Di Federico Scatamburlo
Il luogo è perfetto, è innegabile. Lo spettro del “dissoluto” aleggia tra le calli di Venezia, mentre ci avviciniamo al Gran Teatro La Fenice dove sarà rappresentata l ‘opera in titolo. Un grande classico mozartiano, che richiama sempre un folto pubblico, infatti tutte le recite sono sold out.
In bilico tra il Seicento e il Settecento la storia di Don Giovanni è tuttavia facilmente collocabile anche ai giorni nostri. Non è inusuale, infatti, definire qualcuno un “Don Giovanni” ovvero un uomo “corteggiatore di donne, galante e intraprendente”. In origine nasce come dramma teatrale iberico, infatti egli è il classico burlador, che si fa beffe di tutte le donne che riesce ad incantare.
In questa messa in scena il filo conduttore ha molti riferimenti di carattere puramente fisico. Il protagonista verrebbe definito ai giorni nostri malato di sesso, tanto sono esplicite alcune scene, peraltro propedeutiche alla storia. Il che può piacere come no, e, sinceramente a opinione di chi scrive, forse alcune un po’ troppo spinte, ma innegabilmente efficaci.
La scenografia e la regia di Damiano Michieletto è stata ripresa da Eleonora Gravagnola con i costumi di Clara Teti. Grandi quinte rotanti si alternano tutto il tempo evitando così tempi morti per i cambi scena. Gli artisti, con studiati movimenti, entrando e uscendo da tante porte in ambienti spogli con pochissimi arredi, si sono ben destreggiati nei vari quadri. La narrazione scenica è abbastanza fedele all’originale, il gioco teatrale non è confuso, e gli attori sul palco sono ben definiti. Le luci, curate da Fabio Barettin, un po’ troppo essenziali e soffuse, nel complesso dell’esecuzione hanno reso un certo torpore, appena mitigato dalla romantica atmosfera creata dalle numerose candele accese.
La complessa figura del protagonista è ben interpretata da Alessio Arduini. Perfetto nell’immagine grazie al suo phisique du role, si percepisce la meticolosità dello studio che questo giovane baritono ha applicato alla partitura, che ben si addice alle sue corde vocali. L’ottimo controllo dei fiati, fraseggi curati, buona estensione e belle doti attoriali hanno reso una encomiabile performance.
Ritroviamo con piacere sul palco della Fenice artisti di grande caratura. Carmela Remigio veste i panni di Donna Elvira. Da grande interprete professionista, come sempre infonde tanta energia nei suoi personaggi e non si smentisce neanche questa volta. Palpabile la disperazione della donna sedotta e abbandonata, che cerca invano l’uomo che l’ha fatta innamorare con la promessa di sposarla.
Graditissimo il ritorno sul palco di questo teatro di Desirée Rancatore, che debutta nel ruolo di Donna Anna. Si percepisce ancora una volta l’impegno profuso nel catturare e far proprie le sfumature e il carattere dei personaggi che le sono affidati e infatti centra appieno l’essenza di Donna Anna. Con i suoi acuti pulitissimi e agilità perfette, emerge tutto il dramma che impersona, sospeso tra amore e odio, tra sentimenti contrastanti di vendetta, desiderio d’amore, volontà di vivere secondo il proprio cuore e nostalgia dell’amante di una notte. Una grande dimostrazione di belcanto.
Rispettivamente nei panni Masetto e Zerlina, applauditissimi Ludovico Filippo Ravizza e Laura Ulloa. Quest’ultima è dotata di una bella voce e da una linea di canto pulita e precisa. La parte impone un’esecuzione infatti semplice e fresca, ma si intuisce che Laura ha una dote vocale duttile, delicata ma potente al tempo stesso. Notevole l’intesa con Lodovico Filippo Ravizza, gagliardo baritono che ha sfoggiato gradevoli e dinamici fraseggi.
Pregevolissima l’esecuzione di Leporello da parte di Roberto De Candia. Ironico, camaleontico, sottile e un po’ fuori le righe come richiede la sua parte, ha retto tutta la sua parte senza sbavature, e con encomiabile professionalità è stato il perfetto elemento di collegamento tra tutti i personaggi.
Gianluca Buratto, sfrutta con sapienza la sua bella voce di basso e interpreta degnamente le vesti de Il Commendatore, spiccando specialmente nel finale.
Leonardo Cortellazzi è un Don Ottavio autorevole, che si distingue per gli acuti facili e aggraziati in diversi momenti lirici, anche se appena “sporcati” in qualche incursione nel falsetto.
La magnifica Orchestra del Teatro La Fenice è guidata da Robert Treviño. Sin dalle prime note di avverte un modo di dirigere a pieno sostegno della narrazione teatrale. Curatissimi i particolari dei fraseggi degli archi e dei fiati, con vertici spigolosi ma non troppo, che rendono le melodie incalzanti e mai noiose.
Dunque, meritatissimi per tutti i calorosi applausi del pubblico a fine spettacolo.
La recensione si riferisce alla recita del 19 maggio 2024.