di Michele Sciamanna
A rivelarlo è uno studio pubblicato su “Frontiers in Aging Neuroscience”, secondo il quale il cervello, in punto di morte, può mostrarci il film della nostra esistenza. Anna Lo Bue, neuropsichiatra infantile dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr spiega il meccanismo che sembra attivarsi
Il cervello è l’organo più complesso dell’individuo e questo comporta una grande difficoltà nel comprendere a pieno il suo funzionamento: miliardi e miliardi di cellule neuronali interconnesse tra loro a formare una rete intricatissima lo rendono tanto interessante quanto complesso da studiare. Premesso ciò, sembra che al momento della morte sia in grado di mostrarci la nostra vita come fosse un film. Un’ipotesi supportata da diverse prove. Negli ultimi vent’anni sono stati molti gli scienziati che si sono concentrati su questo intrigante fenomeno che prende il nome di “Esperienze pre-morte” (Nde). “Queste esperienze sono considerate come uno stato alterato di coscienza che si presenta quando il soggetto è in pericolo di vita”, spiega Anna Lo Bue, neuropsichiatra infantile dell’Istituto di farmacologia traslazionale del (Ift) Cnr. “I pazienti spesso riportano di aver vissuto esperienze particolari come l’aver visto parenti deceduti, una visione delle proprie vita ed esperienze in cui si percepiscono da una prospettiva diversa, fuori dal proprio corpo. Tutto ciò avviene in una dimensione simile a quella del sogno. Vale la pena notare che il contenuto delle Nde è simile in tutto il mondo, in tutte le culture e in tutti i tempi”.
Secondo alcuni autori, il numero di queste esperienze pre-morte è aumentato negli ultimi decenni in parallelo allo sviluppo di tecniche di rianimazione e terapia intensiva. L’incidenza relativamente alta e la fenomenologia delle Nde richiedono però robuste spiegazioni scientifiche. “Sono state avanzate diverse ipotesi neuropsicologiche e neurobiologiche, tra le quali l’ischemia retinica, l’acidosi sistemica, scariche epilettiche, squilibri di neurotrasmettitori, intrusioni del sonno Rem”, continua la ricercatrice. “Le spiegazioni disponibili sono rilevanti ma rimangono ancora ipotesi, data la mancanza di prove causata dall’oggettiva difficoltà di registrazione di un cervello umano morente. Finora, i processi neurofisiologici che si verificano in questo stato derivano da studi sperimentali su animali. Per giustificare il verificarsi di Nde ci si è chiesti se nell’arresto cardiaco con elettroencefalogramma piatto l’attività elettrica cerebrale sia davvero silenziosa; tuttavia, è noto che non è così. Sebbene sia stato ipotizzato uno stato ipo-attivo dell’attività cerebrale, gli studi sperimentali su animali hanno mostrato un aumento dell’attività elettrica cerebrale dopo l’arresto cardiaco, in particolare nella banda gamma”.
In uno studio recente la registrazione continua dell’Eeg da un cervello umano, nella fase di transizione verso la morte, è stata ottenuta da un paziente di 87 anni in arresto cardiaco in seguito a un ematoma subdurale traumatico, monitorato in ospedale. In questo studio, pubblicato sulla rivista “Frontiers in Aging Neuroscience”, a sorprendere gli scienziati sono state le registrazioni dell’attività elettrica cerebrale del paziente negli attimi prima e in quelli successivi alla morte. “I segnali sono stati registrati utilizzando il sistema standard di posizionamento degli elettrodi, 10-20 Hz (per l’analisi della potenza spettrale, le bande di frequenza sono definite come delta 0,5-5 Hz, theta 5-10 Hz, alfa 10-15 Hz, beta 15-25 Hz, gamma a banda stretta 30-60 Hz e gamma a banda larga 80-150 Hz). Nei soggetti sani le oscillazioni neurali forniscono una cornice per l’elaborazione delle informazioni di percezione, coscienza e memoria durante la veglia, il sogno e la meditazione. In particolare, nella percezione cosciente sono stati identificati una maggiore attività talamo-corticale, con aumento della banda di frequenza gamma”, chiarisce Lo Bue. “Dopo la soppressione delle risposte emisferiche bilaterali, nel paziente si è osservato un aumento della potenza assoluta nell’attività gamma. I flashback di memoria descritti nelle Nde sono stati collegati con un’attività oscillatoria, simile al richiamo della memoria in vita. Si ipotizza che il cervello possa generare un replay della memoria all’interno di questa fase ‘inconscia’, con un aumento dell’attività oscillatoria”.
Ci sono però alcune limitazioni di cui va tenuto conto. “Innanzitutto il danno cerebrale subito dal paziente potrebbe aver influenzato l’attività cerebrale ritmica. Inoltre le cellule neuronali, quando vengono private dell’ossigeno, possono subire cambiamenti nell’eccitabilità che aumentano la sincronizzazione”, conclude la neuropsichiatra. “Lo stesso effetto può essere causato anche dai farmaci anticonvulsivanti a cui il paziente era stato sottoposto, influenzando così l’attività neuronale. Però, confrontando i risultati di questa ricerca con quelli degli studi effettuati sui roditori, maggiormente controllati, si può ipotizzare che il cervello durante la morte agisca secondo una serie di schemi stereotipati”.
[Almanacco della Scienza, 11.05.2022]