Le emissioni globali di metano fossile sono maggiori di quanto previsto finora. Mentre la quota delle emissioni naturali geologiche della crosta terrestre è esattamente quella stimata dall’INGV nel corso degli ultimi 15 anni. A confermare il ruolo importante dei fenomeni geologici nell’apporto di gas serra per l’atmosfera, uno studio firmato da INGV e National Oceanic and Atmospheric Administration, pubblicato su Nature.
Capire la dinamica dei cambiamenti climatici attraverso l’analisi delle emissioni globali del gas serra. È quanto si prefigge lo studio Upward revision of global fossil fuel methane emissions based on isotopic database, coordinato dal National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Roma.
La ricerca, pubblicata su Nature, dimostra che le emissioni di metano fossile (CH4), frutto sia delle emissioni prodotte dall’attività umana sia di quelle naturali geologiche della crosta terrestre, sono maggiori di quanto previsto finora nel budget globale dei gas-serra. In particolare, la quota di metano fossile proveniente dalla produzione e distribuzione del gas naturale e petrolio (antropica) è maggiore di quanto indicato negli inventari globali, mentre la quota delle emissioni naturali geologiche (emissioni relative al degassamento naturale della crosta terrestre) è esattamente quella stimata dall’INGV nel corso degli ultimi 15 anni.
“Il metano è il gas serra più importante dopo il vapore acqueo (H2O) e la CO2, e conoscere le sue emissioni globali è di fondamentale importanza per capire la dinamica dei cambiamenti climatici”, afferma Giuseppe Etiope, ricercatore dell’INGV e responsabile scientifico del Lavoro. “Le emissioni geologiche sono dovute a processi di degassamento, o esalazione naturale di gas dal terreno, lungo faglie e fratture della crosta terrestre che spesso danno luogo in superficie a manifestazioni gassose, note come seeps e vulcani di fango. L’emissione geologica rappresenta la seconda fonte naturale di metano per l’atmosfera dopo le terre umide (la grandi paludi e acquitrini delle zone tropicali e boreali)”.
Da tempo l’INGV aveva fornito stime globali dei flussi di metano da questi fenomeni naturali, pari a circa 60 milioni di tonnellate l’anno, sulla base di misure dirette sul terreno ed estrapolazioni dette di bottom-up. Tali stime erano state riportate anche nell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Pane on Climate Change (IPCC) del 2013. Attraverso tecniche inverse, dette di top-down, il nuovo studio del NOAA conferma i numeri forniti dall’INGV.
“La quota naturale delle emissioni di metano fossile, il seepage geologico studiato dall’INGV, che non dipende dall’attività umana, risulta essere considerevole e varia da un terzo a più della metà del valore di quelle antropogeniche”, prosegue Etiope.
Per le fonti antropogeniche, inoltre, lo studio suggerisce una diminuzione negli ultimi decenni delle emissioni dall’attività petrolifera. Capire le cause di questa diminuzione è di fondamentale importanza per definire le future strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici. Ma se il degassamento naturale di metano dalla crosta terrestre aumentasse in futuro, la mitigazione delle emissioni artificiali potrebbe non avere gli effetti desiderati. “Lo studio, conclude Etiope, conferma il ruolo importante dei fenomeni geologici nell’apporto di gas serra per l’atmosfera”.