Recensione di Salvatore Margarone [da OperaAmorMio Magazine]
A Verona la messa in scena storica del 1913 decreta un successo per Un Ballo in maschera, l’opera più drammaturgica di G. Verdi.
Un Ballo in maschera torna dopo 21 anni di assenza a Verona, un’opera di Verdi molto amata dal pubblico messa in scena nell’allestimento storico del 1913 del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Auditorio di Tenerife.
Opera di tradizione che in questa serata non ha deluso coloro che amano godere di uno spettacolo straordinario e con un cast di tutto rispetto.
La messa in scena storica del 1913 ci riporta indietro nel tempo facendo rivivere agli spettatori un tempo passato dove, con i mezzi dell’epoca, si costruivano scenografie realizzate con tele dipinte come sfondi, cosa oggi impensabile, ma che da un certo punto di vista fanno sì che l’attenzione dello spettatore sia tutta rivolta ai cantanti.
Certo, non mancheranno le critiche da parte di alcuni sostenitori del rinnovamento moderno dell’opera lirica, ma sicuramente il poter godere ancora oggi di scenografie realizzate più di cento anni fa ci riporta ad altri tempi ed alla purezza del teatro, quello con la “T” maiuscola.
Dall’idea di Leila Fteita, che ha coordinato lo spazio scenico e arredi, i pochi fronzoli sgombrano il palco da suppellettili inutili, rendendo la scena molto semplice e lasciando così spazio di movimento ai protagonisti sul palcoscenico.
Forse mancava, in qualche momento, un po’ di movimento in più, tanto che in alcuni frangenti la scena risultava un po’ troppo vuota e i protagonisti un po’ fermi, ma nella regia curata da Marina Bianchi il focus era proprio rivolto agli interpreti che hanno dovuto mettere in campo le loro doti attoriali.
Doti che sono emerse a partire da Luciano Ganci nei panni di Riccardo. La voce squillante e ben proiettata ha aiutato a definire il personaggio. Spavaldo nelle movenze, così come richiedeva la regia, con sguardi accentuati e mirati, bene ha interagito con gli altri protagonisti. Ottimo controllo vocale in tutta l’estensione e bella dizione suggellano una performance di gran lusso.
Lo stesso si può dire per il Renato affidato a Simone Piazzola. Dopo un inizio un po’ incerto, pensa ad ogni parola, ai colori e alle intenzioni espressive, e sfoggia una bella voce baritonale che migliora nel corso della serata. Ovazioni del pubblico con richieste di bis alla fine delle sue arie segnano un successo pieno al baritono veneto, specie dopo l’aria “Eri tu che macchiavi quell’anima”.
Passando al comparto femminile lodi a Anna Maria Chiuri nelle vesti di Ulrica. Bellissima voce brunita cesella una maga-strega di tutto rispetto. La voce è omogenea anche sugli affondi di petto che mai risultano sgraziati. Ottima in “Re dell’abisso “.
Amelia è Maria José Siri. Molto presente nei cartelloni veronesi, la sua Amelia è portata in scena come donna fragile e sottomessa, ma anche donna combattuta per amore. La voce potente, ma anche leggiadra nei filati, cura nei recitativi ed intesa coi colleghi, hanno portato a casa un successo meritato. Ottima l’esecuzione dell’aria “Morrò, ma prima in grazia”.
Successo anche per Oscar interpretato da Enkeleda Kamani. Dopo un inizio un po’ incerto ha sfoggiato una voce brillante, agile e con molta precisione.
Bene anche il resto del cast a partire da Romano Dal Zovo (Samuel), Nicolò Donini (Tom), Fabio Previati (Samuel), Salvatore Schiani Di Cola (Un giudice/servo di Amelia).
Benissimo il Coro della Fondazione Arena diretto da Roberto Gabbiani, che si è distinto per precisione e bei colori senza mai esagerare.
Sul podio Francesco Ivan Ciampa. Sempre preciso ed attendo a orchestra e palcoscenico regala un fraseggio di gusto e colori orchestrali eccellenti, con buona pace di colui che dal loggione ha urlato “piano! Sembra una marcetta!”.
Il dissenso è un diritto, ma quando vi è un vero motivo (a parer nostro).
Interessanti i costumi curati da Lorena Marin che ricalcavano gli originali con qualche aggiustamento ad impreziosirli. Anche le luci di Andrea Borelli hanno cercato di ricreare un’illuminazione d’epoca, con le luci quasi sempre fisse in scena a rievocare quel tempo in cui le stesse non erano elettrificate, dando così rilievo alle prospettive delle tele storiche.
Si chiude così, quindi, la Stagione Lirica 2023 del Teatro Filarmonico, con un altro successo molto apprezzato dal folto pubblico in sala, con i lunghi applausi agli artisti e maestranze tutte.
Salvatore Margarone
La recensione si riferisce alla prima del 17 dicembre 2023.
Photo©Ennevi GALLERIA