6 settembre 2014. Pensare che da ben sette anni oggi Luciano Pavarotti non sia più fra noi appare ancora strano a chi si fosse abituato ad immaginarlo instancabilmente in giro per il mondo a portare la propria Arte a gloria dell’Italia musicale.
Voce chiara ma non “leggera”, piena, corposa, perfettamente dominata, unita ad uno “spirito” che gli consentiva non solo la capacità di trasmettere la veridicità del dramma che avveniva sulla scena, trascendendo la sua mole, ma che lo dotava anche d’autoironia, come dimostrava, per esempio, saltellando nei panni di Nemorino ne “L’Elisir d’amore” di Donizetti.
Un trascinatore di folle oceaniche perfino cantando canzoni, nel suo essere “onnivoro” in musica, dote che non è da tutti i musicisti possedere.
La più grande voce del XX secolo? Forse…Chi scrive ritiene di poterlo accostare (giammai, a questi livelli, metterlo a confronto!), nonostante le due voci siano veramente agli antipodi per caratteristiche e pregi, soltanto all’incommensurabile Enrico Caruso.
La potenza vocale, il timbro scuro, la straordinaria modernità di Caruso stanno alla limpidezza con la pienezza del sostegno e del volume, la modulazione perfetta, l’assoluta mancanza di sbavature di Pavarotti. Un “testa a testa” che sarà sempre impossibile dirimere. E poi, perché mai tentare di decretare un “vincitore”? Erano entrambi unici.
L’eterno confronto con Domingo e con Carreras, allora, grandi protagonisti sulla scena nella sua stessa epoca gloriosa? L’hanno sfatato essi stessi, cantando insieme più e più volte. Splendido e corposo Domingo, dagli armonici quasi palpabili e dal temperamento inimitabile; magnifico e vellutato Carreras… ma i confronti non reggono: belli ed eleganti i primi due, “enorme” ed apparentemente “sgraziato” Pavarotti… ma se si provava a chiudere gli occhi… E tutto ciò senza per nulla voler sminuire la grandezza degli altri due.
Chi scrive non dimenticherà mai un’edizione di “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi, anni ’90, all’Opéra Bastille a Parigi, dove ebbe la fortuna ed il privilegio di ascoltare il tenore modenese in una serata probabilmente di grazia, che è rimasta scolpita nella memoria di molti. Senza filtri, senza trucchi da sala di registrazione, l’ascoltatore udiva il suono di un bicchiere di cristallo percosso con un’unghia, morbido e squillante, con armonici che sfioravano gli ultrasuoni e si materializzavano, quasi, come coriandoli impalpabili, in un risultato, unito alla presenza scenica, che sfiorava la perfezione.
Eppure l’hanno inseguito tutta la vita, povero Pavarotti, alla ricerca delle sue umanissime “stecche”…e l’hanno beccato, a volte; ma le sue erano stecche da prima pagina, facevano notizia più dei fatti di cronaca, riempivano le pagine dei quotidiani e delle riviste, dove ogni tanto qualcuno lo dava per “finito”… Ed invece, come la Fenice, Luciano risorgeva dalle proprie ceneri e tornava a risplendere di luce propria.
E poi, i grandi Artisti ricevono dal Cielo un dono misterioso: il dono dell’immortalità della propria Arte, che si riflette in loro e li trasfigura. Suggestivo ma quasi superfluo immaginare Pavarotti, così come si è voluto sottolineare allora al suo funerale, tra le schiere dei Cherubini e dei Serafini, a cantare le lodi di Dio… E se dovesse starlo facendo davvero, già da sette anni, non farebbe proprio nulla di nuovo: per farlo già in vita, gli è bastato far bene il proprio “mestiere”.
È il misterioso potere dell’Arte, che, quando possiede la “A” maiuscola è sempre e comunque preghiera. Canto sacro o profano, Opera o canzone, quindi, Pavarotti non ha fatto altro che pregare per tutta la vita, pregustando, forse senza saperlo, il Paradiso e trasmettendo a chi lo ascoltava la trascendenza dell’Arte Musicale in cui era Maestro. Adesso ne abbiamo ancora un’eco nelle sue registrazioni.
In Paradiso ci stava già, dunque, il nostro “big Luciano”, a dispetto dei tortellini e dei piatti tipici modenesi di cui era ghiotto, a dispetto dei suoi “incidenti di percorso” terreni, a dispetto della sua mole, nel creare la quale il Signore non aveva risparmiato materiale. Ed allora ci è gradito immaginare che il nostro grande Tenore prosegua eternamente nella sua principale attività: quella di innalzare lodi a Dio. Pensiamolo però, adesso, “leggero leggero” per sempre…come non era mai stato.