Ogni cosa al suo posto ed un posto per ogni cosa: mai questo detto fu più attinente rispetto allo spettacolo che è andato in scena il 9 agosto 2013 al Teatro Romano di Volterra. Il cartellone di quest’anno del Festival Internazionale del Teatro Romano “Il verso, l’afflato, il canto” della stupenda cittadina toscana si è chiuso nel “luogo dei luoghi”, lo splendido teatro romano, per il cui restauro e valorizzazione il Direttore Artistico Simone Domenico Migliorini, affiancato da un compatto Staff, si batte senza sosta, a colpi di grande Teatro.
Dunque, non un semplice recital, ma una specie di ritorno alle origini, ai luoghi amati e desiderati di Volterra, all’effettiva sede del Festival, costretto da qualche anno a decentrarsi, ma sempre animato da una forza inarrestabile, che è quella della vera passione per l’Arte e la Cultura.
“Il verso”, oggi, questo sconosciuto. Nelle Accademie non si insegna quasi più a declamarlo, a “dirlo”, a “trasmetterlo” con il sentito, vibrante partecipare cosmico dell’”afflato”, a riportarlo alla luce da volumi ormai quasi dimenticati in polverose biblioteche.
E allora, l’amore per questo genere di poesia ed il credere fermamente che debba comunque restare a far parte del patrimonio del grande Teatro, ha spinto l’attore e regista volterrano, nel solco indelebile tracciato dal suo grande maestro Albertazzi, a mettere in scena le parole, la musicalità del verso, la dizione raffinatissima e coinvolgente, il pathos che antiche parole, oltre che in Italiano anche nelle antiche lingue Greca e Latina, riescono a suscitare nel pubblico ancora oggi.
Il Recital “Come nebbia sottile e lieve sogno”, quindi, ha galvanizzato la “notte bianca” dedicata a Volterra al repertorio musicale e teatrale “classico”, all’interno di quei luoghi sacri, che immobili ed illuminati da pochi riflettori, accoglievano e rimandavano i suoni delle voci degli attori così come un tempo, forse, lo stesso Vitruvio aveva progettato che accadesse. L’acustica, infatti, in ogni parte del teatro, nonostante l’orchestra e la scena siano purtroppo inagibili, è generosa e ha favorito il crearsi di un’atmosfera magica, quasi sacrale, riportando gli spettatori a tempi misteriosi e indefiniti.
In un’aura davvero senza più calendari, allora, si sono levate nella notte, alla sola luce di piccole lampade sulle pagine degli interpreti, le voci degli eroi e delle eroine di una mitologia greca che è tanto antica quanto eterna.
Simone Domenico Migliorini ha dato fiato, suono, anima e sentita atmosfera evocativa ai versi, accompagnato dagli ottimi allievi del Laboratorio Teatrale “Dolce e amara, indomabile belva…”, studio e casting per la Salomè di Oscar Wilde nell’ambito del Festival: Paola Salvadori ha dato voce dolente a Penelope ed al naufrago, Chiara Marchetti intensa interpretazione alla veggente Cassandra ed alla poetessa Saffo, Andrea Colangelo ha interpretato con sentita partecipazione le parti di Enea e di Alceo e, tutti insieme, hanno fatto anche da Coro tragico, pure in greco antico; in particolare, le due voci femminili, da suadenti, letali sirene in sottofondo ai versi declamati dal Maestro.
In un dispiegarsi di magnifica traduzione di Omero dal I e dall’ XI Canto dell’Odissea, di brani in latino dall’Eneide di Virgilio; di intersecarsi di brani originali in prosa abilmente creati ed integrati nei Classici da Alma Daddario, a cui si deve anche la cura complessiva dei testi, con la scelta indovinata dei brani poetici in versi e che, con preziosi inserimenti drammaturgici originali, ha dato vita proprio a Penelope, Cassandra ed al naufrago; di un proseguire, seguendo il filo conduttore di Odisseo e del suo viaggio, con i versi immortali di Foscolo (a Zacinto…o dell’esilio), il padre Dante ha concluso il récital con il suo Ulisse, dal canto XXVI
dall’Inferno della Divina Commedia, chiudendo con il celeberrimo “(…) infin, che il mar, fu sopra noi richiuso”.
Gli spettatori, anche stranieri, in piedi, incantati, hanno seguito quella “musica parlata” in un silenzio irreale, come ipnotizzati…E’ l’effetto dell’ antico che non perisce e, prima o poi, ritorna, non solo nel luoghi, ma soprattutto nello spirito di chi abbia la sensibilità di accogliere l’arte raffinatissima del verso sulle labbra, ormai rare e fascinatrici, dei “fini dicitori”.