“L’assunzione di comportamenti corretti e semplici è una garanzia rispetto all’insorgenza di moltissime patologie” ribadisce il noto farmacologo Silvio Garattini nel “Faccia a faccia” dell’Almanacco della Scienza. Secondo la sua visione, la prevenzione dovrebbe essere alla base di un sistema sanitario evoluto, che mira alla salute e al benessere sul lungo termine delle persone, e in cui la funzione del medico, supportato da adeguate azioni politiche di formazione, non sia solo curare, ma anche orientare le persone verso scelte alimentari e stili di vita equilibrati, rendendole consapevoli del loro ruolo attivo nella prevenzione di malattie cardiovascolari e metaboliche. Sappiamo tutti che l’assunzione di sostanze e alcol in quantità eccessiva è dannosa per la nostra salute. Negli ultimi trent’anni, poi, le scienze mediche hanno dimostrato evidenze sempre più consistenti dell’influenza sulla salute di nutrizione e attività fisica, cercando di sensibilizzare il pubblico verso scelte alimentari equilibrate attraverso concetti come la famosa “piramide alimentare”, ideata nel 1992 dal Dipartimento statunitense dell’agricoltura e riproposta nel 2003 dal Ministero della salute nella sua versione italiana, costruita sugli alimenti tipici della nostra tradizione culinaria.
“Diverse caratteristiche del comportamento alimentare, come la frequenza, distribuzione temporale nell’arco delle ventiquattr’ore, dimensione e luogo dei pasti, denominati nel loro insieme ‘modelli alimentari’, appaiono capaci di influenzare la salute: mangiare più volte in minore quantità può sopprimere la fame e la concentrazione complessiva di insulina nel siero, diminuendo così la produzione di colesterolo e l’accumulo di grasso corporeo”, spiega Mara Bellati dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba) del Cnr.
Controllare la qualità e la quantità degli alimenti e le modalità di assunzione è certamente un atteggiamento corretto, perché finalizzato al benessere e alla prevenzione delle principali malattie cardiocircolatorie e dei disordini metabolici, spesso causati dall’obesità. Esistono, tuttavia, dei bias cognitivi che sembrano orientare i nostri comportamenti alimentari a prescindere dall’effettivo fondamento scientifico. “Pensiamo, per esempio, alla rappresentazione della magrezza contro l’obesità in ambito alimentare. Negli ultimi anni, attraverso pubblicità, promozione della salute pubblica, giornali e libri, si è diffusa l’idea che cibi particolarmente ricchi di grassi facciano male alla salute; in realtà i cibi grassi non fanno solo male, come pure alcuni cibi considerati buoni non lo sono totalmente, entrambi devono essere parte integrante della nostra dieta nelle giuste dosi”, continua la ricercatrice. Una prospettiva interessante sul tema è riportata nel libro “Dalla parte dei grassi” di Carla Ferreri del Cnr-Isof (Mind edizioni).
La paura dei grassi non è giustificata, dunque, se le proporzioni dei macronutrienti sono rispettate e se l’introito calorico è adeguato. Anzi, un consumo esagerato di cibi light spinge a comportamenti scorretti, come precisa Bellati: “Sembra che prodotti venduti come ‘dietetici’ – barrette, yogurt o cereali – incoraggino a fare meno esercizio fisico, nell’illusione di assumere una dieta ipocalorica. Lo conferma una ricerca pubblicata sul Journal of Marketing Research (Koenigstorfer, Baumgartner, 2016). L’associazione mentale tra grasso e nocivo è radicata in moltissime persone, e porta gli individui a sovrastimare anche del 35% la presenza di lipidi in alcuni cibi etichettati come grassi e a sottostimarla in quelli percepiti come sani”.
La demonizzazione di certi macronutrienti sembra influire addirittura sui giudizi morali. Alcune ricerche evidenziano come si tenda a giudicare le altre persone sulla base del loro consumo di cibo. “Chi mangia alimenti buoni, sani e dietetici verrebbe giudicato moralmente più integro rispetto a chi mangia cibi cattivi, che tradizionalmente sono più nocivi per la salute o fanno ingrassare. Come se gli individui assorbissero le caratteristiche di ciò che mangiano e il principio filosofico ‘siamo ciò che mangiamo’ diventasse legge”, chiarisce l’esperta. “Inoltre, è possibile ipotizzare che la condotta alimentare sia influenzata dal voler presentare un’immagine di sé positiva e dal voler evitare giudizi sociali negativi: ad esempio, si tende a mangiare di più quando si vede gli altri mangiare, poiché i livelli di inibizione si abbassano”.
La scelta può essere influenzata anche dal genere. Al di là degli specifici fabbisogni nutrizionali di maschi e femmine, non c’è un motivo scientifico alla base delle diverse preferenze alimentari nei due sessi. “In uno studio qualitativo americano, i ricercatori si sono interrogati sul legame tra preferenze alimentari e identità di genere, suggerendo come determinati alimenti possano avere valenze simboliche e metaforiche capaci di influenzarne il consumo”, conclude Bellati. “Nello specifico, gli autori hanno esplorato la possibile esistenza di un legame metaforico tra carne e mascolinità nelle culture occidentali. La carne rossa sembra essere associata dagli uomini a concetti legati a virilità e forza e per questo preferita rispetto a cibi percepiti come maggiormente ‘femminili’, come verdure e cereali. I risultati di questa ricerca sembrano essere in linea con studi antropologici che evidenziano come il cibarsi di parti di un animale equivalga ad assumerne le caratteristiche, in accordo con una prospettiva magico-animistica di concezione del mondo tipica degli antenati e di alcune comunità tribali ancora esistenti”.
Alessia Famengo [Almanacco della Scienza N. 20, 27 ottobre 2021]