Sunday, November 24, 2024

“Manfredo Massironi. Guardarsi guardare” in mostra a Padova

Inaugura il 4 novembre alle 18.00 negli spazi della Libreria Minerva a Padova, in via del Santo 79, la mostra “Manfredo Massironi. Guardarsi guardare” a cura di Nicola Galvan e Davide Saccuman, patrocinata dal Comune di Padova.
In esposizione una quarantina di oggetti visivi organizzati dai curatori in cinque sezioni dedicate a diverse “materie di lavoro” dell’artista: il vuoto, la trasparenza, le geometrie instabili, gli accadimenti immaginari, il movimento (reale e virtuale) dell’oggetto.
Si tratta di opere che spostano l’attenzione sull’attività da “solista” di Massironi (Padova 1937 – 2011), coprendo l’arco temporale precedente e successivo alla sua adesione al Gruppo N.
Dalle “Rondelle” ai “Quadrati ruotati”, dalle “Sottrazioni” alla “Doppia piegatura”. E anche l’opera del 1960 “Struttura con filo” nella quale all’interno una cornice un filo di cotone crea nel vuoto uno schema geometrico, così come le “Rotture di costanza”, strutture complesse che spiazzano le abitudini percettive, connotate dalla generazione multipla di figure geometriche che presentano un lato in comune.
La mostra si propone di raccontare la vicenda artistica di Manfredo Massironi, attivo per cinque decenni nel campo dell’arte programmata e cinetica. L’artista fu tra i fondatori del Gruppo N che, nella prima metà degli anni Sessanta, ha inserito Padova nella geografia del dibattito artistico internazionale.
La traccia concettuale del progetto espositivo è costituita dall’intervista rilasciata da Massironi a Nicola Galvan per il catalogo della mostra “La dinamica dell’oggetto visivo”, curata da Annamaria Sandonà e organizzata nel 2008 dal Comune di Padova (in allegato).
“Era il 2008 – racconta Galvan – quando Massironi mi accolse nel salotto di casa sua, in via Forcellini a Padova. Eravamo circondati dalle sue opere, appese alle pareti. Io, allora, ero giovane e piuttosto inesperto, eppure mi dedicò due ore del suo tempo. Una lunga intervista della quale ricordo l’acutezza, la pazienza, la gentilezza che caratterizzavano il suo modo di conversare”.
Dal 1960, fino alla prima decade del nuovo millennio, Massironi si è posto l’obiettivo di superare le categorie a cui sono per tradizione ricondotte le opere d’arte, che nel suo caso scaturiscono da una combinazione di pittura, scultura, design industriale. Ma anche quello di ridefinire lo statuto dello spettatore, ritenuto un soggetto attivo chiamato a completare mentalmente l’oggetto.
Pensati per sollecitare le facoltà percettive di chi li osserva, i lavori di Massironi fanno dell’atto del guardare materia di studio e riflessione, affinché lo spettatore stesso giunga a guardarsi guardare.
La propensione per la sfera del ludico, la ponderazione sull’eredità del costruttivismo e delle prime Avanguardie, la posizione critica assunta verso il sistema dell’arte, contribuiscono a disegnare il perimetro entro il quale si sono sviluppate le sue opere, la cui rilevanza storica è motivata tanto dalla loro qualità progettuale, quanto dall’apporto fornito all’indagine sulla relazione tra l’occhio e la mente: «lavori del capo», per citare una formula coniata dall’artista, capaci di rovesciarsi in “capolavori”.
“Era una persona in cui convergevano una grande cultura e una grande affabilità – chiude Galvan – non aveva l’atteggiamento del Maestro, al contrario. Ricordava inoltre con piacere il periodo del “Gruppo N”, quando le opere si creavano collettivamente, frutto della sperimentazione e delle intuizioni di più operatori. Quando si mettevano le idee in comune e l’opera riportava la firma di un gruppo di lavoro. Riteneva che quell’esperienza sarebbe potuta durare più a lungo, continuando a cogliere risultati espressivi nuovi e stimolanti”. (aise) 

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