Tuesday, February 11, 2025

Su le montagne silenziose e belle… Recensione del libro di poesie “Federico Tosti e la Montagna”

Recensione di Marina Agostinacchio

CAPITOLO 1.   PAESAGGI.

Di Federico Tosti ho avuto la possibilità e il piacere di scrivere in passato per L’Idea Magazine.

Torno oggi a farlo su una raccolta di poesie sulla montagna, pubblicate da Idea Press, in un libro di testi interessanti, curato con passione da Tiziano Thomas Dossena.

Diverse sono le sfaccettature tematiche all’interno degli scritti e orientate a potere fare cogliere al lettore i punti di vista dell’autore.

Balza subito all’occhio la passione di Tosti nei confronti della natura; molteplici sono gli scenari che si aprono allo sguardo di chi legge, come a seguire il cammino, un vero e proprio pellegrinaggio, a fianco di Federico, nelle sue soste, nella contemplazione su paesaggi dolci e impervi, ricchi di vita arborea, di particolari che siano una chiesetta, un crocifisso un fiore, un albero, una parete ascensionale.

Incomincio dai paesaggi di montagna, che come gli altri filoni narrativi, sono disseminate lungo tutto il libro, soffermandomi, però, sulla prima sezione del libro.

Nella prima sezione del libro, “L’OMETTO E LA MONTAGNA”, la poesia  “ARCOBBALENO” ci porta ad esplorare un cielo la montagna nero. La nuvola che fa capolino dietro le vette esplode d’improvviso, avvolgendo tutto di un’atmosfera sinistra.  Significativi ed esplicativi i versi “…tra l’urlo de le raffiche de vento/ la “Montagna” sparì ne la bufera!/ Grandine… neve… lampi a cento a cento,/scoppi de tôno… furmini… saette!/daveno n’oppressione, ‘no sgomento/come si se spaccassero le vette!”, capaci di farci assistere quasi in diretta l’evento catastrofico, attraverso i suoni, oltre che le immagini. Poi però, come spesso capita in montagna, ecco venir meno la forza del vento, della pioggia, del tuono. Tutto rallenta, si dissolve nell’immagine dell’arcobaleno, del cielo sereno, del sole che appare d’improvviso: “Poi rallentò de furia l’uragano, /er lampo balenò de tanto in tanto… /l’urtimo tôno brontolò lontano. /Ecco, a un tratto, apparì l’arcobbaleno, /er sole s’affacciò come d’incanto/e tutto er celo ritornò sereno.

In “COLLI EUGANEI”, il poeta si trova di fronte a un paesaggio che definisce gentile anche tra le rocce impervie in forza di una luce dolce che le illumina. Che sia autunno o primavera i Colli Euganei si stagliano su altri scenari di montagna, contraddistinguendosi per la bellezza dei boschi e delle creste, la loro levità, quasi un giardino, un eden terrestre. Persino il prato, l’acqua, l’albero, la siepe, “l’ucelletto assopito tra le fronne”, paiono la coreografia adatta per l’allestimento di un Presepe.

Nel “ER CANTO DE LA SERA”, si assiste ancora all’annuncio della bufera. A sottolineare ciò, ecco l’assenza delle ombre della sera, delle stelle, solo il suono aspro, “l’urlo” della bufera per la montagna a cui risponde il canto quasi sottovoce dell’uomo, del visitatore, dello scalatore, accomunati tutti da uno stesso sentimento di pace e di richiesta a Dio di “accoglienza”.

Il sole, si sa, compie prodigi. Si espande fino a coprire l’orizzonte, sale fino alla vetta. Scrive il poeta, nel testo “ER SOLE”:  Er sole, dopo tutta ‘na nottata,/mannò er saluto suo da monte a monte, /scese le coste, ce baciò la fronte /e cacciò l’ombre in fonno a la vallata. La scelta lessicale e costruttiva di Tosti è una scelta che procede per immagini, per suoni, per emozioni; l’autore sa portare su un piano di azione volontaria accadimenti naturali, come il sorgere del sole, il suo succedersi alla notte, il suo espandersi da un monte a un altro, dando un’anima a elementi che rispondono a un ciclo di fenomeni che rispondono a leggi deterministiche.

“FONTECELLESE” apre l’orizzonte fisico e intimo del lettore, attraverso la visione di prati connotati dal poeta di morbidezza e fruscio, pari alla seta – “er prato morbido de seta” e di rimandi di luce offerti dall’acqua fresca di una sorgente d’acqua “luccichio d’argento de la fonte. L’autore ci parla di una “piccola valle silenziosa e quieta/sperduta tra le cime de li monti”. Quanto bisogno di pace traspira in questi versi! Albe e tramonti, visti innumerevoli volte, intorno ad alberi di faggio che invitano al canto!

Tosti sa gestire il verso composto, sapendo misurare con intelligenza sentimento e ragione, emozione e pensiero.

Cosa sarà mai “LA CATTEDRALE D’ORO”, un testo poetico che già anticipa nel titolo dato lo spettacolo di una natura maestosa e preziosa… ecco trovarci al cospetto di un ghiacciaio, di cui un “un pinnacolo/tutto a colonne de color celeste, /dritto lassù, signore de le creste, … Un raggio obbliquo d’oro lo riveste…

La descrizione, mai scontata, mai fotografia da cartolina, acquista senso nel ricorso a rimandi cromatici a una visionarietà, a un onirico e metafisico.

In “MONTE SIRENTE”, un cielo bianco che prelude una nevicata, uno sguardo d’infinito offerto   verso Levante dalla Majella col suo Monte Amaro…silenzio, a tratti il suono del vento… boschi di faggio e in lontananza il “luccichio der mare”; “Vette d’argento… azzurri de marine, /luci rosse der sole che scompare/in un volo de nuvole turchine!”. Tra scintillii di luce, un rosso abbacinante di sole, un cielo limpido, Tosti sa richiamare l’attenzione e il ricordo di un’immagine e un déjà vu, un archetipo che vive in ogni uomo, un immaginario depositato da epoche remote, con pochi tocchi di scrittura.

E quelle nuvole turchine, apparente ossimoro, pare richiamare una memoria letteraria: il verso del sonetto “A Zacinto” di Foscolo: “Le tue limpide nubi”, a sottolineare un cielo terso proprio nell’apparente contraddizione di nuvole e cielo sgombro.

Agosto1956. Il poeta con la figlia Adriana sul Gruppo del Monte Bianco

Infine “PAESAGGIO”. Tra nuvole bianche, una Montagna scura da cui di alza “Er venticello”, “er canto der ruscello” che appare qua e là in mezzo al prato. Come una presenza capace di espandersi, (e qui mi viene in mente il riferimento letterario ad Ardengo Soffici in Ignoto toscano”, dove il corpo sperimenta e misura lo spazio, riempiendosi di esso, lungo tutto il corpo), in un’immensità di bellezza e d’infinito, Tosti avverte l’impercettibile presenza dell’aria pura e odorosa; l’occhio si allarga fino a un nucleo di case e di vita che riposa – “dorme, sereno ar sole, er paesello”. La visione dell’autore procede dalla vista al suono sommesso fino al tintinnio, fino allo squillo del pioppo che vibra in forza di un vento forte. E subito viene intercettato dal poeta, attento alle sensazioni musicali del proprio essere in meditazione (“er tempo scorre silenzioso e lento…”), l’odorato, riscontrabile nei versi successivi – “l’abbeti cupi odoreno d’incenzo”.

In “STELUTIS ALPINIS”, la terzina “Mo, de la neve tra li bianchi gij,/dove la roccia move er primo passo/quanti fiori ce sò rosso-vermij!”, ci offre la possibilità, attraverso il dettaglio del fiore color vermiglio, di seguire una  direzione verso la quale muovere l’occhio, quasi a indicarci, l’autore, di non perdere di vista il particolare che “muove dentro”, capace di far risalire da un fondo di scoscesi accadimenti esistenziali l’intima gioia che può dare l’occasione di un incontro con il segreto che la natura porta in sé.

Come pure nel verso tratto da “TRISULTI”, si affaccia come un richiamo a seguire nelle parole il suono del torrente, dell’acqua che scende e inclina verso la valle dove ha fine il suo percorso ma non cristallizza, anzi “rumoreggia”; il poeta ci guida nella lettura, sa restituirci, anche in immagini, visioni tante volte colte, e date per scontate, di un movimento spumeggiante e sonoro di uno scroscio allegro che si deposita “senza posa” .

Ed ecco i versi: “A valle rumoreggia senza posa/L’acqua che scende giù da la montagna!/E la musica eterna che accompagna/.

Proseguiamo la nostra lettura, mirata a distendere lo sguardo sulla natura, descritta nei suoi particolari con la sezione “FIORI ALPINI”.

In “Fiorita”, ci aggiriamo tra corolle cromatiche specchiantesi nel dinamismo di un flusso d’acqua; come nei cieli del paradiso dantesco, a ogni fiore spetta un proprio posto, a seconda del colore. Così, ci sono i bianchi che “siedono” signori, disseminati, qui e lì, ciuffi “d’un colore ardente” e “le soldanelle azzurre drento e fôri”

E poi c’è la Genziana, azzurra “come er celo su li monti”, riluce a cospetto del sole; e ancora i “Fiori belli”, a punteggiare il prato, tra i sassi, “pe’ le fonti”.

In questo panorama di bellezza, ci sembra di cogliere un senso di pace, armonia; perché tra i fiori, quasi a sapere ascoltare la voce del poeta, non esistono invidie, semmai la gratitudine verso un creatore.

1978. Tosti In cordata tra le rocce dell’Adamello (il poeta aveva 80 anni in questa foto)

Sempre della stessa sezione, incontriamo la poesia “IN MONTAGNA”.

Qui l’ascesa, suggeritaci dai versi, “Pe’ prati e boschi, poi de roccia in roccia/salisco la “Montagna” benedetta…/, appare leggera, infatti nel movimento del corpo attento per la roccia, “Canta un ruscello in fonno a ‘na valletta”, cosicché la voce dell’acqua sembra lenire la fatica. Mentre intanto lo sguardo, pur vigile a dove il piede affonda, riesce a cogliere “là, su ‘na rupe, un fiorellino sboccia”. Di nuovo il particolare trova possibilità di cittadinanza, all’interno di un viaggio, dove la visione d’insieme della natura non soffoca l’elemento estetico e spirituale che dà al poeta la possibilità di innalzare tutto l’essere, tra un immanente consacrato a valore universale e un trascendente che risuona in esso in armonie celesti.

Ma spingiamoci oltre, nelle terzine finali del testo poetico per trovare un venticello che “sospira dolce”; qui nella scelta verbale del poeta, si può riscontrare la personificazione del vento, che si appropria di un umano, come incarnandosi in esso e di un umano che diviene esso stesso parte di un tutto, innestandosi nella natura, mentre s’invola “in célo er canto der ruscello!”

Marina Agostinacchio
Marina Agostinacchio
Nel 1998 e nel 2007, Marina Agostinacchio è tra i vincitori del concorso nazionale di poesia “Premio Rabelais”. Nel 2006 è tra i finalisti del Premio “Tra Secchia e Panaro”. Nel 2002 ha ottenuto il Premio internazionale Eugenio Montale per l’inedito. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesie Porticati, nel 2009 la raccolta Azzurro, il Melograno, nel 2012 Lo sguardo, la gioia, nel 2014 Tra ponte e selciato. Nel 2021, Marina Agostinacchio ha pubblicato i volumi bilingue di poesie "Trittico Berlinese", 2021, e "In the Islands of the Boughs", 2023.

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