Intervista di Tiziano Thomas Dossena
Nell’occasione della pubblicazione del libro “Trittico Berlinese”, la scrittrice Marina Agostinacchio ci ha gentilmente concesso un’intervista…
L’Idea Magazine: Marina, hai iniziato a scrivere poesie molti anni fa. Come e quando è nata la tua passione per la poesia?
Marina Agostinacchio: Credo piccolissima. Mi isolavo in un piccolo angolo della cucina, vicino al camino. Recitavo in modo cadenzato, come seguendo un ritmo discorsivo interno, spesso eleggendo a mia interlocutrice la parola, declinata, come un gioco, in forme ritmiche, prima foniche poi grafiche, sempre diverse.
Questa mia propensione al dire divertendomi mi dava l’immagine di una corsa per una ripida discesa di montagna. Mio padre, medico, guardava un po’ allarmato il mio appartarmi in quei lunghi monologhi quasi cantilenati.
Poi alla scuola dell’infanzia, il mio primo contatto con la parola “vista” avvenne all’Istituto Moschini di Padova. Lì la didattica era improntata al metodo di Maria Montessori. Ricordo che mi fu presentata la lettera M al tatto ruvida e costruita su un quadrato dallo sfondo liscio. Ricordo ancora la sensazione di felicità nello scoprire in un segno muto la percezione di uno stimolo vitale attraverso la piccola mano. Infine, penso debba molto a mio padre. Quando poteva, parzialmente libero da impegni di lavoro, (era chirurgo), raccontava a mia sorella e a me storie sul mito o fiabe. Ma accadeva che, avendo egli un gusto particolare per la narrazione, trasformasse le parole. Intendo dire che al mio udito le parole, quasi per un atto magico, divenissero altro dal loro significato originario. Il referente non corrispondeva più a quello che ci si sarebbe aspettati.
L’Idea Magazine: Tu hai insegnato per molti anni. Secondo te, la poesia è ancora viva in seno alla gioventù di oggi?
Marina Agostinacchio: Purtroppo ciò dipende dal contesto famigliare e poi soprattutto dalle scelte didattiche degli insegnanti, dalla loro volontà di attribuire alla poesia un posto e una cifra valoriale specifica.
Girando per le scuole dove ho proposto laboratori di poesia, ho trovato giovani già attrezzati, o perlomeno pronti a recepire questa particolare forma di comunicazione.
L’Idea Magazine: Le tue raccolte sono molte e vorrei parlarne in maniera cronologica, al fine di farne una specie di percorso della tua vita poetica. “Porticati” (2006) è il tuo debutto editoriale. Che tipo di raccolta è questa? Come definiresti queste poesie?
Marina Agostinacchio: Circa “Porticati”, si tratta di una raccolta di testi poetici che vanno dal 1999 al 2005. La silloge è varia; sono presenti poesie sulla natura, sui viaggi, di riflessione sulla parola, sul ricordo; poesie che riflettono un inizio di consapevolezza di un io poetico e poesie aventi per tema la famiglia.
Comunque, circa il fare poesia, (diceva il mio maestro, poeta e critico letterario degli anni universitari, rincontrato nei miei quarant’anni) tutti diciamo le stesse cose, riveliamo gli stessi sentimenti, le stesse emozioni. Il poeta sa però che c’è un come. Quello fa la differenza.
L’Idea Magazine: Tre anni dopo hai pubblicato “Azzurro, il melograno”. Che evoluzione c’è stata da “Porticati” a questa raccolta? C’è una tematica oppure è una raccolta di poesie dell’epoca?
Marina Agostinacchio: Senz’altro questa seconda, nutrita raccolta, suddivisa in sezioni, come del resto Porticati, rivela maggiore consapevolezza artistica e ricerca di una cifra identificativa personale. “Azzurro, il melograno” ha come punto focale il tema del viaggio, inteso come spostamento tra spazi e luoghi ma anche come ricerca di sé. Praga, Budapest sono l’incipit per un discorso più ampio che abbraccia l’avvicinamento a una pienezza degli anni artistici dove la malattia e l’amore sono la spinta alla progettualità.
L’Idea Magazine: Altri tre anni e ritroviamo “Lo sguardo, la gioia”. Anche qui devo chiederti quali sono stati i cambiamenti e le evoluzioni, sia di contenuto sia letterarie?
Marina Agostinacchio: Questa esperienza di ebook dell’anno 2012 è diviso in due parti: “La resa dei conti” che si rifà alla ripresa di un poemetto scritto nel 2007, a seguito di una malattia, e poesie sciolte dello stesso 2012, nate in seguito a un’ernia del disco che mi costrinse a letto più di un mese. Composi allora testi su quanto vedevo accadere fuori dalla finestra della mia stanza. Ispiratrice di questa seconda parte è stata Wislawa Szymborska; leggendo infatti la raccolta “La gioia di vivere” della poetessa polacca rimasi rapita dalla leggerezza con cui Wislawa guardava la vita.
L’Idea Magazine: Dopo le prime tre raccolte c’è una chiara svolta nella presentazione delle tue opere, che sono da questo momento in poi illustrate. Perché questa scelta?
Marina Agostinacchio: Penso che l’arte in genere riveli qualcosa della natura, apra a una pienezza in fieri, dica qualcosa della realtà nella sua totalità. Essa presenta barlumi di una zona non subito visibile, né percepibile. Attraverso la sua prospettiva utopica, l’arte apre al possibile, alla immagine di un progressivo divenire. Pertanto collaborare con artiste arricchisce la parola, l’avvicina per difetto al mistero della perfezione, proprio nel suo fare accennando.
L’Idea Magazine: “Tra ponte e selciato, Ventisei temi per mia madre” (2014), con illustrazioni di Paola Munari, è la prima di queste nuove raccolte, Parlacene un poco…
Marina Agostinacchio: Dopo molti anni dalla morte di mia madre (avevo 14 anni quando scivolò dalla mia vita. Lei ne aveva 42), decisi di “parlarle”, riannodando il tempo in un presente ricostruito attraverso la memoria. Scrissi 22 stanze poetiche e, dopo avere visitato la mostra di acquerelli della pittrice e amica Paola Munari, dedicata alla madre, (titolo della mostra: “Era. Sfumature di un tempo ritrovato”, Este, Circolo culturale La Medusa, 2012), decisi di fargliene omaggio.
Nel dicembre 2013, Paola mi portò un pacchetto. Lo aprii e vidi degli acquerelli corrispondenti alle sezioni poetiche del libro. Con Paola iniziò una collaborazione simbiotica: lei dipinge, io scrivo ispirata dalle sue scelte tecniche e cromatiche; io scrivo e lei dipinge, trasformando le parole dei miei testi in visioni. Insomma, una vera e propria folgorazione reciproca.
L’Idea Magazine: “Statue d’acqua”, dell’anno seguente, è pubblicato anch’esso come il precedente libro dal prestigioso Centro Internazionale della Grafica di Venezia. È una raccolta illustrata dall’artista Elena Candeo. Qual è la tematica di questa raccolta?
Marina Agostinacchio: Ero in una piscina dell’Hotel Plaza di Abano Terme a fare esercizi di acquagim. Improvvisamente alzo la testa e vedo in una vasca sovrastante dell’albergo dei corpi che si muovevano, fluttuavano chiamandomi a pormi degli interrogativi. Tra le plurime domande, scelsi di oscillare tra due: angeli o umani? Esseri viventi loro e morti noi? Nel poemetto lascio al lettore la risposta, tenendo per me il quesito non risolto.
Questa volta l’artista era Elena Candeo a collaborare per la realizzazione del libro. Anche lei, come nel caso di Paola Munari, disegnò ispirata dal testo e mi fece vedere alcune delle illustrazioni con tecnica di incisione nate dalle sollecitazioni dei versi letti. In seguito Elena proseguì il lavoro nel laboratorio di incisione del Centro internazionale della grafica di Venezia di Lilli Olbi e Silvano Gosparini.
L’Idea Magazine: Siamo arrivati quindi al noto “Bab El Gehrib” (La porta del vento), del 2018, illustrato dall’artista Graziella Giacobbe. Questo libro riflette un’altro tipo di impegno… Puoi spiegare ai nostri lettori che cosa ha implicato questo progetto in senoi alle carceri che ha dato vita a questa raccolta?
Marina Agostinacchio: Inizio da una breve parte estrapolato dalla presentazione del libro.
“«E quindi uscimmo a riveder le stelle». Era quanto mi dicevo ogni volta che uscivo dal carcere penale di Padova Due Palazzi. «E quindi uscimmo a riveder le stelle» voce reiterata in ogni mia uscita dalle lezioni nel carcere, conteneva interrogativi ed inquietudini accompagnati da un sentimento di provvisorietà, ma nel contempo segnava anche una sorta di iniziazione verso la mia rinascita.
Da anni desideravo fare l’esperienza di un percorso di scrittura tra i carcerati. Ebbi l’occasione grazie all’allora CTP (Centro territoriale permanente, dal 2015 convertito in CPIA- Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti), in particolare grazie all’insegnante di Lettere Daniela Lucchesi con cui collaborai per tre primavere- 2014-2015,2017- a un progetto di scrittura. Il libro Bab el gherib prende avvio dalle parole dei detenuti che come in un gioco di rimandi di specchi aprivano un varco di scrittura in me. L’asse della scrittura si muoveva dagli allievi a me, da me agli allievi, seguendo le loro domande, le loro istanze fatte mie e rivisitate in una cornice di ricerca personale, infine offerte come tentativo di risposta ai quesiti iniziali che mi avevano posto in modo diretto e indiretto nei loro testi.
Il libro è corredato nelle tre sezioni da una macchia di colore dell’artista Graziella Giacobbe, ispirata ai versi. Anche lei si è sentita coinvolta in questo viaggio dal ritmo arcano di parole che, prima scavate nella propria essenza, si aprivano poi a visioni stellate tradotte in cromatismo, in una metamorfosi di affinità. Ed ecco nel libro forme visive e visionarie di colori addensarsi, per una sottile convergenza tematica, intorno ai versi: «Mi sciolgo tra i vapori della terra» da Se solo avessi ciò che non è mio; «sasso nel fiore di sorgente antica» da Per le donne l’afrodisiaco; «cuore di fiore odoroso» da Nella corrente.
L’Idea Magazine: Alfine siamo giunti alla tua ultima opera, “Trittico berlinese”, illustrato da Elena Candeo e Paola Munari, e recentemente pubblicato a New York dalla casa editrice Idea Press. Qual è stata l’ispirazione a comporre questi versi?
Marina Agostinacchio: Anni fa, era il 2010, feci un viaggio a Berlino con la mia famiglia. Una delle visite alla scoperta della città fu lo Jüdisches Museum.
L’asse dell’Olocausto con la torre dell’Olocausto; l’asse dell’Esilio, con il giardino dell’Esilio; lo «spazio vuoto» della Memoria, con Shalechet (Foglie cadute) furono i tre luoghi che ispirarono le parole del Trittico”, scritto nei giorni tra il 28 luglio e il
1° agosto del 2010, durante il viaggio Berlino Dresda e Dresda Padova. Nonostante gli anni trascorsi, rileggere i testi mi ha fatta sentire presenti le sensazioni, le forti emozioni provate nel percorrere quelli spazi in cui mi trovavo inerte, svuotata di ogni possibile interrogativo, rabbia. Solo smarrimento, solitudine, sprofondamento. Ecco il mio essere tra quelle stanze e nelle parole, tentativo di dire l’indicibile. Allora, vedi, senti versi spezzati, distribuzione degli stessi versi nella pagina secondo un andamento che slitta da destra a sinistra, dal centro a vuoti dove depositare silenzi pieni.
Circa le illustrazioni che arricchiscono e “dicono”, le due artiste, Elena e Paola sono riuscite a comunicare con discrezione e forza il viaggio fatto. Ogni segno, ogni pennellata raccontano la loro messa a nudo del mondo che si lascia svelare per un’illuminazione improvvisa. Infine vorrei dire di Anna Rossi, l’amica che mi spinse a pubblicare, riprendendo in mano uno scritto lasciato in una cartella virtuale. Con Anna mi sono vista più di una volta. Per tradurre nel modo più fedele possibile in inglese le tre stanze poetiche e la premessa, senza tradire il ritmo dei versi, Anna sentiva, quasi spinta da un imperativo categorico, l’esigenza di chiedermi la possibilità di approssimarsi alla parola poetica, al suo nucleo simbolico, al mistero percepibile che di sé fa nella sua veste contratta.
Dalla questa particolare convergenza di un lavoro a otto mani nasce Trittico berlinese.
L’Idea Magazine: Da quello che mi dici a proposito di “Trittico berlinese”, tu i tuoi versi li vivi nel più profondo della tua anima. Pensi che sia così per tutti i poeti?
Marina Agostinacchio: Penso che ogni persona che elegga la scrittura a forma di espressione di sé riveli la propria anima, la propria visione del mondo e dell’esserci.
L’Idea Magazine: So che stai preparando una serie di presentazioni ‘live’ online legata al 700 anniversario della morte di Dante. Di che cosa tratteranno?
Marina Agostinacchio: Si tratta di una proposta, indirizzata alle classi seconde delle scuole secondarie di primo grado, di un’attività da remoto, e gratuita, della durata di due ore circa per classe, che prendendo avvio dai canti XIII e XXVI dell’Inferno, dà la possibilità ai ragazzi di esprimersi sul tema della metamorfosi e del viaggio. Pier delle vigne e Ulisse sono quindi il punto di avvio per la scrittura dei ragazzi.
Il laboratorio si avvale di un’interazione tra più canali comunicativi; esso, infatti, è articolato in parole – e di associazioni ad esse – tratte dal testo dantesco di riferimento, sincronizzate con immagini e musica.
L’Idea Magazine: Hai altri progetti in lavorazione?
Marina Agostinacchio: Laboratori di scrittura nelle scuole delle diverse regioni di Italia.
L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Marina Agostinacchio: Se rispondessi ora, prenderesti la risposta come definitiva. Conoscendomi in divenire, potrei dire il prossimo in cui mi imbatterò tra un attimo.
L’Idea Magazine: Se tu potessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Marina Agostinacchio: Curiosa, visiva-visionaria, progressiva.
L’Idea Magazine: Se tu avessi l’opportunità di incontrare un personaggio del passato o del presente, qualsiasi personaggio che tu desideri, chi sarebbe e di che cosa parleresti con lui, o lei?
Marina Agostinacchio: Credo proprio Diego Valeri, il poeta conosciuto quando avevo nove anni, in visita nella mia scuola. Lui, al dire della maestra che ero una bambina un po’ strana che parlava secondo rime e cadenze, mi pose una mano sulla fronte a mo’ di battesimo. Ecco, se lo potessi rivedere, gli direi Grazie per avere visto in me la donna che ora sono.
L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Marina Agostinacchio: Riuscire a guardare e sapere ascoltare il mondo attorno a sé.