Recensione di Federico Scatamburlo [apparso su OperaAmorMio.wordpress.com]
Franco Faccio, chi era costui? Innanzi tutto, un direttore d’orchestra, giovanissimo, almeno paragonato ai giorni nostri, con una dirompente voglia di creare qualcosa d’avangarde per l’epoca, supportato dal suo coevo e amico librettista Arrigo Boito. Dall’impegno dei due nacque l’opera in titolo, Amleto.
Il Teatro Filarmonico di Verona quest’anno azzarda e stravince pienamente con la messa in scena dell’edizione critica di Antony Barrese che unì i pezzi delle due versioni scritte da Faccio. Uno spettacolo interessante e godibile quest’Amleto, che non veniva qui rappresentato da ben 152 anni. Chi è arrivato in Teatro con pregiudizi o perplessità si è sicuramente dovuto ricredere.
Di sicuro l’intento di stupire è riuscitissimo. Infatti, in questa opera troviamo connotati molto diversi da quelli cui siamo abituati e già in voga nel lontano diciannovesimo secolo, quando imperavano i capolavori di Verdi, Donizetti, Puccini. Niente pezzi “chiusi”, come per esempio aria, cabaletta, concertato, ma un ambizioso dipanarsi completamente libero e aperto di liriche canore quasi declamate e sonorità orchestrali imponenti legate tra loro da brevi ma suggestivi momenti intimistici.
Innegabile lo stile italiano dei duetti e recitativi, composti su un intreccio musicale che li lega tra loro. Alcuni passaggi sono legati all’influenza dello stile di Giuseppe Verdi, ma denotano carattere e personalità unici. Due ore e mezza nelle quali nulla si perde degli elementi sostanziali della trama, tutti i personaggi sono ben definiti in una narrazione coinvolgente e che non annoia mai.
La storia è nota, fedele alla tragedia di Shakespeare, ma, vista la lunghezza ingestibile per l’opera, diversi sono i tagli e i rimaneggiamenti. Le scene essenziali ci sono comunque tutte: il Re omicida che festeggia l’incoronazione, lo Spettro, l’incontro con Ofelia quando Amleto finge la pazzia (“Vai in un convento di suore”), l’accesa discussione con la madre, l’omicidio di Polonio per mano di Amleto, la scena della follia di Ofelia, il funerale e infine il duello con Laerte che terminerà con la tragedia finale.
Visto con i nostri occhi e ascoltato con le nostre orecchie riteniamo che sia stato un peccato che l’autore, dopo il successo della prima al Teatro Carlo Felice di Genova il 30 maggio 1865, si sia fatto prendere dallo sconforto ai fischi della rappresentazione alla Scala di Milano qualche anno dopo, e abbia letteralmente “congelato” l’opera e quello che avrebbe potuto scrivere in seguito, ritornando solamente a dirigere.
Già nell’ouverture i primi colori orchestrali suggeriscono una tavolozza di colori musicali che, volenti o nolenti, rapiscono e ipnotizzano. L’atmosfera di ogni scena è preparata dai violoncelli o da un assolo di corno inglese prima che inizi il canto, in alcuni momenti il valzer è orecchiabile e lontano dalla tragedia, in altri la musica è eterea, in altri ancora il flauto accompagna sottilmente il canto, il tutto ottimamente concertato dal Maestro Giuseppe Grazioli che dirige con precisione l’Orchestra della Fondazione Arena di Verona.
Vocalmente molto dura la prova, per tutti. Ma tutti danno il meglio sul palco, e sono in tanti.
Iniziando dal protagonista, Angelo Villari in Amleto, di sicuro la parte più difficile. Una tessitura molto spinta, nella quale deve spaziare in stati d’animo molto diversi tra loro: tristezza, allegria, follia, finzione nella finzione. Ma ci riesce benissimo, con squillo potente e mezze voci penetranti. Bellissimo il celebre monologo Essere o non essere, con ovazione da parte del pubblico al termine.
Damiano Salerno è un sovrano regale, con voce puntata e rotonda e dà il meglio di sé nella preghiera del Padre Nostro: anche lui molto applaudito in questa esecuzione. Non è da meno la Regina consorte, Marta Torbidoni. Un inizio appena appannato si trasforma subito in un’interpretazione precisa e convincente, con begli acuti e un fraseggio variegato che ha impreziosito l’interpretazione.
Abramo Rosalen si staglia drammaticamente nell’oscurità e la voce potente è esaltata da sinistri bagliori.
Gilda Fiume in Ofelia fa da contrasto alla veemenza e alla rabbia del protagonista: è capace di emozionare, giocando con la voce in colori sfumati e brillanti sfaccettature.
Ottima performance anche per tutti gli altri interpreti presenti sul palco: Alessandro Abis (Orazio), Francesco Leone (Polonio), Saverio Fiore (Laerte), Davide Procaccini (Marcello), Francesco Pittari (Re di Gonzaga), Enrico Zara (un Araldo), Nicolò Rigano (Luciano), Maurizio Pantò (un Sacerdote), Valentino Perera (primo Becchino), Marianna Mappa (la Regina).
Una recensione a parte con un approfondita analisi meriterebbero la regia di Paolo Valerio e le scenografie e projection design di Ezio Antonelli.
I tendaggi trasparenti, moderni e minimali, e le proiezioni digitali non fanno rimpiangere la quasi totale mancanza degli arredi in scena. La sporadica presenza di ampie superfici riflettenti i palchi del Teatro e la platea, insieme alle proiezioni nelle tele (a inizio e fine scena) degli spartiti con gli appunti a mano dell’autore, immergono ancora di più lo spettatore nella narrazione, e conferiscono al tutto una inusuale atmosfera. I costumi di Silvia Bonetti, che piacciano o no, sono ben realizzati e identificano perfettamente ogni personaggio. Ma tutto questo non basta se non ci fossero le luci di Claudio Schmid, ad esaltare ogni scena e ogni particolare momento.
La scena più complessa, e sicuramente più riuscita, il funerale di Ofelia: grazie a una piattaforma rotante e lo studiato movimento corporeo degli ottimi artisti del Coro della Fondazione Arena di Verona, diretto da Roberto Gabbiani, la simulazione della processione è veramente efficace e degno contorno di uno dei momenti lirici più belli dell’opera.
Il pubblico entusiasta ha applaudito a lungo questo gioiello così poco conosciuto.
Questo nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona è, come citato in locandina, la prima esecuzione italiana in tempi moderni. Ci auguriamo vivamente che ce ne siano molte altre, e che non ritrovi nuovamente l’oblio, perché merita degnamente di inserirsi nelle tante opere di repertorio che ben conosciamo.
La recensione si riferisce alla recita di domenica 22 ottobre 2023
photo©Ennevi
GALLERIA
Amleto
Tragedia lirica in quattro atti di Franco Faccio
Libretto di Arrigo Boito
Prima esecuzione italiana in tempi moderni
Direttore Giuseppe Grazioli
Regia Paolo Valerio
Scene e projection design Ezio Antonelli
Costumi Silvia Bonetti
Luci Claudio Schmid
Responsabile dei movimenti mimici Daniela Schiavone
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Direttore
Giuseppe Grazioli
Regia
Paolo Valerio
Scene e projection design
Ezio Antonelli
Costumi
Silvia Bonetti
Luci
Claudio Schmid
Responsabile dei movimenti mimici
Daniela Schiavone
Amleto
Angelo Villari
22, 29 ottobre
Samuele Simoncini
25, 27 ottobre
Claudio
Damiano Salerno
22, 25, 27, 29 ottobre
Polonio
Francesco Leone
22, 25, 27, 29 ottobre
Orazio
Alessandro Abis
22, 25, 27, 29 ottobre
Marcello
Davide Procaccini
22, 25, 27, 29 ottobre
Laerte
Saverio Fiore
22, 25, 27, 29 ottobre
Ofelia
Gilda Fiume
22, 25 ottobre
Eleonora Bellocci
27, 29 ottobre
Geltrude
Marta Torbidoni
22, 25, 27, 29 ottobre
Lo Spettro
Abramo Rosalen
22, 25, 27, 29 ottobre
Un Araldo
Enrico Zara
22, 25, 27, 29 ottobre
Il Re di Gonzaga
Francesco Pittari
22, 25, 27, 29 ottobre
La Regina
Marianna Mappa
22, 25, 27, 29 ottobre
Luciano
Nicolò Rigano
22, 25, 27, 29 ottobre
Un Sacerdote
Maurizio Pantò
22, 25, 27, 29 ottobre
Primo Becchino
Valentino Perera
22, 25, 27, 29 ottobre