Articolo di Marina Agostinacchio
Ultimamente si è tornato a parlare di Pompei a proposito di un ritrovamento nella zona Regio V; gli archeologi hanno rinvenuto, infatti, nuovi tesori tra cui un termopolio intatto.
Si tratta del Thermopolium con un bancone interamente dipinto (unico caso tra quelli ritrovati nella cittadina campana) e segni di avanzi di cibo dentro ad anfore di terracotta.
Chissà perché quando si parla di Pompei, si risveglia in noi un impulso a ripercorrere la vita dei cittadini che nel 79 d.C. furono sommersi da una pioggia di pomici, cenere e lapilli.
Tuttavia non si ha una data ancora certa relativamente al giorno e al mese; gli studiosi, infatti, affermano che l’eruzione avvenne dopo il 7-8 settembre e probabilmente tra il 24 ottobre e il 1° novembre del 79.
Giornali, documentari televisivi, mezzi di informazione diversi, divulgando l’ultima scoperta archeologica succitata, mi hanno riportato alla memoria due periodi della mia vita in cui visitai Pompei e Villa dei Misteri, villa risalente al II secolo a.C., ampliata ed abbellita nel tempo.
Prima di addentrarmi, però, nel cuore dell’argomento che vorrei condividere con il lettore, voglio dare qualche informazione storica sulla villa
Questa meravigliosa costruzione suburbana, di epoca romana, si trova appena fuori dalle mura nord della città di Pompei.
Denominata Villa Item, inizialmente era una villa d’otium, con sale e giardini pensili, sorgeva in una posizione panoramica, a pochi passi dal mare. Col terremoto del 62 d.C. cadde in abbandono, come tutta la città di Pompei.
Ricostruita, fu trasformata in villa rustica, ampliata di un’ala, adibita alla produzione e alla vendita del vino; essa era costituita di diversi ambienti ed attrezzi agricoli (ad esempio i torchi per la spremitura dell’uva). Non si conosce il nome del nuovo proprietario ma del custode che l’ha abitata durante l’età augustea: Lucio Istacidio Zosimo, (un liberto affrancato della nobile famiglia pompeiana degli Istacidi, che acquistò la villa con ogni probabilità dopo il terremoto del 62 d.C., a prezzo altamente ribassato, abitandola fino al 79, anno della catastrofica eruzione del Vesuvio.
Il suo nome è stato rinvenuto in un sigillo, trovato negli alloggi della servitù, creati attraverso la ristrutturazione della villa in età augustea.
Neppure si sa dei precedenti proprietari, i committenti della suggestiva decorazione parietale alla quale la Villa deve il nome. Esiste l’ipotesi che potrebbe appartenere alla gens Istacidia.
Gli anni 1909/1910 videro portare alla luce la villa attraverso lo scavo di Aurelio Item, proprietario dello stesso terreno in cui essa si trovava.
Tra il 1929 e il 1930, proseguirono i lavori di scavo della villa da parte dello Stato italiano, che nel frattempo ne aveva disposto l’esproprio. Nel 1931 l’archeologo Amedeo Maiuri rese pubbliche alcune tavole a colori che rappresentavano gli affreschi della superba residenza. Dal loro rinvenimento, la villa ha mutato il nome: da Item a villa dei Misteri.
Di questa abitazione rustico-residenziale che, come dicevo, visitai due volte, ho due ricordi, uno vago, appartenente ai miei anni preadolescenziali e uno intenso, ormai adulta, relativo alla fine degli anni ’90. Era esattamente l’estate del 1997. Mi immersi per due giorni in un viaggio fuori dal mio tempo, inoltrandomi per il sentiero della conoscenza filosofica, condotta da uno zio, studioso appassionato di Pompei, alla scoperta dei profondi significati della megalographia della sala, nel complesso ben conservata.
Sala del Grande Affresco
La tecnica pittorica usata per questo ambiente è ispirata alla pittura greca. Fui colpita dal lavoro dell’artista, anonimo, che aveva lavorato su tutte le pareti, dipingendo personaggi a grandezza naturale.
Rivivo con la meraviglia di allora, la sensazione inebriante da cui fui pervasa di fronte alla bellezza delle scene, pregne di significati simbolici, che si susseguivano, secondo un percorso tematico.
Che fosse la cosiddetta sindrome di Stendhal? Mi sono chiesta nel tempo. A darne conferma quei personaggi dipinti che parevano voler svelare i misteri in cui stavano per addentrarsi con le proprie vite, chiamando il visitatore attraverso il gesto, lo sguardo, lo sfondo rosso (simbolo della pittura pompeiana più colta) del colore su cui si stagliavano le loro storie .
Quei protagonisti, uomini, donne, dei, satiri, baccanti, personaggi alati, mi indicavano i riti di iniziazione per accedere, attraverso l’unione col dio Dioniso, alla Salvezza, all’Immortalità, alla Beatitudine.
Gli affreschi si snodano per una lunghezza di 17 metri e un’altezza di tre metri del triclinium, (sala da pranzo).
Vorrei ora fare entrare il lettore nell’incredibile atmosfera di una delle cerimonie sacre più misteriose del mondo antico, immaginando di essere la committente della pittura parietale, della sala del triclinio, risalente a un periodo compreso tra l’80 e il 60 a.C.
Salvezza, Immortalità, Beatitudine, scrivevo prima: questo l’attraversamento ascendente di chi aderiva ai misteri. Dioniso era l’unico dio che concedeva alle donne e agli schiavi di partecipare ai suoi riti, era il dio della forza vitale, del vino e del delirio mistico. “Meraviglia degli dei e meraviglia degli uomini”. Questo il senso al passo della tragedia Eracle, di Euripide, così empaticamente vicino alla fascinazione dei misteri, quando quest’ ultimo fa dire all’eroe protagonista di essere riuscito nell’avventura infernale per avere potuto vedere le orge degli iniziati.
Ma se vogliamo addentrarci nei riti soteriologici (che concernono la salvezza» )ed escatologici, (che riguarda il destino ultimo dell’uomo e dell’universo) dobbiamo svelare le origini di essi.
Alla prossima puntata!