Intervista di Tiziano Thomas Dossena
Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con vari blog e siti letterari. Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio interiore”.
L’Idea Magazine: Risaliamo un poco alle tue origini letterarie. Sei laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Il tuo primo libro è stato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005). Che cosa ti ha fatto scegliere di usare questo tipo di espressione linguistica non vincolata dalle regole metriche e ritmiche proprie della poesia?
Francesca Innocenzi: In realtà, mentre lavoravo ai testi che sarebbero poi confluiti in Il viaggio dello scorpione, il mio intento era scrivere racconti brevi. E, quando la raccolta è stata pubblicata, non ho esitato a definirli tali. Solo a posteriori, anni dopo, ho preferito la dicitura di prose liriche, riferendomi ad una tipologia di scrittura in cui il lirismo è preponderante rispetto alla narrazione.
L’Idea Magazine: Poi hai pubblicato anche sillogi di poesie quali Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012), e Non chiedere parola (2019). Ci sono state delle grandi evoluzioni a livello poetico in queste tue sillogi?
Francesca Innocenzi: Giocosamente il nulla è stata la mia silloge di esordio per la poesia. A rileggerla ora, salverei un paio di testi (tra cui quello che dà il titolo al libro), ma vi trovo più che altro un io giovanile ripiegato su sé stesso e privo di una maturità poetica. Cerimonia del commiato segna una transizione, vi è infatti una certa disomogeneità, a mio avviso, a livello di testi. Non chiedere parola contiene versi che, in linea di massima, mi convincono abbastanza; c’è anche una sezione di haiku, prima volta in cui ho provato a mettere in pratica questo genere di poesia.
L’Idea Magazine: L’ultima tua silloge poetica, Canto del vuoto cavo, è molto diversa dalle altre, con una impostazione molto originale, essendo una plaquette di 60 componimenti brevi, che adottano la metrica dello haiku e delle sue varianti; precisamente, 40 haiku doppi (6 versi) e 20 tanka (5 versi). Vorresti spiegare ai nostri lettori che cosa siano gli haiku e i tanka e che cosa ti ha portato a scegliere questo tipo di scrittura?
Francesca Innocenzi: Lo haiku è la poesia tradizionale giapponese, basata su regole piuttosto rigide, a partire dalla metrica; nei contenuti, gli elementi della natura sono in risalto. In Canto del vuoto cavo adotto la metrica dello haiku doppio, quindi due strofe da 5-7-5 sillabe, o quella delle sue varianti, come il tanka, che è un haiku ampliato da due ulteriori settenari. Per un certo periodo, la metrica dello haiku (doppio, soprattutto) ha costituito per me una sorta di contenitore rassicurante. Mi sembrava avesse un ritmo intrinseco che trovavo appagante. Oggi trovo fuorviante definire haiku questi componimenti, poiché dello haiku c’è, appunto, poco: lo schema metrico, come anche la tendenza ad evitare l’uso della prima persona. Ma, in tutto il resto, vi è assoluta libertà. E la natura resta sullo sfondo, ha un ruolo assolutamente secondario.
Riporto come esempi un doppio haiku e un tanka:
mordere l’aria
imparare dal tronco
cielo e radici
di terra è il corpo
labbra ciliegia, cosce
schiuma di miele
*
proietti ombra
sulla parete. gelo
d’estate sgorga
da quel muro, rapprende
l’invisibile accanto.
L’Idea Magazine: Sempre a proposito di Canto del vuoto cavo, ho notato che la punteggiatura non è quella classica. Per esempio, usi il punto, ma è seguito dalla lettera minuscola. Potresti spiegarmi il perché? Oltre a ciò, usi delle parole di altre lingue, alcune anche antiche. Qual è la ragione di tale scelta?
Francesca Innocenzi: La lettera minuscola dopo il punto è una scelta non inconsueta nella poesia contemporanea, che potrei aver assorbito inconsapevolmente. Per me può essere un modo per oltrepassare i dettami del dire ordinario, o forse, banalmente, per rispondere ad un’inclinazione estetica della grafia.
Riguardo le scelte linguistiche, una lingua è sempre una casa in cui abitare; in questo modo, cerco altri spazi, altri possibili luoghi di esistenza della parola. In particolare, il greco e il latino sono lingue che amo, soprattutto il greco. Ho scelto parole dotate di intensità sia a livello fonico che semantico, tanto da far risuonare una particolare armonia tra significante e significato.
L’Idea Magazine: Hai anche pubblicato la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007). Potresti parlarcene un po’?
Francesca Innocenzi: Quella fu la prima raccolta di racconti, nel senso sopra esposto. È stata anche l’ultima, almeno finora, in quanto mi sono resa conto di quanto l’arte della short story sia difficile e insidiosa. Comunque, da quei testi emergevano varie tematiche volte a mettere in luce le problematicità dell’esistenza umana: l’erotismo, la malattia, la morte. Il racconto che dà il titolo alla raccolta trae ispirazione da Aspettando Godot, una pièce da me molto amata.
L’Idea Magazine: Il tuo romanzo Sole di stagione, del 2018, di che cosa parla? Hai intenzione di scriverne altri o è stato solo una deviazione temporanea dalle tue attività poetiche?
Francesca Innocenzi: Sole di stagione è un romanzo breve in cui si narra una vicenda che ha come sfondo una città anonima e indifferenziata. Qui si incrociano i destini di tre coppie, tra la vanità di rapporti di facciata, erotismo e segreti inconfessabili. Al centro della storia, il giovane Claudio, la sua esistenza precaria e senza progetti, la sua totale indifferenza verso gli altri, la ricerca di una libertà che è il bene più prezioso e la più grande condanna.
Devo dire che mi piacerebbe dedicare maggior tempo ed energie alla narrativa. È in uscita in autunno un altro mio romanzo breve. Forse prima o poi ne scriverò uno più corposo, chissà.
L’Idea Magazine: Hai anche pubblicato un saggio letterario a titolo Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011). Un argomento più che interessante…
Francesca Innocenzi: Questo saggio è nato da una rielaborazione della mia tesi di dottorato in Poesia e cultura greca e latina in età tardoantica. L’analisi del daimon nell’opera del pensatore tardoantico Giamblico offre lo spunto per un viaggio nella demonologia antica: dal demone mediatore di stampo platonico all’equazione demone-anima e spirito custode, di matrice popolare e ripresa dal pitagorismo, fino al dualismo precristiano che canonizza le entità avverse. Le tre funzioni confluiscono nel pensiero di Giamblico, esponente del neoplatonismo, che al tramonto della paganità fa del daimon un’esemplificazione coerente e puntuale del suo innovativo sistema metafisico, in risposta ai cambiamenti epocali. Così le riflessioni demonologiche fungono da cartina tornasole rispetto alla storia e alla società. La filosofia rivela il suo debito nei confronti delle dottrine religioso-popolari, per un ripensamento delle interazioni esistenti fra la tradizione colta e la cosiddetta cultura “bassa”.
L’Idea Magazine: Tra le antologie da te curate ce ne sono ben due sui poeti Rom. Come sei arrivata a questo particolare gruppo di poeti?
Francesca Innocenzi: Il mio interesse verso il mondo Rom è nato molti anni fa. Un popolo spesso fuori dagli schemi, vittima di pregiudizi di ogni sorta, regolarmente ignorato se non quando si tratta di episodi di delinquenza e cronaca nera. Scoprire che i Rom hanno un bagaglio culturale, anche poetico, ci insegna che l’arte, la poesia, possono essere strumenti potenti per sradicare il pregiudizio.
L’Idea Magazine: Hai ideato il Premio letterario “Paesaggio interiore”. Che cosa ti ha stimolato a farlo? Questo premio ha degli scopi particolari?
Francesca Innocenzi: È un premio nato alla fine del 2019, giunto ora alla seconda edizione. La peculiarità di Paesaggio Interiore è che, oltre alle sezioni classiche, poesia, racconto ecc., comprende una sezione dedicata a saggi brevi sul mondo greco-romano. Quest’anno, per la prima volta, la cerimonia di premiazione si terrà in presenza, a Genga (An) ad inizio settembre; in questa occasione assegneremo due premi alla carriera, ad Annamaria Ferramosca per la poesia e a Paolo Fedeli per gli studi sul mondo antico.
L’Idea Magazine: Come poeta, quali sono le sensazioni che ti ispirano di più a scrivere?
Francesca Innocenzi: Per me l’ispirazione è una sorta di evento sismico che accade in un momento preciso, ma è come se scaturisse da una serie di moti tellurici, da un’energia che si è andata accumulando nel tempo. Tuttavia, nella poesia, nella scrittura, non tutto si esaurisce lì: è essenziale la revisione, il lavoro di limatura.
L’Idea Magazine: Stai lavorando a qualche nuova produzione letteraria al momento?
Francesca Innocenzi: Sto iniziando a lavorare ad una antologia di mie poesie scritte e pubblicate prima dei 40. Un piccolo libro che, oltre a contenere quanto risuona in me ancora oggi, dovrebbe avere una sua organicità interna.
L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesca Innocenzi: Viaggiare restando fedele al viaggio, coltivando la dedizione per il cammino, per l’itinerario, la scoperta. Il viaggio insegna a riappropriarsi del tempo, non tanto attraverso il relax, quanto nell’accorgersi dell’incanto che si cela al di qua della meta.
L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un qualsiasi personaggio a tua scelta, del passato o del presente, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesca Innocenzi: Non mi dispiacerebbe incontrare Giacomo Leopardi e discutere con lui sulla teoria del piacere e sull’idea di infinito.
L’Idea Magazine: Se tu potessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesca Innocenzi: Riservata, solitaria, tollerante.
L’Idea Magazine: Oltre alla poesia e all’insegnamento, hai altre passioni?
Francesca Innocenzi: Prima di tutto sono una instancabile lettrice. Nelle mie due case ci sono libri dappertutto, perfino sopra e sotto i letti. Poi, mi piace cucinare: se non mi riesce una poesia, pazienza, il vero dramma è quando una ricetta non dà i risultati attesi.
Ma la mia più grande passione è l’astrologia: non l’oroscopo, ma la disciplina che ci avvicina alla conoscenza di noi stessi. Già a tredici anni ho iniziato a tracciare i primi temi natali: allora non c’erano i programmi al pc, occorreva fare tutti i calcoli e disegnare con il compasso e goniometro. Molti anni dopo ho scoperto la corrente psicologico-umanistica, di base junghiana, introdotta in Italia da Lidia Fassio. Una analisi — autoanalisi, soprattutto — che mi accompagna in modo costante, che non abbandono mai.
L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesca Innocenzi: Coltivare la lettura, senza trascurare la poesia. E non smettere mai di cercare dentro e fuori se stessi.