sono nato nel 1940, appartengo a quella generazione di vecchi che non sono stati mai bambini, non si poteva essere bambini in quei terribili anni ’40 vissuti in una Napoli distrutta dai bombardamenti, umiliata dalla miseria, mortificata dalla fame e lacerata da migliaia di vittime che insieme ai milioni di morti in tutto il mondo pagarono con la vita le diaboliche ambizioni di due esaltati. Sono ricordi che spesso riaffiorano, specie in questi giorni li vedo “risorgere” dalle immagini del conflitto tra Russia e Ucraina. Chi ha vissuto quei tempi, o li “conosce” avendoli studiati e letti, può facilmente immaginare gli stenti, le rinunzie e i sacrifici affrontati e sopportati. Personalmente, quando oggi vedo giovani fanatici che esibiscono il saluto romano; quando leggo che c’è un buon 17% di italiani che negano la Shoah, le leggi razziali e lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei, resto sgomento. Ma che ne sanno questi giovani che godono di cose che a noi degli anni ‘40 non era neppure permesso di sognare? Cosa ne sanno della tragedia dei cadaveri dilaniati dai bombardamenti, delle donne lacerate nel corpo e nell’anima, dei bambini consumati dalle lacrime e dalla fame? Mancava tutto, abbondava solo la paura che diventava terrore quando improvvisamente di notte le sirene annunciavano l’arrivo dei bombardieri e si doveva scappare nei ricoveri sotterranei. Ricordo mia madre china sul lavatoio a lavare in quell’acqua gelida con l’artrite che le contorceva le mani ed io che le dicevo che volevo andare a lavorare per pagarle una lavandaia. La ricordo piangere davanti al focolare, con un ventaglio logorato dall’uso e dal tempo, soffiare sul carbone spesso così umido che per accenderlo ci volevano ore… quanti sacrifici per preparare per noi cinque figli un po’ di pane con un pugno di farina mischiata alla segatura! Erano alimenti preziosi le bucce di piselli, fave e patate per cucinare una zuppa. Non meno duro è stato il dopoguerra. Rari i mezzi di trasporto, le abitazioni distrutte, le condizioni di vita difficilissime, miseria, fame, mancanza di lavoro, di medicinali e di ogni bene di prima necessità. Insomma, non cadevano bombe ma la tragedia continuava. La mia mente è affollata dai ricordi degli stenti di noi bambini d’allora, a cominciare dal desiderio di una fetta di pane. Ci pensate? Un poco di pane chiedevamo, non una porzione di timballo di maccheroni o un pollo arrosto o una fetta di torta, solo un poco di pane! Quando arrivò l’esercito alleato, che ci aveva liberato dal nazifascismo, qualcuno ci regalò una scatola di “polvere di uova” con cui si facevano le frittate. Poi, ricordo, si cominciava a trovare anche un poco di sugna e le mamme si inventarono “il finto capretto al forno” (patate, un paio di cucchiai di sugna, qualche spicchio d’aglio, cipolle, un rametto di rosmarino, sale e pepe) e la “finta genovese” (cipolle, un po’ di pomodori, sale, pepe, ‘na capa d’accio” (sedano) e l’immancabile “nzogna” (sugna)… naturalmente, assenza totale di carne! …ma non se ne avvertiva assolutamente la mancanza: quel piatto di pasta con “finto sugo alla genovese” ti faceva riconciliare con il mondo intero e per un po’ dimenticavi ogni tristezza! I sughi erano finti perché mancavano sia i beni di prima necessità sia i mezzi economici, ma sicuramente era vera l’armonia e la gioia che tante mamme, come la mia, riuscivano a creare, un’armonia che diventava magica con le loro carezze e i loro sorrisi… tante volte mia madre sorrideva anche se non c’era alcun motivo per farlo, ma lo faceva per noi cinque figli, per darci coraggio, sicurezza e, soprattutto, speranza. C’era miseria, vero, ma c’era anche più famiglia, più semplicità, più cuore. E c’era anche più rispetto, più educazione e si dava il giusto valore ad una stretta di mano e ad una parola data.
Ora bando alle tristezze. Vorrei trasmettere a tutti – in particolare alle nonne ed ai nonni – un messaggio d’amore. Due anni fa mia nuora e mio figlio ci hanno donato un tesoro di nipotina. Due problemi però non ci permettono di godere appieno di questa gioia: la vecchiaia che avanza e la lontananza, perché noi abitiamo a Catania, la nipotina e genitori a Milano. Ho ottantadue anni e tanti acciacchi. Questa realtà mi fa rendere conto che non mi resta molto tempo… però non voglio né immalinconirmi né arrendermi e desidero svelare a tutti i nonni cosa faccio per mantenere vivi quanto più possibile – anche se virtualmente – i miei contatti con la piccolina. La immagino spesso accanto a me e spesso le parlo di qualche cosa. Sono pienamente cosciente che è pura fantasia, è chiaro, ma lo faccio appunto per creare comunque un “contatto”, tanto non faccio male a nessuno! Per esempio, se vado ad innaffiare le piante sul balcone le dico come si curano i fiori; quando cucino le parlo delle ricette e del sano mangiare; quando la sera mi corico le sussurro piano piano “ora recitiamo il Padre Nostro e l’Ave Maria”; con l’aiuto di Dio, per Natale che verrà, quando allestirò il presepe, le illustrerò le numerose statuine che lo popolano e il culto che noi napoletani – in particolare – abbiamo per la sacra ricorrenza dell’Avvento. Bene, ora vengo davvero al dunque. Per lasciarle qualcosa di concreto, ho raccolto in due contenitori – realizzati da una brava artigiana – le varie foto dei miei nonni, genitori, zii e parenti vari raccolte nel corso degli anni, ognuna corredata da brevi notizie così, quando – e se avrà desiderio di risalire alle sue radici – troverà in questa breve “memoria storica” volti e piccole storie di chi ha creato i presupposti perché lei nascesse. Vedrà fra l’altro le foto a me tanto care di mia madre che partorì cinque figli (sono l’ultimo in vita dei quattro maschi) e che per noi ha sacrificato l’intera vita…
Ecco, gentile e caro direttore Dossena, questo lascio alla mia nipotina, il ricordo di chi l’ha preceduta e che, grazie a lei, sicuramente continuerà a “vivere”!