradosso: la proliferazione di comunicazione e informazioni, messaggi che questo termine definisce si autoalimenta in un modo assolutamente inevitabile dal quale nessuna notizia o commento, anche critici, possono sfuggire. Premesso ciò, l’urgenza del problema è sempre stata evidente anche a livello popolare, come si deduce da alcuni modi di dire e proverbi: “Il silenzio è d’oro”, “Un bel silenzio non fu mai scritto”, il motto dell’Arma dei Carabinieri “Usi obbedir tacendo”, “Taci! Il nemico ti ascolta” di infausta memoria bellica, l’esortazione “Pensa prima di parlare” o “Acqua in bocca”, che il romanesco traduce come “Tenersi un cecio in bocca”…

Ma basti pensare anche all’insistenza con la quale papa Francesco ha sempre bacchettato il pettegolezzo, la maldicenza, il “chiacchiericcio”. Peccato forse veniale ma molto diffuso e in qualche misura legato anche all’esplosione di voci contraddittorie nelle quali lo stesso pontefice è stato coinvolto a margine della scomparsa di Joseph Ratzinger, da catalogare però più nel genere retorico dei cosiddetti “veleni”. Sempre a partire dalla morte di Benedetto XVI e di altri personaggi popolari, come gli amatissimi calciatori Gianluca Vialli, Sinisa Mihajlovic e Pelè, solo per stare agli ultimi avvenimenti (ma processi simili li abbiamo avuti nel recente passato anche per altre categorie di esponenti pubblici), si è prodotta un’eco, un riverbero retorico di cui si nota la progressiva pervasività. E rispetto al quale – sebbene la maggioranza dei membri della comunità sociale tenda ad assecondare l’amplificazione, poiché contagiata dal processo emotivo ed empatico conseguente al lutto – non poche sono state le reazioni che potremmo definire di “rigetto”, rispetto a quella che è stata per l’appunto avvertita, con tutto rispetto per i personaggi scomparsi, l’ennesima “infodemia”.

Ma che la morale abbia sempre avuto chiara la negatività della tendenza a parlare troppo e in modo non corretto lo dimostra il fatto che già Socrate aveva elaborato la teoria secondo cui dovremmo filtrare ciò che diciamo con “tre setacci”: la verità, la bontà, l’utilità. La preoccupazione per l’infodemia è però esplosa, come è noto, soprattutto in anni recenti con la pandemia da Covid-19, quando la stessa Organizzazione mondiale della sanità si è preoccupata di come le informazioni non corrette, non chiare o non complete circolanti sulla diffusione del virus e sulle modalità di contrasto potessero determinare comportamenti tali da aggravare la situazione sanitaria.

Tale preoccupazione, al di là della vicenda specifica, rende chiari alcuni aspetti mediologici su cui non sempre si riflette. In primis, che non c’è distinzione tra la realtà di fatto e la sua diffusione mediante un qualunque canale da una fonte ai destinatari, cioè tra l’oggetto e il processo di comunicazione. L’idea che l’informazione e la comunicazione siano una mera rappresentazione va, cioè, abbandonata in favore di una visione più complessa, nella quale lo stesso racconto determina la realtà e quindi impone ancora maggiore rigore nella trasmissione dei contenuti.

Copertina del volume Pandemia e infodemia

Questo viene spesso, molto spesso, e un po’ banalmente, ricondotto al problema delle cosiddette fake news, bufale e post-verità, per usare solo alcune delle espressioni con le quali si definisce il problema di notizie non corrette, talvolta intenzionalmente diffuse per ottenere degli scopi precisi. E che in realtà è soltanto una derivata di un processo molto più significativo, cioè l’aumento delle informazioni e delle comunicazioni in generale, all’interno del quale poi, con una proporzione variabile, si inserisce quello dei messaggi non veritieri e non verificati. Problema e processo che ovviamente si legano alla nascita di sistemi tecnologici e di reti che consentono a ciascun utente di essere non solo destinatario ma anche fonte, determinando quindi processi di trasmissione che non sono più univoci o lineari né semplicemente circolari ma, per l’appunto, a rete. O forse sarebbe meglio dire a groviglio: in questa matassa distinguere i singoli contenuti o anche gli emittenti per attendibilità è molto complicato, sia per l’impreparazione del destinatario a discriminare ma, soprattutto, perché l’aumentare delle comunicazioni comporta la riduzione di concentrazione che poniamo a ciascuna di esse in termini anche temporali. Ecco perché la durata e la misura di ciascuna notizia si riduce progressivamente. Ecco perché rispetto allo scritto si preferisce la forma orale e iconica.

Questa tendenza può più o meno piacere ma è talmente legata al processo di evoluzione dei nostri tempi che ben difficilmente si potrà pensare di rallentare o, addirittura, tornare indietro. Per esempio, frenando, controllando, classificando i contenuti alla fonte: da parte di quale autorità “superiore”, in quali modi che non confliggano con la convinzione, talvolta fraintesa, che il diritto a esprimere liberamente la nostra opinione sia la base della civile convivenza democratica? Quindi, in parallelo al pur necessario tentativo di alfabetizzare tecnologicamente e culturalmente i pubblici perché siano pronti a recepire i flussi informativi loro diretti o che comunque li raggiungono, sforzo che viene diretto in particolare verso i giovani mediante la formazione scolastica e universitaria, bisogna operare verso le fonti, spesso gestite da persone ancora provenienti da cultura sostanzialmente analogica, perché siano in grado di tradurre nei nuovi codici di comunicazione i contenuti più autorevoli e pregnanti.

Per esempio quelli istituzionali, quelli scientifici, economici, relativi alle grandi vicende della geopolitica internazionale, diffondendoli in termini, modalità e tempistiche adatte a questo a questa galassia, ormai molto distante da quella che McLuhan aveva definito come “Gutenberg”, e persino da quella televisiva con la quale gli attuali boomers sono stati mediamente allevati. Intendiamoci: nella comunicazione non c’è nessun processo sostitutivo, bensì delle continue integrazioni e aggregazioni, per cui ancora oggi scritto, suono e immagine, stampa, video e audio convivono assieme. Ma in una bolgia nella quale spesso è difficile orientarsi persino agli addetti ai lavori più esperti.

[Almanacco della Scienza N. 1, gennaio 2023]

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