Di Marina Agostinacchio
Due mondi — e io vengo dall’altro.
O chiave che apri e non chiudi,
chiudi e non apri e conduci
teneramente il vinto fuor della casa del carcere
e fuor dell’ombra della morte
e il senzatetto negli atri luminosi
dei mille occhi impassibili
di chi ha compiutamente patito
e delle mani contro la notte levate
nel santo ideogramma della benedizione –
disegnati
ridisegnati
secondo gli otto toni che separano gli otto cieli
con l’erotico incenso e il ferale myron,
al centro del petto, al centro del Sole, là dove il Nome
— myron effuso è il Tuo Nome —
rapisce in vortice immoto alla vita del mondo,
zampilla nuovi sensi dal mondo della morte.
Due mondi – e io vengo dall’altro…
Anche in questa lassa possiamo reperire segni, presenze del Mistero; nei versi riportati è perciò importante cercare di guidare a possibili chiavi di lettura chi si accosta alle parole della poetessa Campo perché egli possa essere illuminato dal pensiero della stessa.
Conduci/teneramente il vinto fuor della casa del carcere…/ e fuor dell’ombra della morte/e il senzatetto…/ di chi ha compiutamente patito…
Gli studiosi e gli appassionati della scrittura di Cristina Campo sanno quanto sentimento di viva affezione avesse lei stessa per le storie dei pellegrini e i mendicanti che nella loro vita si trovavano improvvisamente a sentirsi “rapiti”, attraverso i sensi e una viva intuizione, dall’”Invisibile” apparso nel loro cammino.
L’invisibile rivelato nelle essenze dei profumi dei sacri riti diviene azione salvifica, fautore di un cambio di rotta, di una riconversione di vita. Esso è Colui che orienta verso una nuova prospettiva di vita, dando a questa moltitudine di uomini “una visione ignota”, spesso veicolata da “un’arcana parola”, “proprio perché c’è un mondo dietro a quello vero che soccorre e guida”. (Dall’introduzione del libro di Cristina Campo “Racconti di un pellegrino russo”).
O chiave che apri e non chiudi…
Si tratta di un’Antifona latina ai Vespri di uno dei nove giorni prima di Natale.
e delle mani contro la notte levate
Il riferimento è alla mano benedicente del sacerdote bizantino, mano che in forma stilizzata significa la cifra del Cristo, IC. (IC. Compare molto spesso sulle icone ortodosse, dove il cristogramma può essere diviso: “IC” nella parte sinistra dell’immagine)
Disegnati/ridisegnati/secondo gli otto toni che separano gli otto cieli/nel santo ideogramma della benedizione
Gli otto toni liturgici bizantini corrispondono agli otto cieli dei pianeti
L’altro mondo è uno spazio che apre al mistero, è quello in cui l’Intangibile si svela, si offre nel profumo del “Myron”.
E più la vita si ammanta di mistero, più essa si dà un senso, “perché il solo visibile è troppo poco”. Cristina Campo pare indicarci con intelligenza e saggezza l’imprescindibile unione tra la realtà e l’impercettibile, il celato, che lei, Cristina, sa cogliere intuitivamente; dono questo appannaggio di rare persone.
Il Myron rinvia all’olio sacro del rito orientale, allorquando viene preparato dal Patriarca per la somministrazione dei sacramenti, per le consacrazioni degli altari e delle Sacre Icone.
Ancora una volta Campo sembra voglia stigmatizzare, nel riferimento alle pratiche religiose, l’indispensabilità del rito che, così come le Scritture, costituisce l’essenza stessa della vita.
Esso “zampilla nuovi sensi dal mondo della morte”. Infatti, il Myron rappresenta il Mistero che si effonde nel mondo e offre ad esso una rinascita.
(Myron, voce greca che sta per “unguento”, come nella scrittura semitica mrr “amaro”; la mirra è la gommaresina che stilla a forma di lacrima o goccia dalla corteccia di un arbusto spinoso chiamato Commiphora Myrra).
Con l’erotico incenso e il ferale myron, /al centro del petto, al centro del Sole, là dove il Nome/— myron effuso è il Tuo Nome —/rapisce in vortice immoto alla vita del mondo…
Circa questi i versi appena scritti, si deve pensare al myron come a un composto di essenze profumate diffuse nel territorio, da cui la stessa città di Mira prendeva il nome.
“Nel panorama agiografico mediterraneo, – la Campo conosceva quanto scritto nella storia dei Santi del periodo medievale- , l’essudazione di liquidi da reliquie di Santi non era infrequente. Nel mondo orientale, I pellegrini raccoglievano in piccoli contenitori ed ampolle (eulogie, cioè benedizioni): acqua, polvere, manna, olio, cera, da portare in patria non solo come souvenir e attestato del pellegrinaggio effettuato, ma anche come pegno della assidua protezione del martire di cui si era venerato il sepolcro”.
In riferimento al verso che definisce ferale il myron: il ferale myron, probabilmente la Campo rinvia alla mirra quale resina conosciuta già nell’Antico Egitto “per la pratica dell’imbalsamazione”.
Con l’erotico incenso…
Per le essenze con cui viene composto questo olio, è necessario sapere che esso è un amalgama di 52 essenze, mescolate al fine di ottenere una sostanza su una base di olio d’oliva purissimo.
Questa fragrante, odorosa e raffinata preparazione ha la capacità di assorbire completamente qualsiasi emanazione di ogni elemento con cui viene a contatto
Dunque, il Myron ha in sé un indubbie proprietà attrattive, elettive. “Intermediaria tra cielo e terra, la preziosa mirra è l’”oro blu” delle resine naturali, la cui contemplazione olfattiva, regale e divina avveniva già 3700 anni fa”.
“Grazie alla sua presunta capacità di acquietare la mente e di purificare lo spirito si ritiene dalla notte dei tempi che la mirra costituisca un ponte tra il cielo e la terra. Utilizzata in tempi antichi come rimedio medicinale, durante cerimonie, riti sacri e consacrazione regali per gli Ebrei, questa resina profumata ha il significato di un ritorno a Dio come dimostra l’offerta dei Magi.
La Mirra è citata numerose volte nella Bibbia, (“La mirra si trova in vari passi della Bibbia ed è uno dei componenti principali dell’olio santo per le unzioni, oltre che un profumo citato sette volte nel Cantico dei Cantici; nel Vangelo di Matteo fu uno dei doni portati dai Re Magi al Bambino Gesù”), nei Veda e nel Corano tuttora è spesso usata come sottofondo olfattivo per pregare o meditare”.
Sempre circa il myron, sappiamo che dalla sacra urna di San Nicola, deposta con le sue reliquie forse nel pavimento del martyrion cruciforme, annesso alla basilica di Mira, si riteneva che avesse preso a scaturire un liquido straordinario, detto myron; il suo primo biografo, Michele Archimandrita, intorno al 710-720, connette la “profumata e odorissima condotta” del Santo in vita, al suo “corpo prezioso e odoroso delle fragranze della virtù” e alla conseguente essudazione di “un olio odoroso e soave, che allontana ogni maleficio ed è buono a fornire un rimedio che salva e respinge il male”.
Pensando al profumo suscitato nei sensi dalla mirra, potremmo riflettere su una possibile equazione myron erotico, attrattivo nella sua odorosità, myron mistero del non visibile, mistero che si dispiega ai nostri occhi attraverso “sintomi” della presenza del divino che investe alcuni per allucinazione o folgorazione.
A tal proposito, mi viene in mente la vita di certe mistiche, ad esempio penso all’estasi di Santa Teresa d’Avila, trafitta dalla potenza di Dio. Esiste pertanto un rapporto fra misticismo e sensualità; tale sensualità viene sublimata e trasfigurata nell’atto stesso che si lascia intravedere, quale forza violenta e precipitosa.
Nel caso di Teresa, conosciamo come essa si fosse abbandonata con tutta sé stessa al desiderio dell’amore divino, come si fosse immersa in esso con tutto il corpo e lo spirito, incanalando il piacere che ne derivava in una dimensione sublime, quasi un volo dell’anima, che prendeva lo slancio proprio da una sfera sensoriale. Gioia dei sensi, ebbrezza, trasporto verso la pienezza della dimensione terrena, costituiscono il “trampolino” al divino, quale dimensione trascendente.
E questa è la finalità del mistico. Egli sa porsi con consapevolezza di fronte alla propria dimensione spirituale e corporea, avendo raggiunto un equilibrio con ambedue.
Infine, riguardo a quanto la poetessa pensasse sull’immutabilità del rito, in riferimento al verso:
al centro del petto, al centro del Sole…
si può ben dire che “Come il sole che ogni giorno sorge brilla e tramonta, eppure rimane inesauribilmente misterioso e diverso, l’immutabilità del vero rito fu voluta da Dio e da tutte le tradizioni appunto perché in quel ritorno cosmico, infallibile di figure, si procedesse ogni giorno un poco di più nella complessità insondabile dei loro significati: ciò che non si lascerà mai esprimere in concetti razionali, ma solo indicare, alludere in gesti, suoni, simboli divinamente ordinati”.