se il 4 maggio 1981 non avessimo firmato la nostra separazione, avremmo già festeggiato le nozze d’oro. Non è stato possibile, siamo divorziati! Però nulla ci vieta di festeggiare i quasi 60 anni “dal” nostro matrimonio”. Io e Francesca ti avevamo invitato qui a Catania, ma i tuoi impegni non lo hanno permesso. Noi continuiamo ad aspettarti. E intanto ti scrivo ciò che ti vorrei dire a voce.
Quando ci siamo incontrati eravamo due ragazzi immaturi e facevamo parte di quelle famiglie in cui il genitore diceva «qui comando io e ho sempre ragione». Una generazione, la nostra, che doveva credere, obbedire e subire. Tu, in particolare, essendo una giovane donna, dovevi sottostare a regole delle quali dagli Anni ’70 in poi s’è persa ogni traccia. Praticamente: io e te in cinque anni di fidanzamento non siamo mai usciti da soli. Eravamo sempre scortati e guardati a vista da una caterva di familiari. Sicuramente pensavano più alla nostra sistemazione che alla necessità di una nostra conoscenza per capire meglio chi eravamo e soprattutto cosa cercavamo e cosa sognavamo. Io e te abbiamo cominciato a parlare tra di noi a nozze avvenute quando, conclusi i festeggiamenti, lasciammo Napoli per scapparcene, finalmente da soli, a Sorrento. Due figli non sono bastati a farci superare gli ostacoli dovuti a una serie di incomprensioni. Così, di comune accordo, decidemmo di voltare pagina e ci separammo. Ma non siamo mai stati nemici e non ci siamo mai fatti infettare da quel male che spesso penetra dentro come serpe velenosa e avvelena anima e corpo. Tutto si è svolto civilmente e senza rancore, soprattutto per il rispetto reciproco e per il bene dei nostri ragazzi.
Vivere un rapporto stiracchiato, in un certo momento della nostra vita, quando ci siamo accorti che entrambi cercavamo strade diverse, ci era infatti sembrato sbagliato, un compromesso che stonava con l’onestà dei nostri sentimenti e del nostro vivere quotidiano. Io stentavo a prendere la decisione: il pensiero di abbandonare la casa dove abitavo e dove avevo le mie cose mi faceva star male, avrei perso la sicurezza che dà la famiglia, le gioie dei figli. Tu invece sei stata decisa: «Puoi venire a stare con i ragazzi quando vorrai, però formalizziamo la separazione». L’inizio è stato traumatico, ma la gioia di non sentirmi un vigliacco che tira avanti per comodità ed il mio sogno di incontrare l’amore vero mi sono stati di grande aiuto.
E poi è successo che ho incontrato Francesca. Anche lei, come me, aveva alle spalle un matrimonio fallito. Io abitavo a Napoli, lei a Catania. Per circa dieci anni abbiamo fatto i “pendolari dell’amore”. Poi, d’accordo con i nostri due figli, e i tre di Francesca, nel 1990 mi sono trasferito a Catania. Abbiamo cominciato a vivere tutti insieme, pensavamo «appassionatamente». Ma gli spazi limitati e i ragazzi che crescevano non permettevano a tutti noi di poterci muovere secondo le necessità di ciascuno. Poiché riteniamo che il nostro amore sia stato un vero miracolo, abbiamo cercato una soluzione per salvare capra e cavoli. Ho trovato una casetta a trecento metri da quella di Francesca. La quotidianità la viviamo così: a pranzo Francesca si divide tra la «casa grande» ed il lavoro, io sto nel «nido» con i miei libri, la mia Napoli e la poesia. La sera ceniamo e dormiamo insieme, nella «casa grande» o nel «nido», non fa differenza. E così sono già trascorsi già quarant’anni. Ora io ne ho quasi 80, Francesca 77.
Ed ecco che oggi sento la necessità di ringraziarti, Angela, principalmente per quattro cose: per il bene che hai voluto ai miei genitori e ai miei fratelli; per come hai fatto vivere in modo agiato (sicuramente anche troppo) i nostri due figli e per tutto ciò che hai fatto cercando di seguirli nel migliore dei modi; ti ringrazio per il fraterno e affettuoso rapporto che hai sempre avuto con Francesca (e tu sai come e quanto lei te lo ricambia); ti ringrazio, veramente di cuore, per l’amicizia vera che non mi hai fatto mai mancare. Mai.