Orange, 4 agosto 2015
Il Trovatore è un colosso verdiano difficile da affrontare: quale capolavoro, esige una direzione adeguata, una schiera di grandi interpreti, una messa in scena credibile e coinvolgente.
Ottenere tutto questo insieme è un miraggio: ci si può solo avvicinare alla perfezione, ma meglio se ci si avvicina, innanzitutto, con una adeguata direzione d’orchestra.
Alle Chorégie d’Orange il 4 agosto 2015 il M° Bertrand de Billy aveva per le mani la grandiosa Orchestra National de France. E si è sentito in pieno: corpo, volume, risposta, qualità del suono. Direzione dichiaratamente italiana, quanto a dinamiche, ma così dichiarata da esserlo anche troppo. I tempi erano corretti, a volte s’impennavano addirittura, mostrando un Direttore inflessibile con gli interpreti, lanciato, padrone di una direzione a volte data a staffilate…Ma mancava qualche nouance, e l’espressione dell’insieme risentiva di un’eccessiva “quadratura”.
Mai sfilacciare la partitura verdiana, ma neanche inquadrarla in un quadrato troppo perfetto, anche perché, in occasioni come queste, gli interpreti, alle Chorégie, sono svantaggiati pure dai fattori climatici e ambientali legati all’utilizzo teatrale delle stupende vestigia augustee. Sull’immenso palcoscenico, lontanissimi dall’orchestra e quindi dalla fonte dell’accompagnamento e dai gesti vivi del Direttore, gli interpreti di questo Trovatore francese hanno dato il meglio di sé fin dove hanno potuto e, quindi, tutti meritano preventivamente in questa sede apprezzamento incondizionato.
Protagonista quale Manrico, nei panni un po’ da brigante che gli erano attribuiti dalla messa in scena, Roberto Alagna, che ha dimostrato ancora una volta come un valido interprete possa focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore anche su momenti del capolavoro verdiano meno celebri ma altrettanto, se non più belli, della “pira”, croce e delizia dei tenori più blasonati.
Iniziando ad Orange interpretativamente quasi in sordina, sia pure imponendosi vocalmente, Alagna è andato crescendo, soprattutto dal punto di vista introspettivo del personaggio, fino alla fine dello spettacolo, lì dove, all’ultimo atto, si è tuffato completamente nella figura di figlio, amante ipoteticamente tradito, acerrimo nemico e quant’altro, nella resa di un carattere scenico i cui stati d’animo e reazioni, nel finale dell’opera soprattutto, si sfaccettano e si rendono più interiorizzabili e nello stesso tempo recitativamente più esprimibili.
Ha dimostrato così, ancora una volta, di dare il meglio di sé più nei ruoli che consentano espressioni variegate dell’animo umano che in quelli prettamente “eroici”, ritagliandosi a misura i momenti a lui più congeniali, anche vocalmente, e superando con impeto quelli più impervi per la propria vocalità. Dizione piuccheperfetta, fraseggio impeccabile, le note c’erano tutte, erano ben emesse, ben proiettate ed erano tutte al proprio posto e senza alcun difetto.
Lode ad un magnifico “leone” che aggredisce le parti più ostiche e le fa proprie senza azzannarle, ma affrontandole a viso aperto e vincendo con l’arte vocale e scenica che è propria dei grandi.
Hui He, invece, la bellissima interprete cinese, al debutto alle Chorégie nel ruolo di Leonora, ha avuto del filo da torcere e ne ha dato ai colleghi in scena con lei, poiché, pur possedendo un impasto vocale bruno, sensuale, dalle ombre avvolgenti, non ha risposto alla parte acuta con la stessa brillantezza e, soprattutto, probabilmente condizionata dalla situazione scenica all’aperto, ha mostrato diversi problemi vocali. E’ come se la sua voce negli acuti, che pure negli staccati si mostravano brillanti, fosse esitante, priva di squillo e ingolata: in una parola, calante.
Anche scenicamente la sua presenza si è dimostrata poco convincente. Eppure l’avvenente soprano cinese ha tutte le doti, anche fisiche, per essere una grande interprete. Probabilmente dovrà ancora calibrare innanzitutto la propria vocalità, volgendosi ad un’emissione più aperta, ma nello stesso tempo più coperta, evitando di brunire ancora i gravi e la zona centrale e tirando fuori con maggiore intraprendenza quegli acuti squillanti e intonati che certamente possiede. Le si augura in questo senso ogni successo in avvenire.
Marie Nicole Lemieux, insolitamente procace Azucena, ha dato prova di un’esperienza vocale assolutamente di tutto rispetto con qualità di spicco.
Scenicamente sempre reattiva e presente, ha fornito, soprattutto ad Alagna, nei duetti, coesione musicale ed appoggio scenico sicuri.
Padrone assoluto della parte del Conte di Luna, George Petean si è prodotto in una interpretazione che vocalmente può definirsi da antologia. Un gran richiamo a Piero Cappuccilli, ma anche con un orecchio ed un occhio a Giorgio Zancanaro e soprattutto capace di rievocare i tempi d’oro baritonali in cui certe prodezze acute d’epoca ancora precedente, scritte o non scritte che siano, erano all’ordine del giorno. Le ha eseguite tutte, con perfetta padronanza del mezzo vocale, a proprio agio nell’intera parte, voce robusta, bellissimo colore, ottimi fraseggio e dizione, nessuna esitazione, mostrandosi decisamente più Conte di Luna che Rodrigo, così come recentemente lo si era visto a Vienna nel Don Carlo. Grandissimo baritono verdiano: chapeau.
Corretti il Ferrando di Nicolas Testé, sia pure con qualche pretesa un po’ roboante, e la Inés di Ludivine Gombert; altri comprimari tutti un po’ calanti, Coro triplice dei teatri di Avignone, Nizza e Tolone, diretto daEmmanuel Trenque, in qualche difficoltà nella dizione.
Discutibile la messa in scena di Charles Roubaud, che ha collocato la vicenda trobadorica nella Spagna franchista e che a tratti, con i fondali di Dominique Lebourge, ha coperto la scena di pietra, provocando sicuramente problemi di sonorità ambientale agli interpreti. Il regista ha pure scambiato “la zingarella” per zingara bambina….sarà stato il diminuitivo…ma tra danze d’infanti gitane, zingari chitarristi, coltelli a serramanico e moschetti, ha spiazzato alla grande l’atmosfera cavalleresca di un Trovatore che richiede liuti, spade e, se proprio necessario, pugnali.
Pressoché indefiniti nella foggia e nell’epoca, nonostante gli sforzi lodevoli per avvicinarli al periodo storico prescelto dalla messa in scena senza snaturarne le origini, i costumi di Katia Duflot, che non giovavano all’atmosfera dell’opera, valorizzata invece dalle luci sfumate di Jaques Rouveyrollis, che riuscivano a contenere visivamente l’ipertrofico spazio del teatro romano di Orange.
Nell’insieme un Trovatore di tutto rispetto, comunque, e che dal punto di vista della presa sugli spettatori si è dimostrato vincente, sottolineato da applausi a valanga da parte di una immensa schiera di appassionati, esperti e habitué presenti alle Chorégie d’Orange, nonché dal plauso di milioni di spettatori che hanno assistito in diretta alla trasmissione televisiva ed in streaming del capolavoro verdiano.
© Natalia Di Bartolo
PHOTO © PHILIPPE GROMELLE, ORANGE,
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