L’italia è cosparsa di bellissimi teatri ottocenteschi “all’italiana” più o meno grandi. Il teatro “Persio Flacco” di Volterra è sicuramente uno dei più belli tra quelli di medie dimensioni; il suo progetto, che si basò, per l’acustica, sulle proporzioni della curva ellittica del teatro settecentesco “La Fenice” di Venezia, fece il giro dell’intero Paese e su quello si basarono i progetti della maggior parte dei teatri costruiti successivamente nel centro-sud Italia.
Alla sua inaugurazione Il teatro “Persio Flacco” venne salutato dalla stampa dell’epoca come un teatro meraviglioso per i suoi decori e straordinario proprio per la sua acustica. Infatti ben presto divenne un teatro di vocazione lirica, non solo per la moda del tempo, ma anche per il numeroso pubblico di esperti melomani toscani, ma soprattutto per tali caratteristiche straordinarie di diffusione del suono.
Grazie alla fruttuosa collaborazione tra i due fra i più bei teatri non solo di Volterra ma dell’intero Paese, e l’Accademia dei Riuniti per il Teatro Persio Flacco e Gruppo culturale associato Progetto Città per il Festival Internazionale del Teatro Romano, il è andato in scena nel suddetto teatro Persio Flacco di Volterra, in Prima nazionale, dopo l’anteprima dell’estate appena trascorsa sul palco del Festival Internazionale del teatro romano, il nuovo spettacolo dell’attore e regista Simone Migliorini, scritto appositamente per lui dalla drammaturga Alma Daddario: PAN…crazio – la libertà di avere paura.
Si è trattato di un monologo virtuosistico, rivisitazione in chiave moderna del mito greco di PAN, accompagnato dalle musiche originali di David Dainelli, eseguite dallo stesso al pianoforte col contributo della violinista Angela Zapolla, e le coreografie e i movimenti scenici della danzatrice Carlotta Bruni.
Il nuovo, originalissimo esperimento del Migliorini è partito proprio dal dato acustico e il teatro Persio Flacco si è trovato ad ospitare, per primo tra i teatri ottocenteschi italiani, uno spettacolo di forte tensione emotiva che è stato ascoltato in cuffia dal pubblico in sala.
Grazie anche alla partnership con una Ditta leader mondiale nella distribuzione di cuffie wireless che garantiscono un’alta qualità di ricezione del suono, infatti, ogni spettatore è stato dotato di una cuffia e ha potuto assistere allo spettacolo dal vivo, ma immergendosi nel suono della musica e delle parole: un’esperienza sensoriale di grande impatto emotivo.
A questo proposito e per spiegare da quale principio assai ben meditato, studiato e motivato sia partito questo esperimento messo in atto proprio in un teatro celebre per ciò di cui sopra si parlava, è interessante leggere le note di regia del M°. Simone Migliorini:
Da anni rifletto su come coinvolgere il pubblico in teatro diversamente da come usufruisce dei mezzi di intrattenimento multimediali, su come far apprezzare una performance dal vivo ri-educando all’ascolto, all’immersione nel lavoro al quale stanno assistendo, a restituire un’emozionalità del suono della parola che negli anni è andata perdendosi negli artifici visivi e sonori della tv, del cinema, dell’intrattenimento multimediale.
L’inquinamento acustico del vivere contemporaneo ha provocato, tra l’altro, una perdita generalizzata di percezione uditiva. Non è solo una questione di attori che non sanno più “portare” la voce, il pubblico è diventato davvero “sordo” e poi nei teatri non c’è più silenzio, c’è sempre un telefonino lasciato inavvertitamente acceso, c’è sempre chi ha un colpo di tosse, chi è distratto dallo schermo dello smarthphone che si retroillumina all’improvviso.
Si vive il teatro più per esserci stati che per voler essere lì e ora, forse perché Il teatro ha perso il suo essere atto erotico di condivisione emotiva e intellettiva, il teatro contemporaneo, almeno in Italia (o almeno quello ufficiale) non riesce più nel suo ruolo afrodisiaco, straniante: ha perduto la propria ritualità. Dunque è diventato noia allo stato puro, ripetizione, tecnica, o esaltazione artefatta, eccesso studiato, privo di follia o, nel migliore dei casi, onanismo cerebrale rivolto a pochi sodali coinvolti fin dall’atto intenzionale e creativo.
Da anni si cerca di assecondare il pubblico attraverso l’utilizzo delle immagini o delle figurazioni, andando incontro a un gusto, forse ponendosi inconsapevolmente in concorrenza con altri mezzi espressivi: nel primo caso creando un ibrido che sta a metà tra tv e cinema ma senza riuscire in effetti a una vera integrazione e a superare la Lanterna Magika di Radok/Svoboda in auge ormai dal 1958. Molte rappresentazioni che utilizzano il rafforzamento della storia attraverso immagini sembrano più derivare dai cantori medievali di piazza, anche quelli che spesso hanno come tema storie efferate o burlesche o narrazioni epicizzate di cronaca..
Nel secondo caso si ricorre più a una cultura tipicamente orientale che a partire dalle zone balcaniche fino in Giappone trova la sua essenza e giustificazione di essere anche nelle forme più primitive e tribali: sempre più spesso si assiste a fenomeni di masse (non di massa) che potrebbero essere nobilitati paragonandoli a dei casti baccanali moderni, ma che non riescono ad andare più in là dall’essere mere parate, nobilitate da tematiche accattivanti e da un coordinamento più o meno professionale, ma prive di autenticità, sfibrate, private del “bisogno” e della correlazione etnico antropologica.
Già Carmelo Bene sperimentó i “nuovi” mezzi fonici artificiali per la sua fonè con i risultati straordinari che tutti conosciamo, ricorrendo anche al playback; già altri artisti utilizzano mezzi audio ipertecnologici per qualificare la portata e la grana della propria voce, per raggiungere il pubblico dall’esterno, spesso però piegando i propri mezzi espressivi al servizio del mezzo meccanico.
L’opportunità, quindi, di mettere il pubblico nella condizione di straniamento, di ascolto stereofonico, di recuperare una sensorialità importante per il teatro, l’udito e la concentrazione e che permetta all’artista la sua naturalezza espressiva, mi ha da sempre intrigato.
Ecco allora questa nuova tecnologia wireless, che fa effetto, non solo a chi viene ad assistere, ma anche a noi sul palco: vedere/percepire un pubblico completamente immerso nel nostro spettacolo, vedere un teatro completamente silenzioso: non è un teatro “del Silenzio”, ma un teatro “nel silenzio”.
Non so quale potrà essere il gradimento di questa prova, ma ho capito che questa tecnologia può restituire al teatro e agli attori la loro diversità, la loro originalità, il motivo per il quale valga la pena andare a teatro per assistere a qualcosa di diverso, di coinvolgente, di dannatamente erotico, che possa fare apprezzare in tutta la sua follia il Duende.
Istintività, ancestralità, paura, follia, erotismo sono tutti quegli ingredienti dei quali, dalla notte dei tempi il mito di Pan è il più autorevole rappresentate, quale miglior occasione allora di questo poema “PAN..crazio”, rivisitazione in chiave contemporanea del mito di Pan, per dare avvio a questo tipo di sperimentazione.
Simone Migliorini
Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
PHOTOS © Sergio Battista, © Sauro Gennai Ass. GIAN Volterra, AA.VV.