Sunday, November 24, 2024

Dal rilevatore di fulmini alle previsioni meteo

di Rita Bugliosi

Con la realizzazione di un rilevatore di fulmini si può dire che Guglielmo Marconi abbia aperto la strada alla meteorologia moderna, che permette di prevedere il tempo, rendendo così più facile organizzare la giornata, scegliere l’abbigliamento da indossare, ma anche stabilire eventuali date per gite o viaggi. Bernardo Gozzini, direttore del Laboratorio per il monitoraggio e la modellistica ambientale del Cnr spiega come le previsioni vengono effettuate, ma anche come è impossibile che diano risultati del tutto certi

Guglielmo Marconi è stato l’artefice di una delle più rilevanti invenzioni, la comunicazione senza fili, che ha portato con sé importanti conquiste per l’uomo: dalla radio alla televisione fino all’attuale wireless, che permette una connessione tra due o più dispositivi – per esempio un computer e una stampante – senza la necessità di un cavo. Sebbene se ne parli meno, il giovane scienziato a soli 20 anni realizzò anche un rilevatore di fulmini, composto da una pila, un coherer (cilindro di vetro con all’interno limatura di nickel e argento posta fra due tappi d’argento) e un campanello elettrico che doveva suonare in caso di temporale. Si può quindi in un certo senso dire che l’inventore della telegrafia senza fili ha anche dato inizio, integrando le tecnologie a cui stava lavorando in quel momento, alle previsioni meteorologiche, alle quali tutti oggi facciamo riferimento quando dobbiamo organizzare brevi gite o vacanze, ma anche semplicemente per sapere come è meglio vestirsi prima di uscire per non soffrire il freddo o il caldo. Insomma, consultare sul cellulare le app meteo disponibili è diventata ormai un’abitudine diffusa, ancor di più ora che gli eventi climatici estremi – dalle ondate di calore alle piogge torrenziali, dalle inondazioni alle tempeste di vento, dalla siccità alle grandinate – sono più frequenti.

Sebbene siano molto consultate, non si sa però molto di come le previsioni meteo vengano fatte, di quanto si tratti di un’attività complicata e che non sempre riesce a dare risultati sicuri, come evidenzia Bernardo Gozzini, direttore del Consorzio Lamma  (Laboratorio per il monitoraggio e la modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile) del Cnr: “Nonostante l’evoluzione tecnico-scientifica, la meteorologia resta una scienza dell’incertezza, dal momento che ha a che fare con un sistema complesso qual è quello dell’atmosfera; quello del meteorologo è tutt’ora un mestiere complicato, anche se oggi i professionisti del settore possono contare sul grosso supporto della tecnologia”.

Vediamo allora meglio in cosa consiste l’attività del meteorologo. “Al centro di tutto c’è il previsore che, grazie alla propria esperienza, cerca di comprendere al meglio l’evoluzione dello stato dell’atmosfera, affidandosi alle proprie competenze e alle informazioni che riceve, da un lato, dalle reti globali di osservazione, il ‘cosa succede adesso’, e, dall’altro, dalle simulazioni dei modelli numerici, che dicono invece ‘cosa accadrà nelle prossime ore/giorni’”, spiega il direttore del Cnr-Lamma. “I modelli matematici, infatti, simulano il comportamento dell’atmosfera e descrivono l’evoluzione dei parametri atmosferici basandosi sulle leggi della fisica, a partire dai dati che provengono dalle reti di osservazione, come i satelliti, i radar, i palloni sonda, le boe oceanografiche, fino alle singole stazioni meteorologiche. Esistono molte reti globali e locali di stazioni meteorologiche situate in aeroporti, nelle città, sui monti e persino sugli oceani e queste raccolgono costantemente informazioni su temperatura, pressione, velocità del vento, precipitazioni e altri parametri. A questi dati si aggiungono quelli provenienti dai satelliti che, orbitando attorno alla Terra, acquisiscono immagini dell’atmosfera e della superficie terrestre, fornendo informazioni preziose sulle nuvole e su altri fenomeni meteorologici. Anche i radar giocano un ruolo importante: grazie a queste particolari antenne poste in genere sui rilievi per evitare ostacoli si riesce, utilizzando le onde radio, a stimare la quantità di acqua precipitabile contenuta nelle nuvole, aiutando così a prevedere l’intensità e il movimento delle perturbazioni e permettendo di monitorare in tempo reale (nowcasting) lo sviluppo di temporali e altri fenomeni convettivi”.

Pioggia

Una volta ottenuti questi dati si passa alla fase successiva, che prevede il loro utilizzo. “Tutte i dati raccolti dalle stazioni, dai satelliti e dai radar forniscono una “fotografia” della situazione in atto, le cosiddette ‘condizioni iniziali’ che servono ad alimentare i modelli meteorologici, che consistono in complessi modelli matematici in grado di simulare il comportamento dell’atmosfera. Ne esistono diversi tipi: i globali, che simulano l’atmosfera su scala planetaria, e quelli detti ad area limitata, Lam (Limited Area Model), che si concentrano su aree più piccole, con un maggiore dettaglio spaziale. In un modello globale le celle di simulazione hanno mediamente una dimensione di 9×9 km mentre in un locale si arriva anche a un dettaglio dell’ordine di 1,5/2 km”, chiarisce l’esperto. “L’output dei modelli meteo è una previsione spesso trioraria delle diverse variabili atmosferiche come temperatura, pressione, vento, precipitazioni e altri parametri, con un diverso orizzonte temporale: fino a 10 giorni per i modelli globali, mediamente a 2/3 giorni per quelli locali. In molte app questi modelli sono tradotti in un bollettino meteo; nel caso di servizi meteorologici più strutturati, le informazioni sono invece interpretate dal previsore, che deve conoscere bene la zona di previsione ed i limiti delle capacità di simulazione dei vari modelli e si fa carico di interpretare queste informazioni rielaborandole per produrre un bollettino meteorologico ed in molti casi delle allerte meteo”.

Non è però possibile avere previsioni certe, precisa Gozzini: “L’atmosfera è un sistema complesso e dinamico, soggetto a molte interazioni e variazioni, per questo motivo si fa ricorso anche a previsioni di tipo probabilistico, grazie ai cosiddetti ‘modelli ensemble’, dove si fanno molte simulazioni contemporaneamente, inserendo nella simulazione piccolissime variazioni nelle condizioni iniziali, in modo da riprodurre l’intrinseca variabilità atmosferica, e facendo poi una previsione con un valore in percentuale relativo alla probabilità che un certo evento meteo, come una pioggia o un temporale, si verifichi”.

Quando poi il meteorologo rileva che sono in arrivo eventi intensi, che potrebbero produrre effetti al suolo in grado di creare possibili rischi per la popolazione, emette allerte meteo, compiendo un passo avanti rispetto alle semplici previsioni. “Per le allerte si richiede al previsore di valutare anche l’intensità del fenomeno meteorologico e la probabilità che si verifichi su una certa area, arrivando a stimarne l’impatto.  In base all’intensità e al rischio, le allerte si dividono per colore in una scala crescente che va dal verde (nessun fenomeno pericoloso previsto), passando al giallo, all’arancione fino al rosso, per eventi di elevato impatto ed estrema gravità”, conclude Gozzini.

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Tiziano Thomas Dossena, Direttore Editoriale della rivista.

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