Nel mondo dell’informazione, quando si parla di emigrazione, sorgono tanti tipi di problemi, variegati. Il rapporto tra immigrazione ed emigrazione, per esempio, o la difficoltà di creare un network che possa unire grazie all’informazione tanti italiani nel mondo, così come la difficoltà dei giornalisti di narrare storie tendenti alla normalità invece che alla spettacolarizzazione e alla ricerca di storie straordinarie, in positivo o in negativo. Ma anche problemi più concreti, come le difficoltà economiche, amministrative e burocratiche. Questi sono alcuni degli argomenti trattati poco fa durante “I media e il rapporto con gli italiani all’estero” e “Legge sull’editoria: criticità e prospettive – casi concreti”, le due sessioni pomeridiane dell’incontro promosso dalla Filef e ospitata da Fabio Porta, deputato del Pd, nella Sala del Refettorio della Camera “Raccontare l’Italia oltrefrontiera”.
“I media e il rapporto con gli italiani all’estero”
La prima sessione è stata moderata da Luca Maria Esposito, giornalista e coordinatore della FILEF Australia, che per aprire il dibattito ha spiegato come sulla nuova migrazione ci siano “analisi scarse”. E questo rappresenta un vulnus, secondo lui, “che porta a una comprensione difficile di questo fenomeno per la società italiana”. Anche per questo “non esiste un reale dibattito” in Italia sull’argomento.
Primo a intervenire è stato Raffaele Nappi del Fatto.it, che ha voluto sottolineare anche lui la gravità dell’assenza di “un dibattito vero in Italia sull’impatto sociale dell’emigrazione”. A suo parere è difficile “riuscire a rendere straordinarie delle storie di normalità”. In seguito, anche Claudio Rocco di Radio Fuori Campo, ha preso parola presentando la sua realtà, attiva a Lione, e spiegando i problemi del far conoscere in Italia quello che gli italiani all’estero fanno. Per aumentare l’audience è fondamentale, a suo parere, “fare la cronaca delle attività” ma anche “fare un’elaborazione teorica”. E per fare tutto ciò è essenziale la “sinergia” tra diverse realtà: “abbiamo bisogno di network, di collegarci fra di noi, di far sentire di più le nostre voci senza rimanere chiusi in una narrazione piccola”. E per non rimanere chiusi in se stessi con queste storie, è necessario avvalersi “di professionalità e dialogo in modo da valorizzare e cambiare la narrazione dell’emigrazione”. “Spesso ci sentiamo isolati – ha concluso -. Sentiamo che non possiamo godere dell’appoggio delle istituzioni”.
A seguire è intervenuta Sara Sanzi, di Expat, trasmissione di RadioRai3, che ha prima spiegato la storia della trasmissione nata poco prima della Pandemia e per il quale è stato scelto il nome “in modo istintivo”, “un termine neutro dal sapore internazionale che parlasse di emigrazione contemporanea e giovane, senza esclusione di genere”. Un termine che rifletta di più sulla circolazione delle persone. È infatti rivolta a un altro tipo di emigrazione, che è diversa oggi rispetto a ieri. “Non sempre si parte per necessità, oggi, si parte anche per volontà. Oggi siamo in grado di parlare di mobilità. E a differenza del passato, oggi il rapporto con l’Italia non è completamente reciso, grazie ai servizi offerti da internet”. Ma il termine Expat è stato scelto anche per differenziala da quello di “migrante”, che in Italia è pensato in modo molto diverso a causa delle tragedie nel Mediterraneo e dall’uso che ne fa la politica. “Sono due termini diversi, per separare e rispettare la tragicità dei migranti abbiamo scelto un termine più attinente al tipo di narrazione che volevamo fare”.
Parlando del tema del “ritorno”, a parere di Sanzi bisogna uscire dalla “dicotomia del successo o non successo”, del “positivo o negativo”. “Le storie sono tante, diverse e sfumate. Abbiamo raccontato un migliaio di persone e quando si parla di ritorno è spesso una questione emotiva”. In conclusione, secondo lei è “importante raccontare gli italiani all’estero purché si vada di pari passo con un’indagine e con l’idea della “circolazione di talenti” più che di “cervelli in fuga””.
In collegamento è intervenuto anche Stefano Milani, di collettiva.it, piccola testata il cui editore è la CGIL, con il quale si è discusso proprio riguardo i “ritorni”, cioè di chi ha avuto esperienze migratorie difficili e ha deciso di rientrare. Altro argomento del quale si racconta pochissimo. “Ci imbattiamo spesso nelle storie del migrante che non ce l’ha fatta, costretto suo malgrado a tornare a casa”. “Con collettiva cerchiamo di sfatare il falso mito dell’emigrazione” spesso raccontata in modo poco veritiero. “Spesso abbiamo incontrato e raccontato le storie di giovani che viaggiano ma che non riescono a realizzarsi e quindi sono costretti a tornare. I giornali italiani tendono a raccontare di persone che fuggono e non ritornano. Invece c’è un neorealismo che va raccontato. Così come il movimento, la volontà di stare solo qualche anno fuori dall’Italia. E di certo non sono solo “cervelli in fuga”, ma anche storie di lavoratori, di manodopera. Il giornalismo non deve andare solo nel discorso dove vanno tutti, ma immergersi in territori inesplorati”.
Ha poi preso parola l’On. Elisabetta Piccolotti (Alleanza Verdi-Sinistra), secondo la quale le “storie di emigrazioni aiutano a capire in modo più completo il Paese”. “La dialettica sull’emigrazione è diametralmente opposta alla questione sull’immigrazione”, ha detto Piccolotti. “Non parlare di chi lascia il paese protegge un certo provincialismo dell’Italia. Consente di non fare discussioni serie su emigrazione, lavoro, salari, welfare, sistema d’istruzione, ricerca e sviluppo, che spesso sono classifiche che ci fanno male. Non parlare di chi se ne è andato consente di non prendere atto dei passi in avanti che l’Italia poteva fare e non ha fatto. E serve un confronto continuo tra chi è qui e chi ha deciso di andare”.
Infine ha assicurato: “se il parlamento può fare qualcosa sulla legge sulla stampa, o altre iniziative di natura formativa e culturale, noi siamo a disposizione delle vostre idee”.
A seguire sono intervenuti anche Stefano Morselli, giornalista-Filef Reggio Emilia, e Fabio Sebastiani di Radio Mir. Il primo, nel suo intervento, si è concentrato sulla realtà della sua città e sul problema formativo dei giornalisti riguardo l’emigrazione: “bisogna studiare il fenomeno, non esiste corso dell’Odg sull’argomento, c’è scarso interesse. Serve più formazione per i giornalisti. Se non se ne parla, si rischia di lasciare la narrazione solo all’estremo, senza alcuna narrazione della normalità”.
Il secondo, Fabio Sebastiani, ha esordito nel suo intervento così: “i giornalisti non possono girare la testa dall’altra parte”, per poi proseguire: “gli italiani all’estero sono una realtà con cui fatichiamo a fare i conti. Forse non abbiamo capito che siamo stati noi i migranti nel mondo. Mondializzazione e globalizzazione sono cose distinte e gli italiani sono importati perché hanno sperimentato entrambe e hanno empatia nelle proprie comunità. È vero che questo legame non si rescinde mai, perché il patrimonio è troppo importante”. Infine, ha voluto chiedere direttamente agli italiani all’estero: aiutate noi italiani in Italia a superare l’idea di provincia. Serve una visione larga, che coinvolga tutti. E per questo forse serve che la Rai o chi per lei si faccia promotrice di una rete”.
Infine, sono intervenuti in collegamento Francesco Siddi, presidente Confindustria RadioTv, che ha spiegato come “in Italia l’informazione sia povera su tutta la materia esteri. Quello della Rai è il punto dolente. C’è un meccanismo di nuova burocratizzazione. Non può un Console giudicare negativamente un giornale perché non d’accordo con le scelte politico-sociali”; e poi Simone Sperduto, che ha spiegato: “se è vero che siamo la 21esima regione italiana è ora che sia la politica, nell’intero arco parlamentare e non solo con gli eletti all’estero, sia l’informazione, si occupino realmente di noi”.
“Legge sull’editoria: criticità e prospettive – casi concreti”
Il secondo focus group di giornata, dedicato al quadro legislativo del mondo dell’editoria e alle sue criticità, è stato moderato da Pietro Lunetto, coordinatore nazionale di FILEF ETS.
Primo a parlare Mimmo Porpiglia di Gente d’Italia, che ha fatto un intervento molto duro riguardo la chiusura del suo giornale: “è una storia incredibile. Le vendite dei giornali in Italia e non solo sono al lumicino. Noi lavoriamo a Montevideo da 18 anni, poi è successo che è stata creata una nuova cancelleria consolare nella capitale uruguayana da 2 milioni di euro e da quel momento è successa una sorta di diaspora con l’Ambasciatore. Noi siamo sempre stati lontani dal potere, per non essere condizionati da questo. Siamo andati avanti per tanti anni con la distribuzione assieme a “El Pais”, uno dei giornali più venduti in Uruguay. Questa scelta ha raggiunto una diffusione enorme del nostro giornale, vendiamo 16, 17 mila copie al giorno”. E proprio ora che “le collettività italiane stanno morendo, non c’è più nessuno, non vanno a votare”, “dopo le problematiche con l’Ambasciatore il giornale ha chiuso”. “Com’è possibile che l’Ambasciatore attuale abbia avuto questa idea dopo che per 18 anni gli ambasciatori che lo avevano preceduto non avevano avuto nessun problema?”, si è chiesto Porpiglia. “Com’è possibile che l’Ambasciatore debba vedere se il giornale è buono o no?”, ha aggiunto ancora spiegando come senza i fondi sia impossibile per loro andare avanti a distribuire il giornale dove lavorano 12 giornalisti di cui 6 professionisti. “Stiamo portando avanti questa denuncia, vedremo come andrà a finire”.
Con lui, al tavolo dei relatori, Luciano Ghelfi dei Mantovani nel Mondo nonché quirinalista del Tg2: “abbiamo un portale d’informazione del tutto volontario che sta su con un minuscolo contributo del consiglio regionale”. Ma il ruolo dell’informazione è esattamente quello di ricordare a una piccola provincia quanto questa sia stata “una provincia di spaventosa emigrazione” così come la Lombardia nel suo complesso. “Il fattore territoriale – ha spiegato infatti – è molto spesso un fattore identitario. Di un’identità che cambia. Sono tornato di recente dal Paraguay seguendo Mattarella. Un Paese con moltissima emigrazione italiana, ma Mattarella è stato solo il primo Presidente della Repubblica ad andarci e ha detto “è inammissibile”. Tenere unite le due anime dell’emigrazione è importantissimo. Servono le regioni, così come il livello nazionale. Sembra che alcune leggi funzionino solo per noi”.
È poi intervenuto Giuseppe Della Noce, direttore dell’Agenzia di stampa AISE: “è emerso un dato di fatto oggi da questo seminario – ha spiegato -: qualcosa deve cambiare. Per quanto riguarda le agenzie: la legge alla quale ci rifacciamo è del 2018, quindi non vecchia, ma è nei decreti attuativi che ci sorgono problemi”.
“Avere giornalisti professionisti o pubblicisti nella stampa italiana all’estero andrebbe premiato – ha aggiunto ancora il direttore Della Noce -, ma questo non avviene. I rimborsi non esistono. Esistono dei tetti che limitano i costi ammissibili per la produzione della Testata (tutti i costi: giornalisti, dipendenti, poligrafici e altri ancora) a 50 mila euro che, però, saranno rimborsati al 50%. Di fatto l’Agenzia deve fare il suo lavoro con 25 mila euro per stipendi e collaborazioni”.
Come per Giangi Cretti (intervenuto questa mattina), più che cambiare questa legge, “che è una cosa complessa”, secondo il direttore Della Noce, bisognerebbe ricorrere a “interventi non legislativi, ma amministrativi che sono possibili e richiedono procedure molto più brevi”.
È intervenuto poi anche Luciano Vecchi del Cgie, che ha spiegato: “non stiamo parlando di specificità, ma stiamo parlando di un pezzo fondamentale della dimensione politica delle nostre comunità nel mondo. L’informazione serve a sentirsi comunità assieme alla lingua e alla cultura. Se ragioniamo sul futuro, la carta del giornalismo è insostituibile. Con due anni di ritardo, abbiamo costituito il CGIE che per sua natura rappresenta tanti interlocutori, quindi spero di poter fare un ragionamento legislativo. Abbiamo almeno un paio alleati e quindi possiamo puntare in alto restando realistici, perché stiamo parlando di cittadinanza, non è un favore che stiamo facendo ai 6 milioni di cittadini AIRE, ma a l’Italia tutta. C’è bisogna di una politica che investa sul futuro”.
Ultimo intervento prima della conclusione affidata all’On. Porta, è stato quello di Paola Cairo, di Passparola Magazine, realtà attiva in Lussemburgo. Un’esperienza, quella della rivista, chiusa a gennaio per quanto riguarda la carta stampata (dopo 19 anni di pubblicazioni) ma che continua online. Una “chiusura dovuta a vari problemi: ci hanno rifiutato la carta di giornaliste perché eravamo volontarie. La nostra è stata una bellissima avventura, fatta di perseveranza e abnegazione. Avremmo voluto più aiuto dal governo, un po’ più di pubblicità istituzionale, un po’ più di tutele dall’ODG e tutele previdenziali. Ora siamo passate all’online e abbiamo diversificato le attività. Non è la stessa cosa ma continuiamo a fare il nostro lavoro con la stessa passione anche se con altri ruoli. Siamo pronte a lavorare su iniziative comuni – ha assicurato in conclusione -, ricordando l’importanza dell’informazione nuova”.
Per chiudere, Fabio Porta, secondo il quale, quello di oggi è l’inizio di “un percorso che unisce e che ci porterà a mantenere alta l’attenzione su questo tema. Qui parliamo di informazione perché abbiamo a cuore la democrazia. Questa democrazia per italiani all’estero non può essere tale in assenza di un sistema capillare di informazione. Non possiamo pensare di risolvere i tanti problemi che ci sono, compresa una certa illegalità sul voto all’estero, se non mettiamo tutti gli elettori, quelli che votano e soprattutto quelli che non votano, in condizione di informarsi. Dobbiamo prenderci degli impegni, sia a lungo termine che immediati”. (l.m.\aise)