“Nacque la memoria nell’istante medesimo che l’esiliato Adamo varcava la soglia del Paradiso Terrestre”
(Alberto Savinio)
Anni fa mi fu regalato un libro dal titolo “La biblioteca della memoria”- a cura di Vincenzo Campo (fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori)…
Cosa rimane impresso del nostro passato se non quello che attraversa il cuore? Come dire che teniamo stretti in noi quei passi di vita che abbiamo percorso, così intensi e quasi più reali nell’immaginazione filtrata dal ricordo, rispetto al corrispondente vissuto tempo prima.
Italo Calvino, dice Campo, “adagia i ricordi in un umido letto di sabbia, in quel fondo del torrente dei pensieri (Calvino), che è il nostro cervello”.
I momenti si assommano, si depositano, gli uni sugli altri, sicché alcuni di questi restano maggiormente incisi, altri emergono, come improvvise apparizioni, altri ancora giacciono sul fondo e chissà se riusciranno per qualche caso fortuito o sinapsi cerebrale a farsi portavoce di storie, le nostre, compiute nel tragitto della vita.
Si sa che la conservazione di eventi storici, trova conforto nelle testimonianze di esperienze raccolte nelle voci di chi li ha vissuti in prima persona e quando anche queste voci sono risucchiate dal tempo, allora la memoria, per essere mantenuta in vita, necessita di “celebrazione o di conoscenza”. Un apporto decisivo, ad esempio riguardo agli anni post guerre del 900, per il mantenimento della memoria nel tempo, “per non dimenticare”, si è avuto grazie alla creazione di monumenti; la funzione architettonica, il suo « contenuto » primario, è quello di assolvere al dovere morale del ricordo e di lì a porsi come monito, perché solo riportando alla memoria gli eventi luttuosi e catastrofici si può riedificare una società.
Anche il cinema, la fotografia, il teatro e ogni altra espressione artistica, oltre alla scrittura, hanno svolto questa funzione di conservazione e custodia di accadimenti perché diventassimo noi consapevoli, rendendoci conto dell’errore.
“Non si ricorda da soli ma con l’aiuto dei ricordi altrui”, dice il filosofo Ricoeur (“La memoria, la storia e l’oblio”). Quindi, per il recupero degli eventi, i racconti collettivi, le commemorazioni, le celebrazioni pubbliche sono essenziali per non isterilire il ricordo individuale.
La funzione della critica storica, dice Ricoeur, contribuisce a creare una coscienza capace di oblio liberatore che rafforza la memoria e la guarisce dagli eccessi di patologismo e che infine conduce al perdono difficile. Ricercare un senso agli eventi inumani accaduti e che accadono ancor oggi in guerra aiuta ad elaborare un lutto collettivo, a superare la ferita storica e sociale oltre che individuale.
Diversa è la rimozione del ricordo di qualcosa che ci è accaduto nel senso che “dimentichiamo o rimuoviamo, proprio quella memoria con cui è difficile o doloroso entrare in contatto impigliati nelle nostre reminiscenze, incapaci di lasciarci il passato alle spalle».
A tal proposito, Freud affermava che ricordi angoscianti, “avvertiti come minacciosi o causanti ansia, spesso non riescono ad accedere alla sfera della consapevolezza, per ragioni difensive: Freud denominò tale fenomeno “rimozione” fattori emotivi e difensivi nell’oblio”.
Penso che nel caso dell’oblio, come volontà e capacità di dimenticare, ci si rapporta ad esso per potere affrontare collettivamente un passato storico doloroso. Ciò non comporta la rimozione degli eventi causa del trauma collettivo a livello di coscienza, bensì richiede un atteggiamento di consapevole distacco emotivo per la riedificazione di un nuovo patto storico-sociale tra le parti.
Diceva Borges che “Dimenticare non è un difetto della memoria, ma una necessità salutare”. E proseguiva affermando che
“Il ricordo non è una semplice registrazione degli accadimenti. Per essere assimilato bisogna prendere distanza dall’evento e riprenderlo nel presente… Senza tale stacco si smarrisce la dimensione temporale, una pura memoria senza oblio diventa un ostacolo e non un aiuto per la vita: Ricordare e dimenticare sono strettamente legati anche perché entrambi, insieme, organizzano i ritmi mutevoli della nostra coscienza […]. In effetti la memoria dipende fortemente dal filtro dell’oblio che, accogliendo solo poche cose dalla massa di sensazioni che giungono al cervello attraverso i canali sensoriali, fornisce i presupposti per prospettive, rilevanza, identità e, con ciò, crea anche la base stessa del ricordo»
Scrittura e memoria
Scrittura e memoria sono ancora oggi il riferimento di conoscenza di fatti da non dimenticare, da depositare nell’umido letto di sabbia.
A volte si sa quanto sia difficile rendere vivo il ricordo, quando gli eventi sono lontani ormai nel tempo rispetto al nostro presente.
Nell’insegnamento è stato visto come raccontare, inserendosi nel racconto attraverso l’artificio di diari, di lettere, di narrazioni personali, appare uno dei modi per rinsaldare il legame col passato sconosciuto e pertanto questo espediente didattico conduce i giovani verso la sponda felice dell’”assimilazione emotiva” degli eventi. Curiosità per le vicende narrate, costruzione della narrazione con apertura, intreccio ed epilogo, (la fabula), permettono di appropriarsi del passato e di tenerlo a galla per lungo tempo.
I fatti emergeranno dalla rete della creazione narrativa, dove l’immaginazione gioca un ruolo importante poiché amplifica di significati metaforici e simbolici quel passato raccontato. Di lì, il racconto può sopravvivere anche quando è solo tramandato di bocca in bocca.
Due anni fa, in una mia classe terza media, affrontai con i ragazzi la prima guerra mondiale, partendo da alcuni diari ed alcune lettere dal fronte. Si partiva dalla lettura dei testi e ci si sostituiva allo scrivente, corredando di particolari storici documentati i propri scritti. Ebbene, quell’esercizio di lettura, riflessione, sostituzione, auto narrazione mimetica creò l’immedesimazione nei protagonisti reali di quel materiale scritto a loro sottoposto, tanto da riuscire a fare “essere” gli allievi nei tragici eventi storici, a far sì che essi esercitassero con la mente riflessioni e argomentazione critiche e potessero imprimere nella memoria fatti che altrimenti sarebbero rimasti sterili parole nelle pagine del libro di storia.
Ci si racconta quindi raccontando
Alla luce di quanto riportato circa l’esperienza personale scolastica, si può mantenere viva la memoria attraverso il romanzo storico intrecciato con storie autobiografiche; lì dove è venuta a cadere la dimensione di una memoria che appartiene a tutti, si cerca di dar voce a un passato collettivo parlando di sé, portando in parallelo le vicende personali e gli eventi generali oggettivati da fonti e testimonianze, microstoria incastonata in macrostoria.
Se è confortante ricordare quanto ha fatto stare bene all’umanità, è importante tenere alto anche il ricordo di un passato di negatività per essa stessa. “Il passato, il suo errore, il suo male, non è mai passato” dice Leonardo Sciascia, a proposito di un’etica del dovere del racconto storico. Ora la mente percorre il Novecento; ripenso, quindi, alle due guerre, alla tragedia dei campi di sterminio e poi ai gulag, alle guerre che ancora sono nel mondo, allo stato di alcuni Paesi a regime dittatoriale militare e teocratico. È più semplice ricorrere col pensiero a immagini riportate nei libri “a ricordo” di un seme di male insito nell’umanità. E’ più facile per via di corpi che parlano, corpi denudati, corpi martoriati, corpi dilaniati, ridotti a sottili scaglie in cui noi fatichiamo a insistere con lo sguardo perché quell’immagine potrebbe coincidere con la propria. Incrociare il corpo metafora del bene e del male è un forte corroborante per la memoria.
Ma il corpo può essere anche un oggetto. Pensiamo all’immagine della 600, l’automobile a portata di tutti gli Italiani, o quasi, o pensiamo a una Vespa, o portiamo lo sguardo su certo abbigliamento giovanile che rimanda a un preciso momento storico-sociale. Ecco che l’oggetto riporta alla visione di un’epoca, di un modo di vivere, di fenomeni sociali che, se non abbiamo vissuto in prima persona, abbiamo visto in documentari o di cui ne abbiamo sentito parlare.Potremmo continuare a parlare di memoria spostando il focus del discorso sull’emigrante. Quante immagini che richiamano il tema dell’attraversamento: mare, barcone, nave a vapore, valigia… e tutto su uno sfondo in banco e nero o a colori per meglio definire un’epoca di viaggio. Cosa ci verrà in mente anche solo circoscrivendo gli occhi su un dettaglio? Parole come lingua, terra, identità faranno affiorare altre immagini espresse da altre parole come fatica, difficoltà, nuova terra e nuova lingua, spaesamento, disorientamento spazio- temporale, costruzione di una nuova identità. Potremo ritrovare come per incanto un bagaglio comune -quella che viene indicata come memoria collettiva – di esperienze vissute e depositate nei fondali della nostra psiche.
Ricordo e funzione del corpo in movimento
Ho ascoltato un interessante trasmissione radiofonica che parlava di Sebastião Salgado e l’Amazzonia, della periferia e dello sfruttamento. Mi ha colpita come l’82%, del cuore di questa foresta sia ancora intatto, fatto da tribù di indigeni. Estrapolo un frammento del giornalista Michele Smargiassi su Robinson, inserto di Repubblica, a Sebastião Salgado, le cui foto sono ora in mostra al Maxxi di Roma. Nel colloquio si parla di Amazzonia e dei suoi villaggi.
“Un paradiso grande 20 volte l’Italia, abitato da 300.000 persone che lo rispettano, tribù meravigliose e segrete che vivono in luoghi inimmaginabili, oltre 100 gruppi non hanno mai avuto contatto con la cosiddetta civiltà”… “se perdiamo gli indigeni dell’Amazzonia- È evidente perdiamo noi stessi. Loro sono noi, homo sapiens arrivati lì 20.000 anni fa, rimasti lì divisi in piccoli gruppi x sopravvivere in equilibrio con le risorse, mentre noi abbiamo moltiplicato il nostro numero fuori da ogni controllo.
Loro sono l’origine vivente dell’umanità, sono la più grande concentrazione di diversità culturale del pianeta… hanno il nostro sapere, ma in un altro modo, hanno antibiotici, antiinfiammatori naturali, conoscono le leggi della fisica… portano con sé l’idea della libertà. Nei villaggi non c’è repressione, non c’è violenza, non c’è imposizione. Non ci sono parole per dire opposizione o rimprovero nella loro lingua…”
I viaggi di Sebastião Salgado, in Amazzonia e non solo, ci parlano di esperienze immortalate in fotogrammi passando per la condivisione, l’immersione in mondi lontani persino dalla nostra immaginazione. Un corpo deambulante che vive l’esperienza dell’altro e la offre a noi come ricordo perché sia reificata, fortemente impressa anche in chi non è stato in essa.
Un’altra esperienza di “spostamento” finalizzato al ricordo è quello del “In cammino tra Sant’Anna e Marzabotto per non dimenticare le stragi”, sesta edizione della Marcia per la Pace.
Marzabotto è stato uno tra i luoghi del nostro Paese scenario di stragi nazifascista. Per “non dimenticare”, dal 12 al 17 agosto, si è svolta la Marcia della Pace da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto.
Sei tappe per toccare i luoghi e ripercorrere i giorni, per ricordare quello che è accaduto incontrando le comunità colpite e contribuire a conservare la memoria delle stragi nazi-fasciste. «Il cammino che unisce Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto – afferma il presidente della Provincia Stefano Baccelli – è un percorso tra due luoghi simbolo della nostra storia. Decidere di percorrere questo cammino a piedi, dedicandogli un tempo “lento” e una buona dose della propria energia fisica diventa il manifesto vivente della nostra ferma volontà che certi tragici episodi non si ripetano più. Consapevoli che anche da questi eventi sono nati il nostro ordinamento repubblicano e la nostra democrazia, con questo “pellegrinaggio laico” si rende omaggio alle vittime degli eccidi perpetrati dalle truppe nazifasciste».
Il presidente della Provincia Stefano Baccelli sottolineava in un’intervista come il cammino a piedi, il tempo “lento” del viaggio, per di più l’impiego della propria “energia fisica” nel viaggio stesso compiuto a piedi fossero testimonianza della volontà a che certi tragici eventi non si ripetano più. Il “pellegrinaggio laico” può divenire così un inchinarsi alle vittime del nazifascismo.
Il corpo quindi diviene una necessità per fermare il pensiero, accumulare energie, dare senso al passato, prendendone consapevolezza. Il corpo, il gesto come forme di pellegrinaggio emotivo e mentale possono essere una via per tenere viva e perenne la memoria.
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