Non riesco a comprendere la necessità di selezionare con i test gli aspiranti medici. Non sarebbe più logico che avvenisse tra i banchi del liceo, agli esami di maturità e durante il primo biennio? Poi, se entro il 2025 è previsto che mancheranno 17.000 medici, perché rendere tanto complicato l’accesso ai seguaci di Ippocrate affidandone il destino ai test? Comunque, da ottantenne che vuole morire da vivo e non vivere da morto, secondo me sarebbe davvero auspicabile che agli aspiranti medici si facesse anche studiare la vita di Giuseppe Moscati come viatico comportamentale per la futura carriera professionale. Nato a Benevento nel 1880, laureato e vissuto a Napoli, canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 1987. Dal santino dedicatogli dalla Chiesa del Gesù, a Napoli, dove è la sua tomba, quotidianamente visitata da migliaia di fedeli, si può leggere la sua “ricetta d’amore” per tale professione: a 23 anni iniziò la carriera di medico e di apostolo, unendo la scienza profonda a una fede operosa. I poveri di Napoli erano i suoi pazienti preferiti: da loro non accettava mai compenso, li curava a sue spese e li aiutava senza farsene accorgere. Su tavolinetto della sala d’attesa un cestino e accanto questa scritta: chi può dia, chi non può prenda.
Già soltanto queste poche parole basterebbero a farci comprendere l’incommensurabile carità umana di questo uomo profondamente cristiano, antesignano delle opere di Madre Teresa di Calcutta.
Giuseppe Moscati lavorò ispirandosi totalmente al Vangelo, non inseguì ricchezze, né onori, non fece a cazzotti con i colleghi per diventare primario né per guadagnare dottorati. La sua scienza la mise tutta al servizio degli ammalati, ricchi e poveri, colti e analfabeti. Sicuramente sono tanti i medici che non sanno nulla della storia professionale e umana di San Giuseppe Moscati. Peccato! E’ una storia che potrebbe veramente cambiare la vita di molti.
Raffaele Pisani