Monday, November 25, 2024

Dai libri di fantascienza alla realtà

di Ester Cecere

Tra le conquiste dell’uomo va senz’altro considerata la possibilità di esplorare i fondali marini sia attraverso sottomarini che grazie ad attrezzature indossabili, che consentono ai sub la respirazione sott’acqua. Ester Cecere dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr  ripercorre le varie tappe nei due diversi ambiti, spaziando tra fantascienza, letteratura e realtà

L’uomo è sempre stato attratto dagli abissi marini, dalle profondità oceaniche per lui irraggiungibili che ha immaginato popolate da mostri feroci. I primi tentativi di esplorazione del fondo marino si devono addirittura agli Assiri, nel IX secolo a.C., pertanto, nella storia dell’umanità c’è sempre stato qualcuno, uomo reale o personaggio fantastico, che ha incarnato la figura dello scandagliatore degli abissi, personificando la curiosità innata dell’essere umano.

Quando pensiamo alla fantasia che diventa realtà, ossia a tutte quelle imprese dell’uomo che si ritenevano impossibili e che invece sono oggi parte della nostra vita grazie ai progressi della scienza, il pensiero va inevitabilmente al Nautilus, l’immaginario sottomarino ideato e comandato dal Capitano Nemo, nei romanzi “Ventimila leghe sotto i mari” del 1870 e “L’isola misteriosa” del 1874 di Jules Verne, scrittore francese precorritore della moderna fantascienza. Verne, infatti, previde numerose conquiste scientifiche e innovazioni tecnologiche del 1900: i sottomarini, gli elicotteri, l’aria condizionata, il volo nello spazio, diventando nell’immaginario collettivo un autore capace di prevedere il mondo del futuro.

Nel romanzo, il Nautilus, progettato dal suo comandante, il Capitano Nemo, ricco ex principe indiano e valente ingegnere, ha l’aspetto di un cilindro molto allungato con estremità coniche della lunghezza di 70 metri e della larghezza massima di 8 metri. Grazie a esso, i protagonisti effettueranno un lungo viaggio nelle profondità marine.

E tuttavia risale al 1666 la prima menzione del sottomarino, nell’opera di narrativa “The Blazing World” (“Il mondo in fiamme”), della scrittrice inglese Margaret Cavendish, duchessa di New Castle. Il volume consta di tre parti, la prima è romanzesca, la seconda filosofica e la terza fantastica. Nell’ultima sezione, l’imperatrice di un regno utopico, protagonista di tutta l’opera, organizza un’invasione per riappropriarsi del suo regno servendosi anche di sottomarini trainati da “pesci”. Nella realtà, fu probabilmente l’olandese Cornelius van Drebbel, inventore e alchimista olandese, noto per aver costruito anche un microscopio, il primo a percorrere un breve tratto in immersione. Egli, infatti, tra il 1620 e il 1626, mise a punto un battello subacqueo piuttosto rudimentale con il quale percorse un breve tratto del Tamigi a una profondità di 3-4 metri.

I primi studi teorici sulla costruzione di un sommergibile sembrano risalire al 1680 quando Giovanni Alfonso Borelli, studioso poliedrico (matematico, astronomo, fisiologo e filosofo), nella sua opera “De motu animalium”, illustrò per la prima volta la costruzione di un veicolo in grado di esplorare gli abissi marini.  Il primo mezzo sommergibile, peraltro concepito per scopi bellici, fu “The Turtle” che nel 1776 venne impiegato nella guerra di indipendenza americana contro la flotta inglese ancorata nel porto di New York. Messo a punto da David Bushnell, era di aspetto piuttosto buffo: consisteva in 2 gusci di legno di quercia tenuti insieme da doghe metalliche, con sulla sommità una torretta dotata di oblò, che consentiva una visione a pelo d’acqua e il ricambio d’aria tramite 2 tubi. Un sistema di zavorre fisse e di gavoni da riempire o svuotare manualmente a pompa ne permettevano la mobilità verticale, mentre un’elica orizzontale e una verticale consentivano l’avanzamento, l’immersione o l’emersione.
I primi sottomarini navigavano a propulsione manuale, il che ne limitava fortemente l’autonomia e il raggio d’azione.  Tra il 1793 e il 1797, l’americano Robert Fulton, ingegnere statunitense che aveva realizzato il battello a vapore, progettò il Nautilus, di aspetto decisamente più idrodinamico del Turtle, Varato nel 1800, era costituito da fogli di rame con una struttura in ferro, lungo 6,5 m con una torretta di comando per l’osservazione. Usava timoni per il controllo del movimento verticale e orizzontale e serbatoi di aria compressa che consentivano a 4 persone di equipaggio un’autonomia di 6 ore; 4 pale fatte girare a mano ne consentivano il movimento. Fulton pensò di installare sul sottomarino un motore a vapore, ma le difficoltà tecniche incontrate lo costrinsero a rinunciarvi. Il sommergibile, testato in Francia con successo, infatti affondò un veliero, fu proposto sia alla marina militare francese sia a quella inglese che non furono interessate. Tuttavia, essendo i sommergibili fondamentali durante le guerre, da quei primi tentativi in poi, la strada è stata tutta in discesa, fino all’arrivo dei sommergibili nucleari.

Subacqueo

L’importanza del sottomarino a fini scientifici raggiunse il culmine solo verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso, quando il progresso tecnologico e l’impiego di materiali avanzati permisero la costruzione di sottomarini in grado di raggiungere profondità elevatissime. Grande notorietà ebbe il batiscafo Trieste, che nel 1960 raggiunse una profondità di oltre 10.000 metri con a bordo Auguste Piccard e Donald Walsh. Altrettanto famoso fu il batiscafo francese FNRS-2, che per un certo periodo fu in competizione con il Trieste per la conquista degli abissi, anche se non raggiunse mai profondità superiori ai 4.000 metri.

Tra i sottomarini impiegati per scopi scientifici rientrano anche alcune unità usate a scopi militari. Oggi, tuttavia, si preferisce affidare l’esplorazione delle profondità marine a mezzi robotizzati o a sommergibili guidati a distanza. Ma l’uomo ha da sempre accarezzato anche l’idea di camminare sul fondo del mare, libero, senza essere rinchiuso in un sottomarino. È del 1909, dello scrittore francese Jean de La Hire, il romanzo “The man who can live in water”, il cui protagonista è un superuomo, l’Hictaner, fantastica creatura tra uomo e pesce, ottenuto innestando sul corpo di un neonato le branchie di un giovane squalo ad opera dello scienziato Oxus e del monaco Fulbert, che aspirano al dominio del mondo. L’Hictaner o l’Uomo che può vivere nell’acqua, è una creatura umana nelle forme e nell’intelligenza ma anfibia.

Ispirato a questo è il romanzo di fantascienza “Amphibian man” dello scrittore russo Alexander Beliaev, del 1928. Il medico argentino Salvator, scienziato e chirurgo anticonformista, salva la vita a suo figlio Ichthyander (dal greco: “pesce”+ “uomo”) trapiantandogli le branchie di uno squalo. L’esperimento è un successo, ma limita la capacità del giovane di interagire al di fuori dell’ambiente marino, dove è costretto a passare la maggior parte del suo tempo.

Come non pensare, quindi, al palombaro? Il palombaro per immergersi utilizza un’apposita attrezzatura, detta scafandro, consistente in elmo, tuta gommata e scarponi zavorrati per camminare sul fondo marino. Il palombaro riceve il sostentamento d’aria dalla superficie attraverso un tubo di gomma collegato a una pompa ad aria; il tubo è coassiale a una corda che serve per calarlo e/o issarlo a bordo nonché a comunicare con la superficie attraverso degli strattoni convenzionali, a meno che non si usi un cavo telefonico. I primi progetti di un’attrezzatura da palombaro risalgono a Leonardo da Vinci, che però non li rese noti affinché non venissero usati per scopi bellici. In seguito, nel 1892, i fratelli inglesi Charles e John Deane progettarono il primo elmo da palombaro. Nel 1837 sulla base degli studi di Leonardo da Vinci, l’ingegnere Augustus Siebe migliorò l’elmo e costruì una veste per immersione, una sorta di prima muta da palombaro. Nel 1894 venne istituita la Scuola Palombari a Genova. Dagli inizi degli anni ’80, l’immersione con lo scafandro e la muta da palombaro in ambito civile è ormai in disuso.

Nel 1865, Benoit Rouquayrol e Auguste Denayrouze, rispettivamente un ingegnere minerario e un tenente navale, progettarono un set da immersione (chiamato aérophore) dotato di un recipiente per l’aria, collegato con il primo erogatore conosciuto. Il sub non nuotava, bensì camminava sul fondo, anche se per breve tempo per via delle limitate atmosfere che poteva contenere la rudimentale bombola (solo 30) e comunque sempre supportato dalla superficie. Jules Verne nel suo romanzo “Ventimila leghe sotto i mari” ne fa cenno.

Nel 1879 venne inventato da Henry il primo “ rebreather” per la respirazione indipendente dall’ambiente circostante usato soprattutto nelle immersioni subacquee, ma anche in ambienti lavorativi particolari, come le miniere, dove per emergenza è necessario disporre di una fonte d’aria respirabile che consenta un’elevata autonomia a peso ridotto. È definito “rebreather” perché permette di usare l’aria espirata, ricca di anidride carbonica, dopo un opportuno trattamento.  Arriviamo così al 1943, quando Cousteau, che prese parte alla Seconda guerra mondiale come spia, durante il conflitto trovò il tempo di inventare, assieme all’ingegnere Émile Gagnan, il primo tipo di equipaggiamento per lo Scuba diving, l’Aqua-lung, cioè la prima attrezzatura subacquea a circuito aperto. Essa consiste in un cilindro ad alta pressione (la bombola) e in un regolatore per la respirazione ( erogatore), che fornisce al sub il gas contenuto nella bombola alla pressione ambientale tramite una valvola automatica dell’erogatore posta sulla rubinetteria collegata alla bombola.

Nel 1969 venne inventata la JIM Suit, con la quale la biologa marina Sylvia Earle camminò sul fondo marino alla profondità di quasi 400 metri. Progettata per mantenere una pressione interna di 1 armosfera, cioè uguale a quella terrestre indipendentemente dalla pressione esterna, elimina la maggior parte dei problemi fisiologici associati alle immersioni profonde, non si ha quindi la necessità di decompressione perché non c’è pericolo di  narcosi da azoto. Siamo così arrivati all’apparecchio di respirazione subacqueo autonomo, in inglese Self-contained Underwater Breathing Apparatus (SCUBA), che include una maschera facciale, un serbatoio di aria compressa, cioè la bombola, un regolatore (erogatore) e il boccaglio, che permette al subacqueo di poter respirare sott’acqua. Le bombole contengono molta aria in un volume relativamente piccolo; pertanto, l’aria è compressa a una pressione elevata. Il sub può stabilire la quantità d’aria rimasta nella bombola utilizzando un manometro.

[Almanacco della Scienza N.4, aprile 2024]

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Tiziano Thomas Dossena, Direttore Editoriale della rivista.

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