Roma, Musei Capitolini, 27 maggio – 14 settembre 2014
Arriva ai Musei Capitolini, in occasione del 450° anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti avvenuta proprio nella Capitale il 18 febbraio 1564, la mostra “Michelangelo. Incontrare un artista universale” che intende ripercorrere la vita e l’opera di questo titano di tutti i tempi. Nel cuore della città, proprio in quella piazza del Campidoglio che il genio michelangiolesco seppe rendere unica al mondo, oltre centocinquanta opere di cui una settantina del maestro toscano, arrivate da molte tra le più importanti istituzioni culturali italiane e straniere, celebreranno i 450 anni dalla scomparsa di un artista così magnifico da influenzare in maniera indelebile non solo la cultura italiana, ma tutta la cultura universalmente nota.
Una mostra che supera l’oggettiva impossibilità di esporre i capolavori “intrasportabili” realizzati da Michelangelo (gli affreschi della Sistina, fra tutti) con l’esposizione di opere che per la prima volta potranno essere ammirate le une accanto alle altre. Questi capolavori, infatti, potranno essere osservati, in molti casi per la prima volta, affiancati e contrapposti in uno straordinario compendio di una produzione artistica inarrivabile,
dalla pittura alla scultura, dalla poesia all’architettura, le quattro arti in cui si espresse Michelangelo, che saranno raccontate in nove sezioni espositive, focalizzando così i temi cruciali della sua poetica. Un esempio su tutti è la presenza straordinaria del grande capolavoro del Michelangelo politico, il Bruto, che potrà essere ammirato accanto a precedenti busti classici, il Bruto in bronzo dai Musei Capitolini e il Caracalla dei Musei Vaticani, finalmente esposto in un diretto confronto con due opere che, in modi e circostanze diverse, ne ispirarono la realizzazione.
La mostra è posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana ed è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura Creatività e Promozione Artistica, Sovrintendenza Capitolina; Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo; Regione Lazio e ARCUS. È ideata e curata da Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, con Elena Capretti e Sergio Risaliti, storici dell’arte. Prodotta e organizzata dall’Associazione culturale MetaMorfosi e da Zètema Progetto Cultura, si avvale di un prestigioso comitato scientifico composto, oltre ai curatori, da Riccardo Bruscagli, Alessandro Cecchi, Anna Imponente, Antonio Paolucci, Claudio Parisi Presicce, Daniela Porro, Pina Ragionieri, Pietro Ruschi, Claudio Strinati e Pietro Zander.
Il filo rosso che guida il percorso della mostra è segnato da una serie di “contrapposti” tematici con i quali si vogliono evidenziare le difficoltà dell’uomo e dell’artista sia nell’esecuzione sia nell’ideazione delle sue opere: il moderno e l’antico, la vita e la morte, la battaglia, la vittoria e la prigionia, la regola e la libertà, l’amore terreno e quello spirituale. La contrapposizione tra bellezza terrena e amore celeste, ad esempio, fu particolarmente avvertita dal Buonarroti, sia sul piano poetico sia su quello esistenziale; prova ne sono una serie di disegni e opere ispirate da profonde amicizie e affinità elettive come quelle per Tommaso Cavalieri e Vittoria Colonna. Ogni tema, come in uno specchio, sarà analizzato mettendo a confronto disegni, dipinti, sculture, modelli architettonici, oltre ad una selezionatissima scelta di autografi scritti tra lettere e rime, attraverso l’intero percorso umano ed artistico di Michelangelo.
La perfezione della Madonna della Scala, capolavoro di un Michelangelo quindicenne, accoglierà gli ospiti dei Musei Capitolini introducendoli ad un percorso tra i gioielli della collezione di Casa Buonarroti, grazie alla quale sono giunti a Roma lo Studio per la testa di Leda, uno dei più bei disegni mai realizzati dal maestro, l’imponente modello ligneo della mai realizzata facciata di San Lorenzo a Firenze, e alcuni sonetti autografi tra i più significativi. Grazie all’impegno di Roma Capitale, del Mibact, e di tante istituzioni culturali, è diventato finalmente possibile il confronto tra gli ormai celebri Crocifissi lignei attribuiti a Michelangelo, mentre la statua del Cristo Risorto di Bassano Romano potrà essere paragonata a quella, successiva, della Basilica di Santa Maria Sopra Minerva, a pochi metri dal Campidoglio. Si potranno ammirare, inoltre, la Caduta di Fetonte dalle
Gallerie dell’Accademia di Venezia, lo Studio di testa di Sibilla Cumana dalla Biblioteca Reale di Torino. Mentre opere rilevanti sono arrivate anche dagli Uffizi di Firenze e dai Musei Vaticani. In prestito eccezionale anche alcuni dei più bei disegni mai realizzati da Michelangelo dalla collezione del British Museum di Londra. Ed è proprio grazie alla presenza di numerosi eccezionali schizzi e disegni preparatori, capaci di sottolineare l’inventiva michelangiolesca, la nascita dell’idea, il successivo sviluppo e la definitiva creazione dell’opera nella sua compiutezza, che l’esposizione offre la possibilità di approfondire il momento dell’inizio del processo creativo, fondamentale e determinante per addentrarsi nelle suggestioni del genio della Sistina e del Giudizio Universale.
SEZIONI DELLA MOSTRA
Ritratto di un Genio
Michelangelo Buonarroti nasce a Caprese nel 1475 e muore a Roma nella sua abitazione in via Macel de’ Corvi il 18 febbraio del 1564. La sua fu una carriera artistica lunghissima, trascorsa quasi esclusivamente tra Firenze e Roma, con poche eccezioni: le cave di marmo tra Carrara e Pietrasanta, viaggi a Bologna, Venezia e Ferrara. Di Michelangelo restano moltissime lettere che ci consentono di avvicinare quel grande artista al lavoro, nel rapporto più intimo con i suoi familiari, in quello più complesso con i principi della Chiesa, con i governanti e gli artisti della sua epoca. In altre carte lo riconosciamo alle prese con la lista della spesa, afflitto da malanni, preoccupato per l’esito incerto della storia in Italia e in Europa. In gioventù ebbe modo di perfezionare il suo eccezionale talento artistico a Firenze, nella bottega di Domenico e Davide Ghirlandaio, Il salto avvenne quando il Buonarroti iniziò a frequentare il Giardino di San Marco, una sorta di accademia artistica voluta da Lorenzo il Magnifico. Qui ebbe modo di conoscere filosofi e poeti come Marsilio Ficino e il Poliziano. La morte del Magnifico (1492) turbò profondamente Michelangelo, e le vicende politiche e religiose che ne seguirono lasciarono il segno nel suo animo. In particolare la cacciata di Piero de’ Medici, l’affermazione di fra’ Gerolamo Savonarola, la condanna a morte dello stesso (1498), le sorti alterne della Repubblica fiorentina. Nel 1496, Michelangelo si trasferì a Roma, per volere del potente cardinale Raffaele Riario, Da allora in poi la vita dell’artista fu contraddistinta da un’affollata solitudine: frequentò gli uomini più potenti del XVI secolo, mettendo il suo talento a disposizione della Chiesa e di ben sei papi (Giulio II, Leone X, Clemente VII, Paolo III, Giulio III, Paolo IV e Pio IV). Negli ultimi decenni si accentuarono le sue meditazioni spirituali, anche alla luce del rapporto con Vittoria Colonna e con la cerchia dei religiosi riuniti intorno al cardinale Reginald Pole.
Antico e moderno: i modelli
Michelangelo ebbe come punti di riferimento i maestri del Trecento e del primo Quattrocento. Lo provano una serie di disegni giovanili da cui si deduce la sua predilezione per Giotto e Masaccio, Donatello e Ghiberti. Lo studio dell’arte antica avvenne in due tappe. A Firenze e in Toscana, Michelangelo ebbe modo di ammirare le gemme antiche, sculture di piccole dimensioni, copie su carta di sculture antiche. Ne nacquero statue d’imitazione come la testa di Fauno e il Cupido dormiente, opere perdute, di cui restano testimonianze indirette. Dai sarcofaghi antichi, come quelli conservati a Pisa e Cortona, trasse ispirazione per molte invenzioni figurative in particolare per la Madonna della scala e la Battaglia dei centauri. A Roma, dal 1496, ebbe modo di ammirare l’Apollo del Belvedere, i Dioscuri, le effigi allegoriche dei Fiumi, il Torso del Belvedere. L’impatto con l’arte classica spinse l’artista verso una concezione figurativa inedita per il Quattrocento: con il Bacco e la Pietà vaticana, Michelangelo propose un’innovativa sintesi tra mondo classico, cultura figurativa rinascimentale, arte cristiana. Con la scoperta del Laocoonte nel 1506, lo stile di Michelangelo cambiò decisamente, influenzato dal tono sublime e dalla postura dinamica di quei personaggi tormentati. Negli anni della sua formazione, furono determinanti due artisti: Bertoldo di Giovanni, collaboratore di Donatello, maestro di scultura nel Giardino di San Marco a Firenze, e Andrea Bregno, scultore che operava nell’orbita del cardinale Raffaele Riario a Roma. Michelangelo – come ricordano le fonti – non si sottrasse al confronto con l’arte nordica. Da giovane, ad esempio, reinterpretò un’incisione di Martin Schongauer (Le tentazioni di sant’Antonio) in un dipinto su tavola. Di quest’opera resta una qualche memoria in repliche conservate negli Stati Uniti (Forth Worth, Texas, Kimbell Art Museum) e a Roma (collezione privata, opera presente in mostra).
Michelangelo riconobbe nel corpo umano la somiglianza tra la creatura e il suo Creatore. La bellezza immaginata secondo gli ideali platonici trovò allora una ragione d’essere artistica e cristiana nell’incarnazione di Cristo, nuovo Adamo venuto a sconfiggere la morte. I temi della nascita e del trapasso, quelli della rivelazione e della redenzione, sono al centro della sua arte, fin dalle prime prove giovanili, quando scolpì la Madonna della scala e il Crocifisso per gli agostiniani di Santo Spirito, grazie ai quali ebbe modo di studiare l’anatomia umana sezionando cadaveri nell’ospedale del convento. La rappresentazione della vita di Gesù e la storia del genere umano – dai giorni della creazione al Giudizio universale – impegnarono l’artista nel corso della sua lunghissima carriera. Il più delle volte rappresentò le vicende bibliche e quelle del vangelo affidando alla singola figura, anzi al corpo in azione, allo sguardo e ai gesti individuali la possibilità di esprimere il senso della storia degli uomini, le ragioni del male, argomenti teologici come quelli della castità della Vergine Maria e della Resurrezione di Cristo, la missione dei Veggenti nella volta Sistina, la supremazia della fede e dell’ispirazione – come nel San Paolo del monumento Piccolomini (Siena, Duomo) o nel Mosé del monumento sepolcrale di Giulio II (Roma, San Pietro in Vincoli). Nel rapporto tra Maria e il Bambino volle prefigurare, altresì, l’intera vicenda umana e divina dell’Unigenito. Ne sono esempi incomparabili la Pietà vaticana (qui richiamata dalla traduzione pittorica del Maestro della Madonna di Manchester), l’opera che assicurò fama universale all’artista, e la Madonna di Bruges (rappresentata da un calco proveniente dalla chiesa di San Felice di Firenze) scolpita poco dopo la realizzazione del colossale David, eroe biblico e antenato di Cristo.
La battaglia, vincitori e vinti
Il tema della battaglia viene affrontato da Michelangelo per la prima volta in marmo nella Battaglia dei centauri. Poi quando il cancelliere Pier Soderini organizzerà dopo il 1503 una sorta di sfida tra Leonardo e Michelangelo, commissionando al primo la Battaglia di Anghiari e all’altro la Battaglia di Cascina per le pareti del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Del cartone preparatorio di Michelangelo, distrutto già nel Cinquecento, restano una pregevole copia eseguita da Aristotile da Sangallo (Norfolk, Holkham Hall, Collezione Leicester) e una serie di disegni, come il bellissimo Nudo di schiena di Casa Buonarroti in mostra. Esempi di umanità vittoriosa nelle opere di Michelangelo sono anche il San Procolo martire (Bologna, San Domenico) e il David colossale (Firenze, Galleria dell’Accademia), uccisore di Golia. Come un condottiero appare anche il Cristo Redentore in Santa Maria sopra Minerva a Roma, che impugnando il legno della croce attraversa vittorioso l’ombrosa valle della morte per condurci alla vita eterna. Secondo le fonti, Michelangelo avrebbe abbandonato incompiuta una prima versione del Cristo Redentore, che si propone di individuare nella scultura di Bassano Romano, importante presenza qui in mostra, esposto nella sala Orazi e Curiazi. Non di rado il corpo nudo maschile, icona centrale nell’immaginario creativo di Michelangelo, pare volersi liberare dalla materia che lo imprigiona nel blocco di marmo. Nei cosiddetti Prigioni o Schiavi (evocati in mostra da calchi, nella sala Orazi e Curiazi), originariamente concepiti per la Tomba di Giulio II, si allude simbolicamente alla fatica spirituale sopportata dall’umanità per svincolarsi dalla presa della sensualità, che pietrifica l’individuo impedendone la rigenerazione. Una simile dialettica parrebbe rivelarsi nel Genio della Vittoria – opera pensata per la Tomba di Giulio II. Su tutti, il vittorioso in assoluto sarà il Cristo giudice sulla parete sopra l’altare della Cappella Sistina, la cui bellezza apollinea traluce in una fisicità di sublime e minacciosa concezione.
Michelangelo esordì come architetto nel 1507 affrontando il completamento del tamburo della ‘cupola’ di Santa Maria del Fiore, rimasto grezzo dopo la morte di Filippo Brunelleschi. Di quel progetto restano un modello ligneo e alcuni disegni, in parte eseguiti qualche anno dopo. Entro la fase formativa si possono collocare i disegni da Codice Coner, che il Buonarroti eseguì quasi un decennio più tardi. Tra il 1516 e il 1518, Michelangelo si dedicò a progettare la nuova facciata di San Lorenzo, opera commissionata all’artista da Leone X, papa Medici. Qui la scultura è protagonista assoluta facendosi essa stessa architettura, tramite l’unificante sensibilità plastica di Michelangelo. Di questa impresa, giammai realizzata, restano i disegni progettuali e soprattutto il grandioso modello ligneo – conservato nel museo di Casa Buonarroti e qui eccezionalmente in mostra. Dal 1519, dopo il forzato abbandono del cantiere della facciata di San Lorenzo appena avviato, Michelangelo fu impegnato nella realizzazione della Sagrestia Nuova, il sacello mediceo annesso alla medesima chiesa, dove s’intersecano forme antiche e moderne, mentre il telaio parietale risulta un vitale e armonioso commento alle grandi tombe ducali. Il tema dello spazio da dominare in termini anche plastici è protagonista anche nel Ricetto e nella Sala di Lettura della Biblioteca Laurenziana. La Libreria Segreta, dall’inusitata forma triangolare, non venne mai realizzata. Restano straordinari disegni autografi, due dei quali sono presenti in mostra. Altro episodio fiorentino sono le “finestre inginocchiate” destinate a chiudere la loggia angolare di palazzo Medici in via Larga (oggi via Martelli). Per la Repubblica Fiorentina e al tempo dell’assedio di Firenze (1529-1530), Michelangelo si impegnò nelle opere di rafforzamento delle difese cittadine. Assieme a soluzioni tecnicamente ineccepibili, cercò qualcosa di nuovo, fronti bastionati dalle forme insolite e articolate, strumenti di difesa all’apparenza quasi fantasiosi.
La notte e il giorno
La Sagrestia Nuova, con le tombe dinastiche dei Medici e le figure commemorative di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino e di Giuliano de’ Medici duca di Nemours, avrebbe dovuto rappresentare il progetto più integrale di Michelangelo, artista ‘quadruplice’, nel senso che ad opera conclusa l’architettura e la scultura sarebbero state completate da forme simboliche e decorazioni pittoriche, e perfino da oggetti di ‘design’ come i candelabri, insieme a elementi allegorici di carattere grottesco. Non è un caso che al significato dell’intera struttura e delle statue si alluda in una serie di versi di mano del Buonarroti, da cui si evince come il tema generale del Tempo che tutto consuma, non fosse affrontato in senso religioso ma cosmologico. Allo scorrere dei giorni e delle ere, alla ciclicità di vita e di morte, di luce e di oscurità fanno riferimento le quattro statue sui sarcofaghi (l’Aurora e il Crepuscolo, la Notte e il Dì), scolpite da Michelangelo a partire dal 1524. Due di esse, la Notte e il Dì, simboleggiano pure la condizione esistenziale di chi brancola nelle tenebre del peccato seguendo un genio cattivo, e di chi invece procede sicuro nel cammino luminoso della virtù guidato da un genio buono. In un sonetto dedicato a Tommaso Cavalieri, Michelangelo contrapponeva, infatti, il suo essere nato in ‘tempo bruno’ al chiaror della luna, a quello ben più favorevole dell’amico, protetto dal sole e dalla sua calda luce il giorno della sua venuta al mondo. La commissione di questo capolavoro si deve a Leone X, papa Medici, che aveva richiesto al Buonarroti anche un progetto per la facciata di San Lorenzo. L’impegno nella Sagrestia Nuova si protrasse fino al 1531 circa. Nel frattempo Firenze era finita sotto assedio, la Repubblica era stata sconfitta e i Medici avevano fatto ritorno in città. Il progetto rimase incompiuto, quando Michelangelo lasciò Firenze nel 1534. Le statue che giacevano a terra furono sistemate sui coperchi dei sarcofaghi dopo il 1541 con l’intervento del Tribolo.
Amore celeste, amore terreno
La filosofia dell’amore celeste cui si contrappone l’eros terreno, come era stata spiegata da Marsilio Ficino, fu decisiva per il giovane Michelangelo. La contrapposizione tra desiderio di bellezza e impulso erotico venne poi vissuta con sempre maggior tensione e perfino drammaticità dall’artista, che ne trasferì il senso sia nelle sue sculture sia nelle sue composizioni poetiche. In una delle sue più celebri rime, il Buonarroti ribatte ai suoi detrattori affermando di essere stato destinato all’esaltazione della bellezza, “lucerna e specchio dell’arte”. Nelle figure femminili della Notte e dell’Aurora, scolpite per la Sagrestia Nuova, già risulta espressa la duplice natura o essenza dell’amore, ora spirituale e celeste, ora sensuale e terreno. La concezione dualistica trova la sua più compiuta espressione in due invenzioni elaborate dall’artefice fiorentino negli anni Trenta del Cinquecento: il cartone e il dipinto con Leda e il cigno per Alfonso d’Este e il cartone di Venere e Cupido per Bartolomeo Bettini (tradotto poi in pittura da Jacopo Pontormo nella tavola oggi presso la Galleria dell’Accademia di Firenze), due opere perdute ma testimoniate da disegni autografi e repliche di artisti coevi come Rosso Fiorentino, Giorgio Vasari, Michele di Ridolfo ed altri. Di affinità elettiva si deve parlare sicuramente per spiegare l’amicizia intensa di Michelangelo con Tommaso Cavalieri, giovane e colto gentiluomo romano, e quella ancor più mentale con Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, legata agli ambienti romani degli “spirituali” facenti capo al cardinale Reginald Pole. Michelangelo donò alcuni straordinari disegni allegorici al Cavalieri, in cui si possono leggere pensieri alti a proposito della giornaliera battaglia tra vizi e virtù. Sono i celebri presentation drawing, quali il Ratto di Ganimede, la Caduta di Fetonte, la Punizione di Tizio, i Saettatori, il Baccanale di putti e il Sogno. In Vittoria Colonna – “alta donna e gradita”, come scrive l’artista in una delle rime a lei dedicate – l’artista trasferì le sue fantasie più caste, cercando di dare un senso cristiano al suo veemente fuoco interiore.
“…la strada ch’al ciel sale…”
Michelangelo torna incessantemente a trattare il tema del potere miracoloso e salvifico del Redentore, il solo che può vincere la morte. Come nei due bellissimi disegni con la Resurrezione di Lazzaro – prestati dal British Museum di Londra – eseguiti dall’artista fiorentino intorno al 1516, quando Sebastiano del Piombo ricevette la commissione per una pala d’altare con lo stesso soggetto. La fase finale della vita di Michelangelo è caratterizzata da un rapporto sempre più totalizzante con la fede cristiana, in particolare con la figura di Gesù, con i temi della Crocifissione e della Resurrezione. Questa concentrazione spirituale, portata ai limiti del misticismo, si accompagna a una costante riflessione sulla morte e sulla rigenerazione dei corpi attraverso la salvezza cristiana dell’anima individuale. Ne sono testimonianza le ultime sculture, come la Pietà Bandini (Firenze, Museo dell’Opera del Duomo) – dove pare di poter riconoscere l’autoritratto dello scultore nel volto di Nicodemo – la Pietà Rondanini (Milano, Castello Sforzesco), ultima tragica rappresentazione dell’amore di Maria e del sacrificio dell’Unigenito, e il piccolo Crocifisso in legno di Casa Buonarroti (opera in mostra). Negli ultimi tre decenni della sua vita, la meditazione sulla Crocifissione e sul Compianto si accende di contrasti drammatici. Michelangelo esegue una serie di disegni che per la qualità tragicamente espressiva del segno grafico travalicano l’epoca e dialogano con l’arte di ogni tempo e luogo. La morte di Gesù viene sublimata nelle meditazioni intorno al tema del Cristo risorto e del Cristo al Limbo. Ultima speranza dell’artista è la consapevolezza che alla fine dei tempi, nel giorno del Giudizio, ogni sofferenza e angoscia verrà superata dalla visione di Cristo trionfante. In questo senso il Giudizio Universale nella Cappella Sistina e gli affreschi nella Cappella Paolina segnano l’approdo teologico, morale, lirico e figurativo di un’epoca travagliata dalla Riforma e Controriforma.
Dopo essere giunto nel 1534 a Roma, la vita di Michelangelo cambiò profondamente. Già segnato in quella città dalle estenuanti esperienze della tomba di Giulio II e degli affreschi nella Cappella Sistina, egli si trovò inserito nel grande programma politico e urbanistico di papa Paolo III e ne divenne, non senza resistenze, il protagonista. Intanto, gli impegni si susseguivano su fronti diversi e titanici: dagli affreschi del Giudizio Universale, a quelli della Cappella Paolina, al cantiere di San Pietro. Fin dal 1547, il Buonarroti dedicò numerosi studi al disegno del tamburo e della cupola e all’esecuzione del modello, molti dei quali oggi perduti: restano, oltre ad alcuni schizzi, le preziose sezioni per l’alzato della cupola dei musei di Lille (in mostra) e di Haarlem, e come è pervenuto – seppur rimaneggiato – il modello ligneo conservato presso la Fabbrica di San Pietro. Sono tuttavia gli ultimi progetti a svelare il cambiamento verificatosi nell’artista nel modo di progettare l’architettura. In essi il problema dello spazio non è più affrontato, come a Firenze, in termini oggettivi, ma è risolto in una sorta di elaborazione concettuale che Michelangelo persegue fin dall’inizio, quando è intento a disegnare. Facendo ricorso al ricordo, modificando la regola, creando spazi autonomi, egli, ormai pienamente architetto, inventa forme libere e complesse e, incredibilmente, grazie alla sua inarrivabile mano e all’uso di media diversi, ne avvia l’‘edificazione’ sulla carta. Prova di questa fervida stagione sono i disegni per San Giovanni dei Fiorentini, il capolavoro irrealizzato, quelli per Porta Pia, databili intorno al 1560, e quelli della Cappella Sforza in Santa Maria Maggiore, al cui progetto l’anziano artista si dedicò tra la fine del 1560 e la primavera del 1561, opera che fu completata poco dopo la sua morte. Michelangelo ha qui concepito uno spazio fisico che tende per continue rivelazioni all’immenso per far percepire uno spazio più grande, quello divino.
.