Monday, November 25, 2024

L’acqua potabile ce la fornisce il mare

di Rita Bugliosi

Tra i metodi per ottenerla, uno dei più utilizzati è la dissalazione a membrana, una tecnologia molto usata perché consente di trattare acqua ad alta salinità con bassi consumi energetici. A illustrarci questa tecnica e gli ulteriori miglioramenti che a essa sta apportando l’Istituto per la tecnologia delle membrane del Cnr è Francesca Macedonio ricercatrice della struttura   

Aumento delle temperature, cambiamento climatico, ma anche dispersione e spreco delle risorse idriche per una scarsa manutenzione degli impianti sono le principali cause della siccità. Si tratta di  un problema che interessa già alcuni Paesi – in  particolare il Sud America, l’Asia e l’Africa –  ma che tra non molto potrebbe coinvolgerne molti altri se, come sostiene l’Organizzazione mondiale della sanità, entro il 2025 metà della popolazione mondiale vivrà in aree sottoposte a stress idrico. E la mancanza di acqua è una condizione che ha effetti negativi in diversi ambiti: dall’agricoltura all’allevamento, dalla biodiversità alla salute.

Oggi però è possibile contrastare questo problema con mezzi impensabili in passato. La continua diminuzione di disponibilità idrica abbinata a un sua richiesta in constante aumento hanno infatti portato a sviluppare tecnologie di risparmio alle quali si affianca la messa a punto di metodi di trattamento dell’acqua mediante sistemi in grado di consentirne il riutilizzo e di permettere la produzione anche di quella potabile da fonti idriche alternative, quali mari, oceani, acque reflue urbane e industriali. In effetti, secondo quanto riportato dall’International Desalination and Reuse Association (Idra) attualmente esistono circa 20.000 impianti di dissalazione che soddisfano il fabbisogno di acqua potabile di oltre 300 milioni di persone.

Per capire meglio in cosa consiste questa tecnica e qual è il metodo utilizzato abbiamo parlato con Francesca Macedonio, ricercatrice dell’Istituto per la tecnologia delle membrane (Itm) del Cnr: “Tra i vari processi di dissalazione disponibili, quello più usato è la dissalazione a membrana, in particolare l’osmosi inversa RO (Reverse Osmosis), impiegata da circa il 90% degli impianti. Il suo successo è da attribuire principalmente ai progressi tecnologici, che hanno consentito nel tempo a questo sistema di trattare acqua ad alta salinità, oltre a garantire il più elevato fattore di recupero, bassi consumi energetici e minor costo dell’acqua prodotta rispetto alle altre tecnologie di dissalazione. Basti pensare, per esempio, che mentre i primi impianti di dissalazione a RO consumavano oltre 16 kWh/m³, ora la maggior parte di essi ha un consumo tra i 3 e i 4 kWh/m3”.

Vediamo allora in cosa consiste la RO, chiarendo innanzitutto cosa si intende per membrana e per osmosi. “Una membrana può essere immaginata come una barriera sottile dotata della proprietà di poter essere attraversata in maniera selettiva da specie chimiche diverse, sotto l’azione di forze spingenti e in dipendenza delle caratteristiche del materiale della membrana stessa. L’osmosi invece è un processo fisico che interessa due liquidi (in questo caso l’acqua salata e l’acqua dolce), che hanno al loro interno concentrazioni di soluti (specie chimiche che si sciolgono in un solvente, formando con questo una soluzione) diverse – in questo caso i sali – e che vengono messi in contatto tra loro attraverso una membrana semipermeabile, che lascia passare l’acqua ma non i sali”, chiarisce l’esperta. “Quando questo accade, il liquido con minor concentrazione di soluti tende a muoversi spontaneamente verso il liquido con la maggiore concentrazione di soluti. L’acqua dolce si sposta quindi verso l’acqua salata, fino al raggiungimento di un equilibrio tra le due soluzioni. Nell’osmosi inversa accade il contrario: il solvente a maggior concentrazione di soluti, nel nostro caso l’acqua salata, viene spinto attraverso la membrana semipermeabile fino a raggiungere il solvente a minor concentrazione di soluti. Questo processo, che non è spontaneo, richiede energia per essere attuato.  Nella RO, quindi, l’acqua viene prelevata dal mare e subisce un primo trattamento che ne filtra le impurità più grossolane; quindi viene sottoposta a forti pressioni, utilizzando potenti pompe, e viene forzata attraverso una membrana semipermeabile che lascia passare solo l’acqua e funge da filtro per i sali in essa disciolti”.

Bicchiere d'acqua

Anche l’osmosi inversa ha però delle criticità. “Uno dei maggiori problemi della RO è lo sporcamento (fouling) della membrana, problema che non è possibile prevenire del tutto, ma che può essere ridotto e controllato attraverso un adeguato pretrattamento dell’acqua di mare prima di essere inviata all’unità di RO. La migliore soluzione anche in questo caso viene fornita dalle membrane. Infatti, negli ultimi decenni, sistemi di pretrattamento a membrana (come la microfiltrazione e l’ultrafiltrazione) sono sempre più utilizzati perché forniscono alla successiva unità di RO un’acqua da dissalare ‘meno problematica’ – per quanto riguarda lo sporcamento – rispetto all’acqua fornita dalle tecnologie tradizionali di pretrattamento. L’utilizzo del pretrattamento a membrana in quelli che vengono pertanto definiti ‘sistemi integrati a membrana’ è stato un fondamentale fattore che ha contribuito al successo e alla diffusione dell’osmosi inversa”, continua la ricercatrice.

Ma è possibile un ulteriore miglioramento degli impianti di dissalazione sfruttando il valore aggiunto delle salamoie, ossia dei concentrati scaricati dagli impianti di dissalazione, ricchi dei sali inizialmente disciolti nell’acqua di mare e trattenuti dalle membrane degli impianti stessi per ricavare acqua e sali. Ed è quanto ha fatto il Cnr-Itm con lo sviluppo delle tecniche di Distillazione a membrana (Membrane Distillation-MD) e di Cristallizzazione a membrana (Membrane Crystallizer-MCr) “Nella Distillazione a membrana il concentrato dell’osmosi inversa anziché essere smaltito viene posto a contatto con una membrana microporosa e idrofoba che respinge l’acqua. La natura idrofoba della membrana impedisce al liquido di penetrare all’interno dei pori attraverso i quali possono passare solo i componenti volatili”, spiega Macedonio. “Considerando che il concentrato della RO è costituito da acqua con ioni disciolti, l’unico componente volatile è, in genere, il vapore acqueo che passa attraverso la membrana e viene recuperato sotto forma di acqua liquida a elevato grado di purezza sull’altro lato della membrana (lato permeato). La MD presenta notevoli vantaggi rispetto alla distillazione convenzionale, innanzitutto perché il processo può essere condotto in maniera efficiente a temperature molto più basse rispetto a quelle di ebollizione (ovvero tra i 50 e i 70°C)”.

Ancora maggiori sono i benefici derivanti dal ricorso alla Cristallizzazione a membrana. “La MCr rappresenta un processo innovativo per il totale recupero dell’acqua dissalata in aggiunta all’ottenimento di cristalli di sale, utilizzati in ambito domestico, agricolo e industriale. Nella MCr, l’evaporazione dell’acqua consente infatti di concentrare la soluzione in alimentazione fino al raggiungimento della sovrasaturazione e, quindi, alla formazione dei cristalli. In particolare, utilizzando il processo integrato RO + MD e/o MCr è possibile trattare le correnti di salamoia degli attuali impianti di dissalazione fino a ottenere acqua e sali di elevata qualità e proprietà controllate, trasformando il tradizionale costo di smaltimento della salamoia in un nuovo mercato. Questi sistemi presentano molteplici vantaggi: miglioramento della sostenibilità del processo di dissalazione, riutilizzo efficiente delle materie prime e dell’acqua contenuti nelle salamoie e possibilità di utilizzare fonti energetiche alternative, quali ad esempio il solare, viste le basse temperature di esercizio richieste da tali tecnologie a membrana”, conclude la ricercatrice.

[Almanacco della Scienza N.4, aprile 2024]

redazione
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Tiziano Thomas Dossena, Leonardo Campanile, LindaAnn LoSchiavo, and Dominic Campanile

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