Friday, November 22, 2024

Vecchio a chi?

“A Peppì nun me coprì quelle rughe che c’ho messo tanto tempo a falle!”. Anna Magnani, emblema del cinema neorealistico, sul set così si rivolse a un truccatore, confermando il suo personale modo di intendere l’arte come vita, oltre a un carattere schietto, capace di guardare in faccia la realtà. Tale reazione oggi suona come una beffa al dilagare dei rimedi per contrastare i segni dello scorrere del tempo sul nostro corpo e in particolare sul viso: dagli interventi chirurgici all’uso di prodotti dermatologici, alle ore dedicate all’esercizio fisico. “La paura di invecchiare è drammaticamente doversi confrontare con l’immagine che ci siamo costruiti di noi stessi e che gradualmente cambia. Questa lettura la facciamo soprattutto sul territorio di confine mondo esterno-interno che è la pelle con i suoi annessi cutanei: capelli, peli, unghie, ghiandole sudoripare, sebacee”, spiega Gennaro Spera già dermatologo del Consiglio nazionale delle ricerche. “Pensiamo ad esempio al primo segnale di invecchiamento che è l’incanutimento o in altri casi, soprattutto maschili, alla calvizie. E poi l’attenzione si accentua sulle rughe”.

Tale paura, al di là di un fatto estetico, può celare ansie più profonde come quella di essere abbandonati, di perdere l’autonomia o la gradevolezza agli occhi degli altri, finendo per essere emarginati. Tali problematiche sono racchiuse nel termine gerascofobia che interessa una popolazione sempre più ampia, anche a causa  del calo demografico e dell’aumento della popolazione nella “terza età”. In contrapposizione a questo trend, la società contemporanea esalta l’efficientismo, la carriera, il giovanilismo e il corpo fino al parossismo, mettendo in crisi anche  quella fase della vita in cui “la frenesia della vita giovanile si zittisce in riflessioni sul senso delle cose, in un riflettere che riassume una lunga esperienza e che forse arriva a rispondere alle tante domande che si suole fare in gioventù”, afferma lo scrittore Michel Houellebecq, che mette in luce la crisi di valori dell’Occidente  nel romanzo “La possibilità di un’isola” (2005 Bompiani), dove ha indagato la relazione tra gioventù e terza età, bellezza e decadenza fisica.

Col tempo by Giorgione

Fino all’epoca preindustriale la vecchiaia era l’equivalente di saggezza, ponderatezza esperienza da elargire alle nuove generazioni, valori testimoniati ad esempio nei celebri film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi e in “Novecento” di Bernardo Bertolucci. Andando indietro nel tempo, in epoca romana la dignità della figura dell’anziano era un valore condiviso nella società, soprattutto in età repubblicana dove la sua parola aveva un grande peso nelle scelte. Cicerone nel “De Senectute”, trattato scritto nel 44 a.C., si serve della figura di Catone il Vecchio per difendere le virtù della senilità, opponendosi ai luoghi comuni che la definiscono come periodo di decadenza. A partire dall’età imperiale, i poeti elegiaci guardano il tempo che passa inesorabilmente sottraendoci i piaceri e la bellezza, e la satira, come quella di Marziale, diventa caustica nei confronti di coloro che non si rassegnano alle conseguenze dell’età e si crogiolano in atteggiamenti esuberanti.

L’iconografia artistica ha sempre celebrato la bellezza, la grazia, l’armonia del corpo. Nelle scene che ritraggono la Visitazione, come quella dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni o nel gruppo Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino dipinto da Leonardo da Vinci (Museo del Louvre, 1510-1513), Marta e Anna, entrambe avanti negli anni, hanno sempre un aspetto nobile che delicatamente suggerisce un età più matura. Donatello rompe questa consuetudine proponendo una Maddalena (Museo dell’Opera del Duomo, 1453-55) emaciata, consunta dall’età e dalla povertà: ossuta e sdentata  comunica il senso del riscatto cristiano nella sofferenza. Allude invece alla vanità “La vecchia” di Giorgione (Gallerie dell’Accademia a Venezia,1506), figura che regge un cartiglio con il motto “Col tempo”, e, passando per il realismo rivoluzionario di Caravaggio, notiamo come  il  pittore olandese Rembrandt van Rijn, tra i molti autoritratti che eseguì ebbe il coraggio di rappresentarsi anche nella fase meno esaltante della sua vita (Autoritratto del 1669 nel museo Mauritshuis, L’Aja), appesantito dalle rughe e incorniciato dalla canizie. La pittura del Novecento enfatizza il senso di disagio, la solitudine, il declino fisico: ne “Le tre età della donna” di Gustav Klimt (Galleria nazionale d’srte moderna di Roma,1905) l’anziana si copre gli occhi con la mano in un gesto di vergogna; Angelo Morbelli (1853-1919) offre una tematizzazione della senilità con un ciclo di opere ritraendo persone dentro ospizi. Passando ai ritratti di Lucian Freud (1922-2011), osserviamo che la forza espressionistica dell’artista indugia anche sulla crudezza di particolari di volti non più giovani.

Oggi la cura del corpo è diventata una voce attiva del marketing. “L’industria cosmetica in Italia ha un fatturato di circa 10.000 milioni di euro, di cui le sole tinture dei capelli 300”, commenta Spera. “La psicosomatica dermatologica ha da sempre sottolineato come la pelle è il territorio dove avviene la ‘superficializzazione’ di situazioni conflittuali nascoste. Sulle rughe cosiddette di espressione si cerca di agire con la tossina che ‘paralizza’ e toglie una parte della nostra mimica; altro presidio sono i filler ‘riempitivi’ che ‘spianano’ gli antiestetici solchi nel volto. C’è poi l’intervento più invasivo che è il lifting, che nella mente dell’individuo spesso viene considerato come rimedio che fissa per sempre la propria immagine. Bisogna però ricordare che la nostra fisicità è data non solo dalle fattezze morfologiche, ma anche dal complesso della mimica, della gestualità e di molte altre componenti. Pertanto ogni intervento di contrasto all’invecchiamento deve essere attuato cercando di preservare al massimo la propria identità”.

Se non è possibile ostacolare il processo naturale, possiamo affrontare con più serenità la terza età grazie ai progressi della medicina e al miglioramento dello stile di vita. “Nel 1970, l’aspettativa di vita era di 69 anni per l’uomo e di 75 per la donna. Nel 2019, prima della pandemia, eravamo arrivati rispettivamente a 81 e a 85,5; questo traguardo si deve a vari fattori, quali la netta riduzione dei fumatori, l’aumento delle persone che praticano attività fisica, la capacità di diagnosi strumentali sempre più esatte e precoci, farmaci a nostra disposizione, tecniche chirurgiche che hanno reso fattibili e più sicuri interventi che apparivano complessi o, addirittura, non praticabili”, spiega Roberto Volpe dell’Unità prevenzione e protezione del Cnr. “Certo, purtroppo, la maggiore longevità non si accompagna sempre ad anni in salute fisica e/o mentale e, anzi, facilmente si assiste a un decadimento cerebrale, come  la demenza legata a fattori di rischio, combattendo i quali possiamo provare a prevenirla. A tal riguardo, va ricordato come la Dieta mediterranea, apportando vitamine e polifenoli ad azione antiossidante, appare in grado di contrastare i danni dei radicali liberi causa di un invecchiamento patologico e, presentando un buon contenuto in acidi grassi monoinsaturi (presenti nell’olio di oliva) e in grassi omega-3 (pesce, noci), concorre al mantenimento della struttura delle membrane delle cellule nervose. Ma anche l’attività fisica è fondamentale nella terza età: anche un esercizio fisico moderato come il camminare o fare la cyclette può stimolare l’ippocampo, la struttura del cervello deputata alla memoria, e migliorarla. Pertanto, una longevità di qualità è possibile”.

Insomma, se si sopportano bene gli acciacchi dell’età, “vecchio è chi ci si sente”, per dirla con la regina di Inghilterra che a 95 anni ha rifiutato un premio per gli anziani dalla rivista britannica “The Oldie”.

Sandra Fiore [Almanacco della Scienza CNR N. 20, 27 Ottobre 2021]

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Tiziano Thomas Dossena, Direttore Editoriale della rivista.

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