L’Italia per Dante è il “bel paese là dove ‘l sì suona” (Inferno, XXXIII, 80) di cui egli mostra una profonda conoscenza: dalle città ai fiumi, dai laghi alle vette. Le località vengono menzionate chiaramente o indirettamente, attraverso i riferimenti a un corso d’acqua, a un’altura o a un edificio che le caratterizza. I richiami geografici non riguardano solo la nostra Penisola, di cui cita oltre cento luoghi, ma sconfinano in altre nazioni conosciute dalle carte geografiche del tempo.
Da nord a sud dello Stivale è possibile ricavare una sorta di mappa delle città importanti nel Medioevo che oggi, grazie alla loro storia, richiamano molti visitatori. Si va da Trento a Genova, Milano, Bergamo, Venezia, Padova, Bologna, per scendere verso il centro, con Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Carrara, proseguendo nel Meridione verso Napoli, Benevento Cosenza, lo Stretto di Messina e Palermo. Ma sono tanti anche i centri minori, come Peschiera del Garda, Luni, Prato, Pistoia, Cecina, Fano, Cattolica, Tarquinia, Anagni, Tagliacozzo, Benevento, Canne.
Il paesaggio della Pianura Padana – “Lo dolce piano / che da Vercelli a Marcabò dichina” (Inferno, XXVIII, 74-75) – e delle Prealpi venete suscita in Dante una forte nostalgia per la sua Toscana, lo affascina profondamente soprattutto per la presenza dominante, l’abbondanza e varietà delle acque, in particolare cita Verona, fino a Mantova e Ravenna. Invece Cunizza da Romano descrive la situazione politica della “terra prava italica che siede tra Rialto / e le fontane di Brenta e Piave” (Paradiso, IX, 24-27) cioè la Marca Trevigiana, disegnandone il profilo geografico con i sei fiumi che scorrono nel Nord Est per sfociare nell’Adriatico: Brenta, Piave, Adige, Tagliamento, Sile e Cagnano. Lo ricorda Laura Pighi in “Dante e l’ambiente” (Arpav, Padova, 2008): “Peschiera è importante perché vi ha inizio il Mincio, uno dei fiumi più presenti nei ricordi virgiliani di cui Dante descrive il corso fino a Governalo” (Inferno, XX, 73-78). Dante mostra quindi un’attenta conoscenza idrografica del suolo italiano, testimoniata dal riferimento a fiumi importanti, tra i quali anche il Po, il l’Arno, il Liri, che si accompagnano a corsi d’acqua minori come l’Acquachera dell’Appennino tosco-emiliano, il Savena nei pressi di Fiorenzuola, l’Arbia che attraversa il Chianti.
I luoghi della Commedia sono inoltre oggetto di interesse da parte dei geologi da molto tempo. “Come è noto alcuni pensano che Dante sia nato in qualche località in cui le manifestazioni geotermiche erano molto evidenti, come Montegemoli, vista la realistica vivacità con cui il poeta rende i tratti di un territorio che parrebbe essere proprio quello”, spiega Mario Tozzi, divulgatore e ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche. “Ricordiamo anche che la Gran Ruina citata dal poeta è il primo esempio letterario di descrizione di una frana, anzi di un crollo di massi rocciosi, e si riferisce a quella dei Lavini di Marco: la frana della Val Lagarina, nei pressi di Rovereto, caduta nell’883 con un fronte di oltre 6 km. In questo caso si tratta di due luoghi poco noti ai più, due siti dell’Italia marginale, che varrebbe la pena di conoscere”.
Della Toscana il poeta riecheggia le selve e le paludi della Maremma, trasfigurate nella palude Stigia e nella selva dei suicidi. “Nelle acque sulfuree e termali che caratterizzano l’idrografia infernale non si può non riconoscere Larderello, quando ci si addentra nelle lande ancora piuttosto impervie della Toscana metallifera: lunghissimi e nervosi corrono chilometri di vapordotti lucenti per le colline, grossi stabilimenti sbucano ogni tanto fra i boschi e sbuffi di vapore bianco punteggiano la campagna”, continua Tozzi. Larderello è così chiamata in onore di François Jacques de Larderel, ingegnere e imprenditore di origine francese che per primo utilizzò queste risorse naturali. Nel 1846 il granduca Leopoldo II impose allo stabilimento il nome del fondatore. “Montegemoli, ammesso sia questo il vero luogo natale di Dante, è appena a nord di Larderello ed egli nelle Rime scrive: Versan le vene le fummifere acque / Per il vapor che la terra ha nel ventre. Gli uomini di allora avevano costantemente davanti agli occhi: soffioni, cioè getti di vapore violenti e molto caldi, lagoni, pozze o piccoli crateri con acque bollenti gorgoglianti a causa dei gas in risalita dal profondo, peraltro il paesaggio tipico dell’Inferno dantesco”, conclude il ricercatore.
Sandra Fiore
[Da “Almanacco della Scienza, N. 22 – 2 dic 2020, Quindicinale a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche]