Tito Maccio Plauto con “Poenulus (il Cartaginese)” al teatro romano di Volterra, per il XIII Festival internazionale dell’omonimo teatro. Un evento, in prima nazionale assoluta, affidato alla sapiente regia di Giancarlo Sammartano.
In un periodo in cui ormai i drammaturghi proliferano, finalmente un momento di correttezza filologica di gran Scuola, messa in scena in una cornice autentica di teatro di pietra e di fascino, sottolineata dalle musiche di un altro veterano delle messe in scena del teatro classico, Stefano Marcucci. Un momento unico e irripetibile, dove i millenni si sono annullati nella magia del teatro romano di Volterra.
Una commedia lieve, insolita nell’intreccio per i nostri gusti odierni, appartenente al tipo plautino della palliata con agnizione, cioè di ambientazione greca con intreccio a riconoscimento finale; così raffinata nella traduzione da evitare finalmente a Plauto il ripetersi della nomea di pesantezza e volgarità che di solito lo accompagna.
Una versione di gran gusto, in una messa in scena con i canoni della vera commedia classica: quattro attori, tredici maschere, tredici personaggi da interpretare, scambiandosi gli interpreti, di volta in volta, i ruoli in un sapiente gioco di entrate ed uscite di scena, di scambi d’identità e di costumi, ideati questi ultimi, come le scene, da Daniela Catone.
Una società insolita ai nostri giorni ci viene porta dal grande Plauto, una condizione sociale in cui ancora gli schiavi vengono trattati da schiavi (sia pur “callidi”, in questo caso, come Milfione e Sincerasto, cioé furbi e orditori degli intrighi principali della vicenda) ed anelano a diventare liberti, trovando normale essere maltrattati…così come i loro padroni trovano normale comprarli e venderli ed essere a loro volta, per errore, comprati e venduti…Per lo spettatore, un impatto con un mondo che non esiste più, ma che nella sua accezione di intrecci, imbrogli, persone e caratteri non è poi cambiato più di tanto da allora…lì dove anche il pubblico pagante viene coinvolto modernamente nell’azione e nel gioco del teatro e richiamato all’ordine e al meritato, doveroso applauso.
Ma sono le maschere, con il loro fascino millenario, a farla da padrone della scena. Lavoro improbo per i quattro giovani attori, che, grazie alle maschere, hanno ricoperto anche tre ruoli femminili, come usava anche allora, quando le donne non calcavano il palcoscenico.
Emersi dai millenni, i personaggi di Plauto,con le loro maschere policrome, realizzate magistralmente da Giancarlo Santelli con materiali nobili e rigorosamente riprodotte dai modelli delle maschere di Lipari, riportano il teatro alla propria natura originaria di luogo della fantasia e dell’immaginazione, dell’inventiva e del sogno.
Le maschere hanno come una vita propria, non sono oggetti comuni, ma oggetti “magici”, legati al culto del dio Dioniso, non solo dio del vino e del piacere, ma anche del teatro e del godimento dei beni nell’oltretomba. Le maschere sono così un tramite tra il divino e l’umano, tra il trascendente e l’immanente. La “simbiosi”, quindi, che si crea tra maschera ed attore fa rilevare allo spettatore di teatro, abituato, di solito, ad intendere la maschera come un travestimento o una “copertura” del volto, sia pure a scopi artistici, che essa sia davvero qualcosa di vivo e che solo dopo averla studiata a fondo ed averne compreso la valenza espressiva, teatrale ed umana si sia capaci di servirsene correttamente al momento della recitazione. Guardando, quindi, la questione dal punto di vista non più dell’attore, ma del pubblico, non si sottovaluti mai la presenza di una maschera in scena: essa è l’anima dell’attore che la indossa e che, quindi, diventa con lui un tutt’uno umano e, in un certo senso, anche soprannaturale.
Una full immersion nell’inconsueto, ma supportato da quel rigore che faccia ancora grande il teatro di un grande come Plauto, riconoscendogliene la corretta valenza sotto ogni aspetto, compreso quello di Padre Latino della Commedia.
© Natalia Di Bartolo
“La Casa d’Arte Teatrale Fondamenta propone per la stagione estiva 2015 un repertorio di due spettacoli da testi plautini di diversa natura ma di pari significato e valore: Il Persiano (Persa), e Il Cartaginese (Phoenulus). Gli spettacoli rappresentabili singolarmente ovvero in sequenza a serate alterne, ripropongono la storica ed affascinante modalità scenica di quella drammaturgia: solo quattro attori infatti, attraverso l’uso delle maschere interpretano – in un vorticoso e di per sé esilarante gioco teatrale – i quindici ruoli dei due testi. Il Persiano, nel suo perfetto intreccio di verità ed apparenze, realizza un modello inimitabile di macchina comica, dove la boria del potere dei padroni è messa impietosamente alla berlina con uno spirito dissacrante che rimanda alla poetica di Aristofane, all’utopia di una società di giusti in armonia con la vita naturale del mondo. Il Cartaginese, composto nel ricordo delle guerre puniche, che tanto avevano scosso la potenza militare e politica romana, costituisce un esilarante intreccio di innamorati, ragazze libere vendute come schiave, di servi sciocchi e intraprendenti, di soldati spacconi. Travestimenti, inganni, trappole costruite a vista per lo scioglimento finale dove trionfa la giustizia elementare del buon senso nel sogno della libertà collettiva. Gli spettacoli, (con la regia di Giancarlo Sammartano, scena e costumi di Daniela Catone, musiche di Stefano Marcucci, maschere di Giancarlo Santelli) rappresentabili singolarmente ovvero in sequenza a serate alterne, ripropongono la storica ed affascinante modalità scenica di quella drammaturgia: solo quattro attori infatti, attraverso l’uso delle maschere interpretano – in un vorticoso e di per sé esilarante gioco teatrale – i quindici ruoli dei due testi.
La formula riprende con coerenza e rigore l’esperienza dei primi anni ’90 con l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa intorno a Curculio e Truculento di Plauto con la regia di Giancarlo Sammartano. Le maschere, realizzate da Giancarlo Santelli, sono ricreate sul modello delle terracotte votive a Dioniso, rinvenute negli anni ’60 e ‘70 negli scavi della necropoli di Lipari, che riproducono fedelmente i tipi della commedia greca nuova di Menandro e per affinità quelli della palliata latina. Una piccola compagnia in grado di farsi letteralmente in quattro vuole riportare oggi – con scrupolo filologico e libertà di pensiero – alla dimensione originaria il teatro plautino: restituendogli da un lato il divertimento degli intrecci, delle situazioni, dei caratteri, degli scontri verbali; ma anche guardando alla grande lezione del teatro classico che ha nel rapporto con il pubblico – sia nel tragico che nel comico – il valore di un’esperienza conoscitiva sulla natura del mondo sociale.
Una memoria segreta sul senso e il valore del Teatro, in cui la parola acrobatica danza in un corpo vitale, dove oltre la malizia di espugnare il pubblico – di piacere – trasmettendo tensione o allegria, circola un umore acre e coinvolgente. Il mondo plautino non descrive soltanto una galleria di tipi e situazioni comiche paradossali, ma riflette, nella deformazione del teatro, un intero mondo sociale. La Roma repubblicana e la romanità sono descritte ed interpretate come un universo parallelo dove le regole sono sovvertite e riscritte a tutto vantaggio di giovani innamorati e servi intraprendenti. Uno spazio di libertà che solo il teatro, nella sua leggerezza ed apparente innocuità può permettersi di praticare. …. Un teatro quindi, che con il pretesto del puro divertimento, rimette in moto spirito di osservazione, di comprensione, di critica. Con il futile pretesto di esili storie, di improbabili intrecci, di personaggi ridicoli, questo teatro parla del nulla che incombe sulla vita, crea molte luci per alludere ad altrettante ombre. Per suggerire allo spettatore che se il teatro non sempre riflette fedelmente la vita certamente ne spiega con sapienza le pene e le gioie. Il Persiano e Il Cartaginese, come due capitoli di un grande romanzo, nascono oggi in equilibrio tra la memoria di un vivo passato e il legittimo desiderio di inventare ancora, comunicando al nuovo pubblico – così diverso ma non difforme da quello antico – il senso di un divertimento che sia anche curiosità del conoscere e gioia del sapere.” (Fonte “Fondamenta”)
Il Cartaginese, POENULUS
di Tito Maccio Plauto
PRIMA NAZIONALE
Interpreti:
Paolo Floris, Tommaso Lipari, Mattia Parrella, Andrea Puglisi
Maschere: Giancarlo Santelli
Scene e costumi: Daniela Catone
Musiche: Stefano Marcucci
Regia: Giancarlo Sammartano
Produzione: Fondamenta s.r.l.
© Natalia Di Bartolo, operaeopera.com
PHOTO LEONARDO IMPELLIZZERI & STEFANO FIDANZI, NATALIA DI BARTOLO