“La danza ha bisogno di essere supportata e amata”. È l’appello lanciato da Lino Lancione e Marco Sassù, direttori artistici rispettivamente del Clodio Ballet e di Dimensione Sport & Gym, durante la VII rassegna del Saggio Danza Incontro svoltasi a Roma al Teatro Gesù Divin Maestro.
I due coreografi, noti al grande pubblico per aver lavorato in svariate produzioni televisive e teatrali, hanno sottolineato, con malcelata amarezza, quanto i ragazzi si siano allontanati dalla danza negli anni e, con lucida onestà intellettuale, hanno ammesso che il Covid abbia solo aggravato una situazione che già permeava in questo ambiente.
Ultimamente, infatti, sembra che la pandemia sia diventata il facile escamotage, in molti settori, per evitare qualsiasi tipo di riflessione, quasi a voler dimenticare che alcune difficoltà allignavano già prima dell’emergenza sanitaria. Come, appunto, nell’arte di Tersicore.
Basta tornare indietro di qualche decennio per notare la differenza. Negli anni Ottanta, ad esempio, la danza era l’elemento irrinunciabile per qualsiasi show televisivo. Coreografie che sono rimaste impresse nella memoria e che sono entrate a pieno titolo nella cultura popolare. Nessuna improvvisazione o facili ammiccamenti, dietro c’era lavoro e soprattutto “mestiere”, quello che oggi è stato sostituito da pressapochismo e sciatteria. Non sempre ovviamente, ma quel tanto che basta a far scendere l’asticella e creare nuovi standard a cui tutti, prima o poi, devono cedere. La danza, a ben pensare, è diventata un contorno di cui si può anche fare a meno: non è più l’elemento atteso, ma spesso quello disturbante di uno spettacolo. Sono cambiati i linguaggi, i modelli di riferimento e questo ha trasformato la danza da fenomeno pop, nella sua accezione più estesa, a forma d’arte elitaria.
A onor del vero in questa metamorfosi hanno giocato molti fattori tra cui, probabilmente, gli stereotipi che da sempre accompagnano questa disciplina. Stereotipi che da un lato hanno ammantato di fascino la danza, ma allo stesso tempo l’hanno confinata in una nicchia troppo stretta e spesso ingrata.
Ce ne sono tanti, dall’immancabile selezione di genere, al rigore al limite del sadismo o all’atroce rivalità sul palco. Tutti elementi che hanno reso memorabili tante pellicole hollywoodiane, ma che con la realtà, tranne rarissimi casi, non hanno alcuna attinenza. Guardando la rassegna promossa da Lancione e Sassù se ne ha quasi la certezza: occhi complici che si cercano, fisicità meravigliosamente eterogenee, generosità durante gli sbagli e tanta tanta emozione che con un’abile piroetta arriva dritta al pubblico in sala.
“La danza – spiega Vanessa Catoni, coreografa e insegnante – è una delle forme più antiche di linguaggio per comunicare emozioni e stati d’animo. Attraverso l’insegnamento, oltre alla consapevolezza del proprio corpo e del suo potenziale viene dato ampio spazio al lato emotivo e a tutte le sue sfaccettature. La danza – continua Catoni – richiede sicuramente dei sacrifici e tanto sudore, come amo ricordare ai miei allievi, ma regala anche delle soddisfazioni immense. Forse, fra tutte, è la disciplina che ne è più prodiga”.
Non ci resta, dunque, che sperare in nuovo Rinascimento della danza che permetta ai giovani di provare il brivido di un sipario che si apre e, soprattutto, l’amore incondizionato, parafrasando il grande Nureyev, verso un’arte capace di sublimare l’animo umano.