Di Patrizia Di Franco
Il fenomeno dell’underrepresentation femminile nei ruoli apicali è stato definito con l’espressione “glass-ceiling”, la metafora del cosiddetto “soffitto di cristallo”. La simbologia del tetto di vetro rivela per l’appunto la sottorappresentazione delle donne ai vertici, le disuguaglianze, le discriminazioni e le barriere che ostacolano o bloccano la crescita professionale delle lavoratrici, e, di conseguenza, anche l’empowerment femminile e il raggiungimento della parità dei diritti. Proprio per rimarcare l’importanza delle lotte per i diritti delle donne e la legittima emancipazione, e conseguire il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, l’8 marzo di ogni anno si celebra la Giornata internazionale dei diritti delle donne.
Ricorrenza internazionale, celebrata negli Usa già dal 1909, il 28 febbraio, prima e ufficiale giornata della donna, the “Woman’s day” (il mese di marzo negli Stati Uniti è noto come “Women’s History Month”), e festeggiata in Italia nel 1922, per iniziativa del Partito Comunista d’Italia. Non è corretto chiamarla Festa della Donna, perché non è il suo nome ufficiale, e perché è una celebrazione dei diritti fondamentali di tutte le donne, di tutte le conquiste raggiunte in ambito economico, sociale, politico, ma anche una forma di protesta pacifica per mezzo di cortei e manifestazioni, eventi, per rivendicare diritti fondamentali e porre il focus costante sugli stereotipi, sulla violenza di genere, sulle disuguaglianze. Non è riconducibile la nascita della Giornata internazionale della donna a un falso storico, ossia l’incendio in una fabbrica di camicie a New York, l’8 marzo 1908. Un reale incendio si verificò il 25 marzo 1911, a New York, nella fabbrica Triangle, causando la morte di 123 donne immigrate italiane ed ebree, e di 23 uomini, ma non fu questo tragico avvenimento a determinare la genesi della giornata internazionale. In Italia, nel 1945, l’8 marzo assunse la rilevanza che meritava, grazie all’UDI (Unione Donne in Italia) e ai festeggiamenti nelle zone liberate dal fascismo.
La giornata internazionale fu riconosciuta ufficialmente e istituita nel 1977, dall’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite). Ogni anno è proposto un argomento, per il 2025 il tema selezionato è: “Per tutte le donne e le ragazze: diritti. Uguaglianza. Empowerment”. Per celebrare con rispetto e massima considerazione la Giornata internazionale dei diritti delle donne, all’insegna della cultura e dell’arte, è gratuito l’ingresso ai musei, tra cui il Museo Egizio di Torino e i Musei civici di Roma, e pure l’accesso a parchi archeologici (come quello di Pompei in Campania, ed Egnazia in Puglia), castelli, pinacoteche, ville (ad esempio Villa d’Este, Villa Adriana sito archeologico a Tivoli).

Fortemente voluto e consentito l’ingresso gratuito al Castello Svevo di Bari, da parte dell’architetto e direttrice Alessandra Mongelli, per omaggiare nell’importantissima giornata dell’8 marzo sia le visitatrici che due donne, rilevanti figure storiche, a cui è stata dedicata la visita guidata a opera del valente cicerone Luigi Piazzolla, assistente per la promozione e gestione dei servizi culturali ed educazione al patrimonio. Un gradito cadeau, un’opportunità da cogliere al volo per visionare o rivisitare il magnifico Castello Svevo di Bari, e conoscere o riscoprire sotto un’altra luce Isabella d’Aragona e sua figlia Bona Sforza, sovrane geniali e di eccelsa cultura, che tra il Quattrocento e la splendida epoca del Rinascimento resero grandiosa Bari e trasformarono il Castello in un’efficiente fortezza e raffinata dimora principesca. Isabella d’Aragona Sforza, duchessa di Bari dal 1501 al 1524, figlia di Alfonso II d’Aragona, e di Ippolita Maria Sforza di Milano, nacque a Napoli nel 1470, e ricevette un’educazione di rilievo da parte di illustri umanisti.

Sposò, nel 1489, Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e dovette combattere estenuanti lotte per gran parte della sua vita, dapprima con suo marito e poi con Ludovico “il Moro”, già duca di Bari dal 1479, zio di Gian Galeazzo Maria Sforza (e ritenuto da vari storici l’assassino di suo nipote). Fiera e determinata come suo padre, amante della cultura, dell’arte, della poesia, come la madre, Isabella fu una donna resiliente e brillante, e una reggente autorevole (autoritaria e dispotica per i suoi detrattori), energica e illuminata. Diede lustro e splendore al Ducato di Bari.

Numerose opere pubbliche realizzate, riedificazioni (il Fortino), ristrutturazioni (il palazzo della Dogana in Piazza Mercantile, e la Chiesa oggi di Sant’Anna in strada Palazzo di Città, dedicata, come da iscrizione, “Divo Ambrosio Mediolanenses”, al santo patrono di Milano), rifacimenti (il Molo Sant’Antonio), e la trasformazione del maniero, imponente fortezza del XII secolo (attribuita al re normanno Ruggero II), in un Castello magnifico. Tutela dei commerci, protezione della città di Bari dagli attacchi nemici soprattutto da parte dei turchi (il mare all’epoca lambiva il castello che era quindi facile obiettivo nel mirino degli assalitori), sviluppo e divulgazione dell’arte e della cultura, tutto ciò e molto altro ancora si deve a Isabella d’Aragona che giunse nel capoluogo pugliese, con la figlia Bona Sforza, nel 1501. Isabella, duchessa sovrana di Bari (con Palo e Modugno), seppe effettuare, con notevole intelligenza e impegno costante, con abilità e ingegno, radicali e considerevoli cambiamenti, a cominciare proprio dal Castello Svevo. Ciò che era un sito militare e dall’austera parvenza divenne, grazie a Isabella, una bellissima dimora signorile rinascimentale.

La scalinata centrale del maniero fu ricreata con la realizzazione di una scenografica e raffinata doppia rampa di scale che collega il pian terreno ai saloni immensi del piano nobile, a destra con gradini di spessore e altezza maggiore, per i cavalli, e alla sinistra con la scalinata dedicata alla Corte.

La sala Sveva prese il posto delle stalle e scuderie. Meravigliosi giardini fioriti abbellirono il Castello che fu dotato anche di un pozzo centrale.

L’immensa dimora, provvista di anguste celle, fu illuminata dalla luce naturale del sole attraverso la realizzazione di finestre bifore.

La struttura in toto fu adeguata allo sviluppo dell’artiglieria pesante attraverso la maestosa cinta muraria bastionata tutta intorno al nucleo normanno svevo. Magnificenza, bellezza, eleganza, ma anche efficienza e sicurezza, questo fu lo spettacolare risultato del progetto e della trasformazione voluta dalla duchessa. Incarnazione del buon governo e dell’Etica della politica, Isabella professava ed esigeva il rispetto della legalità, pose un freno dunque agli illeciti amministrativi. Governatrice, più che per profitto e interesse personale, a beneficio, favore e protezione del popolo per cui attuò importanti iniziative: fece sorvegliare i pubblici ufficiali in modo tale che non potessero in alcun modo commettere soprusi (e abusi di potere) sulla popolazione, attuò sgravi dai dazi per i contadini del Ducato, esentò gli stessi dal pagamento dei dazi sulla macinazione delle olive, inoltre si adoperò affinché i cittadini potessero ricevere gratuitamente il sale dalle regie saline.

Acculturata e amante delle Belle arti e degli studi, fece istituire il pubblico insegnamento con una delibera che prevedeva anche “benefits”, quali aumenti di stipendio, gratuiti alloggi, e perfino un servitore per ciascun precettore pubblico, favorì la pubblica istruzione e ottenne che ogni convento disponesse di due frati docenti con il compito per l’appunto di fornire insegnamento e istruzione agli abitanti di Bari. Da madre amorevole, premurosa, e nel contempo pragmatica, non solo iniziò la figlia all’arte del governo, ma le scelse pure un ottimo partito per un matrimonio all’altezza di Bona e degno del rango. Il 6 dicembre 1518, con tutti gli onori della Corte, nel Castel Capuano di Napoli, alla presenza della poetessa e cugina Vittoria Colonna, Bona Sforza sposò per procura il 51enne vedovo Sigismondo I di Polonia. Il 18 aprile 1519, nella cattedrale polacca di Wawel, furono celebrate le nozze con Sigismondo, e l’incoronazione. Festeggiamenti sfarzosi, cibo pregiato e in abbondanza, balli, canti, e di lunga durata, ben otto giorni. L’evento naturalmente ebbe un’eco grandissima in tutta l’Europa.

Con il matrimonio della figlia, Isabella d’Aragona duchessa di Bari chiuse il cerchio, completò un ciclo e un’escalation eccezionali: aveva rivoluzionato la sua vita dopo la morte del marito, da sola, e successivamente con sua figlia aveva rivoluzionato la città di Bari e la cultura dell’epoca, ed infine con le nozze di sua figlia aveva assicurato un trono alla sua discendenza. Non per caso quindi fu anche musa ispiratrice del geniale Leonardo da Vinci. Antonietta Pignatelli Palladino, giornalista e studiosa di Leonardo, ha disaminato un prezioso documento inedito, custodito nella New York Public Library: l’immagine stampata del volto della duchessa. Digitalmente a una copia di questa stampa è stata sovrapposta quella della Monna Lisa. Sulla base di vari studi e ricerche, pare proprio che non sia stato il viso di Lisa Gherardini bensì il volto di Isabella D’Aragona Sforza a ispirare Leonardo da Vinci nella creazione del suo celeberrimo capolavoro, La Gioconda, o Monna Lisa (nel mondo anglosassone). Il coraggio e la resilienza, l’amor proprio e la fiera dignità di Isabella le permisero di sopravvivere a un matrimonio infelice e una sofferta vita di coppia (una cosiddetta relazione tossica), di fronteggiare Ludovico il Moro, di affrontare e superare da sola la vedovanza, il lutto del consorte, la morte dei figli Francesco e Ippolita. Seppe governare Bari, rilanciare l’immagine del Ducato e della città, giacché la rese ammirata, rinomata e importante, e dare vita, nel rinnovato Castello Svevo, a uno straordinario cenacolo culturale con poeti, letterati, musicisti, artisti, di qualità, che operavano e vivevano tra Napoli e Bari.

E proprio a uno di loro, Parthenopeo Suavio, pseudonimo di Nicola Antonio Carmignano, un gentiluomo napoletano a servizio di Isabella e di Bona, di cui fu tesoriere generale per il Ducato di Bari dal 1535 al 1543, si deve il primo libro stampato a Bari, il 15 ottobre 1535, e conservato in archivio nel Museo Civico di Bari. A seguito della morte di Isabella, avvenuta a Napoli nel 1524, la successione al trono spettò a sua figlia Bona Sforza, educata secondo i canoni dell’epoca, grazie ai migliori precettori. Colta, amante della lettura e della scrittura, aveva studiato oltre alla letteratura latina con particolare predilezione per Cicerone, letteratura italiana, musica. Inoltre, conosceva a memoria Petrarca, amava la poesia, e, come sua madre, soleva circondarsi di personalità di spicco del Rinascimento, letterati, artisti, scrittori, e uomini di cultura che divennero suoi ministri. Bona suonava il monocordo, praticava equitazione e l’arte della danza. Bari e la Polonia vissero un lungo periodo di splendore durante il suo regno, e per tale ragione i polacchi sono da sempre legati con affetto alla città di Bari, proprio grazie alla memoria e all’operato di Bona Sforza. Una governance “moderna” e innovativa la sua, in tutti i settori, amministrazione, giustizia, e con l’introduzione di un sistema fiscale basato sui proventi delle cause civili, penali, commerciali. Fedele ai valori, ai principi, e al modello politico di sua madre, ne seguì le orme. La priorità fu sempre quella di incrementare il benessere economico di Bari, realizzare opere pubbliche importanti, promuovere e ottimizzare ciò che oggi è denominato welfare, con un’attenzione particolare verso poveri e bisognosi. Un’altra rivoluzionaria opera a favore della popolazione, spesso in sofferenza a causa della siccità, fu la costruzione di pozzi.

A Modugno fece realizzare un pozzo profondo 60 metri, lungo la via che conduceva a Carbonara. Oltre a due cisterne già presenti in città, altre due furono create, una vicino la chiesa di San Domenico, e l’altra alle spalle della Cattedrale. Un’epigrafe sul pozzo, attivo fino alla metà del XX secolo, ha consegnato ai posteri la memoria storica di quel beau geste: “Venite, o poveri, con letizia bevete senza spese l’acqua che fornì Bona regina di Polonia”. In Polonia la sua vita subì una trasformazione radicale, studiò e imparò il polacco, e, molto stimata da suo marito, re Sigismondo, lo coadiuvò con abilità e decisiva influenza, al punto tale da divenire l’ispiratrice di rilevanti riforme di politica interna ed estera. Photo

Governatrice competente, preparata e di grande esperienza, operò nel Ducato di Milano, Regno di Napoli, Regno di Polonia, Granducato di Lituania, Ducato di Bari. Non divenne, come ambiva, viceregina di Napoli, e, profondamente delusa sia dalla famiglia che dalla politica, scelse di andare via dalla Polonia e tornare in Italia. Scomparve il 19 novembre 1557, appena un anno dopo il suo ritorno a Bari. Le sue spoglie sono serbate in un mausoleo realizzato ad hoc nell’altare della Basilica di San Nicola e rappresentano per i visitatori una delle maggiori attrazioni del sacro loco. Il suo ruolo di donna e politica del Rinascimento italiano in Europa, la sua figura umana di “filantropa”, il suo talento quale divulgatrice delle arti, della cultura, le hanno fatto guadagnare una posizione di prestigio e di riguardo nella storia.

Isabella e Bona, donne libere, rivoluzionarie, indomite, evolute, indipendenti, colte, femministe emancipazioniste ante litteram. Due donne di potenza contro lo strapotere maschile dell’epoca. che non solo hanno sfondato il soffitto di cristallo ma hanno altresì regalato un’eredità preziosa, mostrando al mondo il proprio valore e, per l’appunto, la potenza della resilienza.