Il reportage di Agence France Presse, che mostra un’immensa discarica di abiti nel deserto cileno di Atacama, ha attivato un dibattito sull’impatto ambientale della moda “usa e getta”, la “fast fashion” più che raddoppiata negli ultimi venti anni. Ne parliamo con l’economista Giampaolo Vitali. In Italia, la raccolta differenziata dei rifiuti tessili è già obbligatoria, anticipando la data stabilita dall’Ue: il nostro paese e l’Unione si pongono all’avanguardia, visto che nel mondo appena l’1% dei tessuti è riciclato correttamente
Una parte dell’abbigliamento prodotto nel mondo viene bruciato e sotterrato, perché riciclarla o smaltirla costa troppo. Una parte viene portata nel deserto di Atacama, in Cile. Qui sono ammassati circa 40mila tonnellate tra magliette e pantaloni sintetici, trattati con vernici o agenti chimici. Prodotti per lo più in Asia, provengono soprattutto da Stati Uniti ed Europa, sono stati indossati per poco tempo e poi gettati via. Un recente reportage di Agence France Presse ha mostrato questa discarica, attivando un intenso dibattito sull’impatto ambientale di questo settore. “La moda nella sua filiera consuma molta acqua, produce microplastiche, rilascia agenti chimici, impatta sull’ambiente”, afferma Giampaolo Vitali dell’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres) del Cnr. “Il problema è noto da tempo a operatori, policy maker ed economisti ambientali, tant’è che si sono già attivate numerose misure di intervento per favorire il riciclo dei tessuti e una produzione più sostenibile”.
In Italia, il decreto legislativo 116/2020 stabilisce da quest’anno l’obbligatorietà della raccolta differenziata dei rifiuti tessili, anticipando la data del 2025 stabilita dalla direttiva europea 2018/851. “Le stime dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) affermano che i rifiuti tessili potrebbero rappresentare il 6% di quelli urbani indifferenziati e che, se fossero riciclati, si ridurrebbe di 600mila tonnellate lo smaltimento in discarica”, precisa il ricercatore. “Anche la Commissione Ue ha iniziato il percorso istituzionale per definire una strategia comune sul tema della moda sostenibile, che rientra nel grande progetto del Green New Deal, con la spinta verso la doppia transizione ambientale e digitale. È probabile che l’Italia e l’Europa diventino presto il miglior esempio di economia circolare nel settore tessile, visto che secondo la Ellen MacArthur Foundation nel 2017 solo l’1% dei tessuti prodotti viene riciclato nel mondo”.
La catena di produzione e consumo chiamata “fast fashion” è più che raddoppiata negli ultimi venti anni e gli abiti sono troppo a buon mercato per incentivarne il recupero. “Nei segmenti più bassi del mercato dell’abbigliamento prevalgono produzioni economiche, con un ridotto ‘time-to-market’, una rapida obsolescenza del gusto dei consumatori: l’impegno verso l’ambiente comporta maggiori costi produttivi e perciò non viene perseguito spontaneamente da tutti gli operatori”, prosegue Vitali. “Per questo la politica ambientale utilizza divieti, standard produttivi e altri strumenti per incentivare gli operatori a migliorare la sostenibilità del ciclo produttivo e dei prodotti finali”.
Le imprese più lungimiranti hanno già iniziato a investire nell’economia circolare del tessile. “L’impresa che utilizza componenti riciclate riduce i costi di acquisto della materia prima, di produzione e nel contempo avvantaggia l’ambiente, con una strategia ‘win-win’” conclude l’esperto. “In questo l’Italia ha una lunga tradizione. Nel distretto tessile di Prato, molte imprese tessili nacquero negli anni ’50 proprio dalle attività dei ‘cenciaioli’, con la tradizionale raccolta porta a porta di stracci e abiti dismessi, che venivano poi trasformati. Un secondo approccio riguarda il prodotto finito con un alto contenuto ‘green’. Le nuove politiche di marketing aziendale si indirizzano alla sostenibilità, verso un segmento di consumatori più attento, che di solito ha anche maggiori capacità di spesa. La Elen MacArthur Foundation indica numerose imprese internazionali attive in tal senso, a cui potremmo aggiungere anche numerosi produttori sostenibili in Italia, presenti nella fiera di settore Filo, il salone internazionale di fibre e filati per la tessitura circolare”.
[Almanacco della Scienza N.10, 2022]