di Salvatore Margarone
È con Un Ballo in maschera di G.Verdi che il Teatro la Fenice di Venezia inaugura la stagione lirica 2018.
Il melodramma, in tre atti su libretto di A. Somma, venne rappresentato per la prima volta a Roma al Teatro Apollo nel 1859. Nella prima stesura il libretto, ispirandosi al grand-opéra Gustave III ou Le bal masqué (libretto di Scribe e musica di Auber), metteva in scena l’assassinio del re di Svezia, ma la censura, prima a Napoli e dopo a Roma, intervenne a imporre delle modifiche.
Con la censura borbonica, più pesante nelle sue pretese, Verdi fu intransigente e si rifiutò di toccare il libretto, ma accondiscendendo alle richieste di quella romana, si rassegnò a spostare il luogo d’azione e l’identità dei personaggi e re Gustavo divenne così il conte Warwick, portando la storia oltreoceano. La vicenda verdiana fu infatti ambientata a Boston alla fine del XVII secolo.
Nel nuovo allestimento scenico del teatro, affidato alle sapienti mani di Massimo Cecchetto, i costumi di Carlos Tieppo e la regia di Gianmaria Aliverta, la narrazione si sposta di due secoli avanti, negli anni ottanta dell’ottocento, quindi in epoca in cui Verdi ancora era attivo e prolifico compositore; periodo in cui vi erano ancora molti focolai di razzismo. Quest’ultimo viene enfatizzato in questa produzione portando in scena alcuni elementi con chiari riferimenti che non passano inosservati.
Il palcoscenico si trasforma quindi in una Boston di fine Ottocento, dove pochi elementi scenici muovendosi e ruotando fanno da contorno ai personaggi, come la rupe nel secondo atto o l’enorme svettante testa della statua della libertà dell’ultimo atto. L’effetto scenografico risulta tuttavia alquanto scarno e a poco servono le luci create appositamente da Fabio Barettin, statiche e insufficienti a colmare desolanti vuoti scenici.
Ma vince e salva la messa in scena il cast, anche se non al cento per cento: non brilla infatti l’ Amelia di Kristin Lewis che, pur sfoggiando qualche pregevole mezza voce, manca di efficacia vocale per questo ruolo.
Un po’ rigida la Ulrica di Silvia Beltrami, a cui è ascrivibile un personaggio piuttosto anonimo, non nelle sue corde.
Brilla invece per vocalità e presenza scenica Oscar, affidato alla bellissima voce di Serena Gamberoni: sempre precisissima nell’intonazione, dimostra notevole carattere vocale, sicurezza tecnica e intelligenza artistica, interpretando un Oscar di tutto rispetto e meritandosi calorosi applausi dal pubblico.
Protagonista assoluto e punta di diamante dello spettacolo è Francesco Meli, nei panni di Riccardo.
Ottimo in questo ruolo che gli calza a pennello, non mostra mai momenti di cedimento, sia vocale che scenico; una scintilla vocale dopo l’altra lo conferma uno dei migliori tenori del momento. Squillo, colori, agilità e molto pathos nel suo fraseggiare, disegnano un Riccardo sicuro e maturo.
Bene il resto del cast formato da Vladimir Stoyanov nei panni di Renato, Simon Lim (Samuel), William Corro’ (Silvano), Mattia Denti (Tom), Emanuele Giannino (un giudice), Dionigi D’Ostuni (un servo di Amelia).
Nulla da eccepire sulla splendida performance dell’Orchestra del Teatro La Fenice che, sotto la direzione di un magnifico Myung-Whun Chung, è stata smagliante sin dalle prime note dell’opera.
Ottimo anche il Coro, guidato da Claudio Marino Moretti, ed i Piccoli Cantori Veneziani istruiti da Diana D’Alessio. Teatro gremitissimo (non si vedevano posti liberi neanche al loggione), che ha dispensato lunghi e calorosi applausi decretando il pieno successo dell’opera inaugurale.
Photo © Michele Crosera – Teatro La Fenice
La recensione si riferisce alla recita del 1 dicembre 2017.