Monday, November 18, 2024

Pesci polari, c’è chi cerca casa

I cambiamenti climatici, che nell’ambiente terrestre colpiscono le specie poco flessibili ai mutamenti ambientali, stanno causando, soprattutto ai Poli, spostamenti delle specie, modificandone la distribuzione geografica. “L’ecosistema marino risente maggiormente dei cambiamenti climatici, e ciò è particolarmente vero per i pesci”, afferma Maria Rosaria Coscia dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) del Cnr. “L’ambiente marino dell’Artico ha subito rapidi cambiamenti biogeografici conseguenti all’innalzamento della temperatura degli ultimi decenni, da cui sono derivati effetti sia diretti che indiretti su distribuzione, crescita e mortalità delle specie ittiche”.

Nel mare di Barents, la regione del mar Glaciale artico a nord della Norvegia e della Russia, sono stati osservati i maggiori effetti del riscaldamento globale sulla comunità ittica. “Dati riportati di recente hanno evidenziato, dal 2004 al 2012, una marcata alterazione dei tratti funzionali e della localizzazione dei pesci che popolano il mare locale. Abbiamo a disposizione dati che fanno ipotizzare che, in alcune regioni dell’Artico, il riscaldamento climatico possa favorire la diffusione di caratteristiche tipiche delle specie boreali, quali una taglia maggiore del corpo e la capacità di sfruttare un’ampia gamma di risorse alimentari e un’attività predatoria in zona semipelagica” aggiunge la ricercatrice. “La predominanza di tali tratti è particolarmente pronunciata intorno alle Svalbard, la parte più settentrionale della Norvegia, a discapito delle specie che popolano le comunità dell’Artico. Un effetto indiretto è quello derivato dall’alterazione dei livelli trofici: pesci che si nutrono di organismi bentonici si adattano di più alle prede disponibili rispetto alle specie che si nutrono prevalentemente di plankton. L’ingresso nelle regioni dell’Artide di specie onnivore di taglia maggiore comporta la riduzione della biomassa costituita dalle specie artiche più piccole, che di solito sono meno feconde e che difficilmente sono in grado di allontanarsi molto, alla ricerca di habitat più favorevoli”.

La comparsa di una nuova fioritura algale in primavera è un ulteriore fattore che limita le capacità adattative di varie specie del Polo Nord, mentre risulta essere più adatta a quelle boreali. “C’è il rischio che le specie artiche possano estinguersi nel mare di Barents se la temperatura delle acque continua ad aumentare e i ghiacci a ridursi. È’ difficile prevedere quali siano gli effetti sugli spostamenti in profondità e sulla numerosità delle specie coinvolte, che dipendono soprattutto dalla loro differente sensibilità ai cambiamenti ambientali”, specifica Coscia. “Si è già osservato un chiaro spostamento di quarantuno specie verso nord e nord-ovest: sono specie che abitano acque poco profonde o di media profondità e stenoterme, capaci cioè di tollerare piccole variazioni di temperatura. Nel caso delle specie di profondità, gli spostamenti sono invece stati osservati in qualsiasi direzione. Il principale effetto dell’aumento della temperatura si sta traducendo in uno spostamento delle specie di circa 0,2° di latitudine per ogni grado di innalzamento della temperatura. Si prevede che la variazione media della distribuzione delle specie, in seguito allo spostamento verso acque più fredde, possa avvenire nell’ambito di circa 40 km, con un 7% delle specie che potrebbe spostare la propria biomassa anche oltre 100 km”.

Un simile scenario si intravede anche in altre regioni. “Dati raccolti sulle variazioni nella distribuzione dei pesci nelle acque sub-artiche circostanti l’Islanda fanno prevedere che il progressivo riscaldamento porterà a un netto spostamento di circa il 70% delle specie ittiche verso le regioni più a nord, per evitare le acque più calde”, spiega la ricercatrice. “Diverso è il caso degli organismi che popolano l’Antartide. Quando si parla dell’Antartide si pensa subito a un ambiente estremo, totalmente isolato da altre terre, apparentemente ostile a qualsiasi forma di vita. Il biota terrestre, grazie a una pronunciata flessibilità della fisiologia, ha maggiori possibilità di tollerare, incrementando le capacità riproduttive, quindi la dimensione della popolazione e la diversità delle specie”.

Qui l’equilibrio dell’ecosistema marino, a causa di una flessibilità molto più limitata nel rispondere anche a minimi innalzamenti della temperatura, è più complesso rispetto alle specie temperate e tropicali. “L’ittiofauna che popola le acque antartiche è dominata da un gruppo di pesci noti come Nototenioidei, accomunati da una caratteristica specifica, l’endemismo: sono cioè presenti solo a queste latitudini”, prosegue Coscia. “Le specie qui esistenti sono riuscite ad adattarsi nel corso di milioni di anni grazie all’acquisizione di caratteristiche fondamentali che permettono la vita a una temperatura di -1,9°, costante tutto l’anno. Tra queste, la proteina anticongelante, che impedisce il congelamento dei fluidi biologici, e funzioni fisiologiche estremamente lente per ridurre al minimo il dispendio di energia”. L’Oceano meridionale costituisce uno degli ambienti più costanti al mondo, in termini di temperature e di salinità delle acque. La presenza del Fronte polare antartico, vera e propria barriera termica che isola le specie al suo interno impedendone la fuoriuscita e l’ingresso di specie da altre latitudini, ha fatto sì che nuovi generi si siano evoluti in assenza di concorrenti, aumentando di fatto la biodiversità. “Alla luce dei cambiamenti climatici è anche vero che tale isolamento impedisce oggi alla maggior parte delle specie marine antartiche di migrare in altre zone più fredde. Un aumento di soli 2°C dell’acqua può essere fatale per queste specie”, precisa l’esperta.

Il riscaldamento del Polo Sud e delle acque dell’Oceano meridionale che lo circondano non sta avvenendo in maniera uniforme: in alcune zone della Penisola antartica, la temperatura media dell’aria è salita di circa 3°C tra il 1950 e il 2000 e quella del mare, nello stesso periodo, è aumentata di circa 1°C, comportando la riduzione delle piattaforme di ghiaccio”, conclude la ricercatrice del Cnr-Ibbc. “La parte orientale dell’Antartide sembra essere quella meno soggetta a cambiamenti ambientali. Nel caso dei pesci euribatici, in grado di spostarsi a profondità diverse, c’è una minore necessità di migrare. Questa caratteristica ha permesso di sfuggire alla glaciazione milioni di anni fa e ora offre la possibilità di sottrarsi agli effetti dei cambiamenti climatici di cui risentono prevalentemente le acque più superficiali. Nel complesso, possiamo dire che le stesse caratteristiche così esclusive che hanno reso possibile l’adattamento a condizioni ambientali estreme, rendono ora tali pesci molto vulnerabili e particolarmente suscettibili al riscaldamento”.

Marina Landolfi [Almanacco della Scienza N. 10, 19 maggio 2021]

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