Nella primavera del 1999, nel corso di una interessante conferenza dal tema “Il volto della persona nell’età del sogno” a Villa Albrizzi Franchetti di Preganziol (TV), conobbi Guillermo Yepes Boscán, a quel tempo Ministro della Cultura del Venezuela, in veste di Vice Segretario Generale dell’ Istituto Internazionale Jacques Maritain.
Professore allora della Facoltà di Lettere e Filosofia di Maracaibo, oltre a ricoprire altri incarichi accademici che qui non sto ad elencare, è uno scrittore, ma in particolare modo un poeta; di lui infatti mi “rapì” nel vero senso della parola, la sua poesia.
L’anno dopo la sua conoscenza, precisamente nel 2000, cercai sue notizie attraverso una serie di telefonate e contatti web. Lo “trovai” a Roma ed ebbi con lui un breve periodo di corrispondenza.
Proprio attraverso le lettere, ebbi occasione di leggere un suo poema: La vida provisional che raccoglie poesie degli anni 1970 / 1988 .
Il professore me lo aveva inviato in fotocopia per posta.
Il poema si muove tra due tematiche; da un lato verte sugli interrogativi esistenziali sulla finitezza della vita, dall’altro sulla considerazione della donna come risposta alla nostalgia, al dolore di ciò che non può più tornare.
In una lettera al Professore faccio riferimento a un suo dattiloscritto- consegnato l’anno precedente a Villa Franchetti- in cui erano tracciate le linee delle opere latino-americane, per “Imparare a leggere il buco della scrittura nella scrittura” e dico di avere sentito con vigore nei testi inviatimi una tensione, degli interrogativi forti.
Continuo dicendo che avvertivo nella ” ricerca “, negli interrogativi sottesi ed espliciti, il rispetto per l’Uomo, per le sue passioni, per il suo essere Individuo che anela ad uno stato di purezza, che vuole liberarsi dai “guasti” politici e sociali, dall’eccesso di orgoglio o di superbia. Eppure molto, in questo mondo, è totalmente immerso.
“Habiamos nacido para colmar la mañana de infinito/ O hacernos de infinito la mañana…”-
Ciò che poi mi colpiva nei testi era l’interrogativo sul senso della scrittura, come momento non meramente destinato alla consacrazione dell’artista, ma manifestazione dell’Io, delle sue profonde necessità di dar forma alle immagini, al ricordo, al processo di trasfigurazione della realtà , all’ansia di “farsi” con prepotenza, da larvale momento intuitivo, farsi fresca, chiara, parola, restitutrice di “adolescenza”.
Numerosi poi nei testi i rimandi ad altre “zone” di possibile interpretazione e alle metafore.
Una scrittura, quella di Boscan, avvolta dal mistero, rivelatrice graduale di sensi più nascosti.
Quasi il prodigio che è nelle Correspondances di Baudelaire (“La Nature est un temple ou de vivants piliers/ laissent parfois sortir de confuses paroles: – e- /L’ homme y passe a travers des forets de symboles/ qui l’observent avec de regards familiers..”)”.
L’ultima parte della lettera volgeva l’attenzione a un’analisi formale delle poesie da cui emergeva una costruzione delle frasi e una scelta lessicale particolarmente ricche di suggestione; “… Un linguaggio che, mentre dice, apre nuovi orizzonti e si fa portatore di novità e di messaggi”
È un linguaggio non semplice, ma affascinante ed inedito. A tal proposito sarebbe interessante leggere “De la alcoba inundata”.
Ai poeti non piace essere analizzati, sezionati, nelle loro opere, ma è pur sempre interessante cimentarsi ad “ascoltare” il canto dei poeti, quando questo risuona nella propria linfa trovando inaspettatamente sonorità e condivisione universali.