Rigoletto in rigorosa linea con la tradizione a Catania il 20 ottobre 2015. Sul podio il Maestro Michelangelo Mazza, che ha sostituito l’annunciato Martinenghi.
L’apporto del Direttore, di comprovata esperienza verdiana, è stato assolutamente fondamentale. Rigoroso, attento, partecipe, ha sostenuto gli interpreti, ha dato slancio all’azione, ha coperto le sbavature che gli si presentavano sul palcoscenico… Insomma, ha fatto ben più di quello che normalmente un Direttore fa in uno spettacolo d’opera, in cui, mediamente, il suo apporto è paragonabile ad un buon 60% per la risucita dello spettacolo. Il giovane Maestro ha fatto oltre l’80% della riuscita di questo Rigoletto catanese. Era uno spettacolo nello spettacolo: tali erano la sua partecipazione ed il suo coinvolgimento emotivo, in un impegno spasmodico e ininterrotto tutto da lodare incondizionatamente; tanto che guardarlo dirigere era a tratti più interessante di ciò che avveniva in scena. Questo succede a chi scrive solo con i grandi Direttori, primo fra tutti Michel Plasson…E, dunque, gli figuri come augurio per un futuro altrettanto prestigioso.
Il Maestro Mazza, che nel finali sfogava quasi in maniera liberatoria tutto l’impeto che era costretto a trattenere durante lo snodarsi delle scene, ha saputo, oltretutto, coordinare una compagine d’interpreti che da sé non avrebbe avuto il potenziale di coesione sufficiente per portare a termine con applausi finali lo spettacolo.
Anche la professionalità di Alberto Gazale, nei panni di Rigoletto, per fortuna ha giocato a favore della copertura di un evidente perdersi alla scena IV del secondo atto di tutta la compagine in scena. Voce robusta e sicura, bel colore e timbro, il Gazale ha però dato del filo da torcere ai tempi assolutamente corretti del Direttore, poiché, soprattutto all’inizio, il suo canto è stato connotato da una certa lentezza, alla quale la direzione mal si adattava. In seguito la coesione tra palco e buca è cresciuta e il ruolo del protagonista si è risolto con una buona performance complessiva, applaudita al finale, ma alla quale qualche prova in più avrebbe concesso maggiore approfondimento e partecipazione emotiva per il ruolo del gobbo buffone di Hughiana memoria.
Gilda, Daniela Bruera, ha una buona voce, ma, purtroppo, è carente nei coloriti. I piano, i pianissimo, i filati non si sono fatti sentire. E una Gilda così manca di quelle finezze indispensabili anche alla caratterizzazione del personaggio. Probabilmente il ruolo si presta poco alla sua vocalità, che è certamente ancora giovane e che è auspicabile evolva verso ruoli più corposi.
Il duca di Mantova, il coreano Jaeheui Kwon, orientale nei tratti, era spento, purtroppo, nella voce. L’emozione, oltretutto, gioca brutti scherzi ed era palpabile per questo giovane interprete, che mancava di carattere, oltre che di potenza e proiezione. Non si stanno qui a rilevarne i problemi anche nei confronti dell’andare a tempo con l’orchestra, ma gli si deve riconoscere una spinta interiore che potrà venire fuori in futuro, anche col miglioramento della tecnica.
Sparafucile era Maurizio Muscolino: buone note gravi, moderata disinvoltura scenica. Incolore e fuori tempo la Maddalena di Kulli Tomingas, che a tratti era totalmente coperta dalle altre voci e dall’orchestra. Una nota di lode al giovanissimo Monterone di Davide Giangregorio. Voltenterosi i comprimari, monocorde sul forte e fortissimo il coro diretto da Ross Craigmile, che necessiterebbe di maggiore cura nei coloriti e nella coesione.
Tradizionali i costumi; lineare, spartano, quasi, lo scenario: su tutto aleggiava la mano ormai storica di Roberto Laganà, che ha portato, anche nella regia, sulle scene un Rigoletto assolutamente tradizionale, stereotipato anche nella disposizione degli interpreti, nei movimenti del coro, nell’insieme dalla rappresentazione. Sembrava di essere tornati ai tempi in cui un Rigoletto al Bellini era ordinaria amministrazione, ma faceva storia. Non perché la regia fosse eccezionale, ma perché agli occhi di che scrive si è riaperto tutto un mondo di ricordi e di vissute, passate grandezze di un teatro che merita nuovamente di spiccare il volo e far parlare di sé come una volta.
Ma, come è giusto che sia, nell’insieme di uno spettacolo d’Opera, quel che conta è soprattutto l’atmosfera musicale. E nel Rigoletto ce n’è talmente tanta che è stata comunque una gioia perdersi ancora per una sera, immersi nello splendore del teatro catanese, nell’infinita grandezza verdiana.
©Natalia Di Bartolo
PHOTO TEATRO MASSIMO BELLINI GIACOMO ORLANDO