In esposizione modelli di imbarcazioni di vario tipo e grandezza.
Oltre i luoghi comuni hobbistici della produzione serializzata e plastificata, la storia del modellismo navale statico può considerarsi, a ragione, espressione non solo dell’ingegno del singolo, ma anche della millenaria cultura, ideale e materiale dell’uomo. Dalle navi solari egizie ritrovate nei corredi funerari dei faraoni – un giallo esoterico archeologico che dura da circa 3.500 anni –agli ex voto nelle chiese e nei santuari litoranei dell’Europa cristiana– l’altrettanto misterioso Mataro spagnolo, veliero con tanto di equipaggio databile intorno al 1450 d.C. – nella complessa e variegata dialettica degli artefici e dei committenti, le navi in scala hanno navigato abilmente le molteplici rotte dei contesti d’uso, spesso fornendo informazioni preziose non solo agli studiosi, ma anche ai coevi tecnici e stati maggiori.
Soprattutto a partire dal cinque-seicento, infatti, con l’intensificarsi del commercio marittimo europeo su scala interoceanica, i velieri in scala hanno rappresentato un utilissimo strumento di modellizzazione tridimensionale a beneficio dei maestri d’ascia negli operosi cantieri d’Europa, dove la progettazione ingegneristica non era ancora considerata indispensabile. Non a caso, un secolo più tardi, Henri-Louis Duhamel du Monceau donerà a Luigi XV una splendida collezione di velieri da esporre al Louvre a beneficio degli studenti d’ingegneria navale, costituendo il primo nucleo del celebre Musée National de la Marine di Parigi.
Un modello in scala, oltretutto, non era solo utile in campo ingegneristico, ma anche commerciale: Samuel Pepys, alto funzionario della marina britannica ai tempi di Carlo II, con la sua politica d’armatore riassumibile con il vecchio adagio “show and tell and hope to sell” ha creato un genere, l’Admiralty Model, che si distingue per accuratezza della riproduzione e qualità dei materiali. Precisione e dettaglio contraddistinguono anche le riproduzioni realizzate dai prigionieri dei conflitti napoleonici, soprattutto francesi e inglesi, tra le mura umide e malsane delle carceri dei due schieramenti, con scarsa illuminazione e grande capacità di memoria.L’industria moderna riconduce al ritmo produttivo del ciclo del consumo dei beni di massa proprio quest’ aspetto privato ed intimistico del modellismo navale in scala – tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento – proponendolo come strenna per grandi e piccini, un’avventura di pazienza e precisione in una scatola di montaggio.
Nella serata d’inaugurazione della mostra, dai tempi molto stringati dettati dall’avvio imprevisto di un’altra manifestazione nel medesimo contenitore culturale (inizialmente programmata altrove), appare subito chiaro che l’iniziativa promossa dal vulcanico Vincenzo D’Acquaviva – avvocato, giornalista e saggista – si tiene ben distante dal feticismo collezionistico e dalla curiosità distratta legate alla natura oggettuale dei manufatti esposti, ponendo in primo piano la vita dell’artefice – trascorsa prima sulle barche a remi come pescatore e, poi, per le navi come ex marinaio e artigiano a riposo – sullo sfondo della storia della comunità di Mola, che è anche storia della sua marineria, in senso materiale e linguistico.
Ed ecco, nel racconto del sig. Rocco Agnello – marittimo in pensione – che ogni pezzo trova la sua collocazione affettuosa: dal primo modello, la Madonna S.S. di Loreto, una grande petroliera realizzata in sei mesi allo scopo di farne dono di natale al figlio, alla piccola barca a vela e remi che per dieci anni lo ha condotto ogni due mesi a Campo Marino con le altre sei persone dell’equipaggio, al S. Stefano, la prima barca a motore armata sul porto di Mola, nell’ultimo scorcio degli anni ’20, unica ad essere stata riprodotta attraverso la mediazione di una foto d’epoca.
Tutti gli altri modelli da collezione – paranze, velieri, galeoni, yacht, motopescherecci, perfino il Luna Rossa Challenge – completi di ogni più piccolo particolare, sono stati realizzati sorprendentemente senza alcuna fonte iconografica o documentaria che non sia quella del ricordo personale, con l’impiego esclusivo di materiali riciclati e riciclabili di provenienza eterogenea (stuzzicadenti, catene di biciclette….). Ogni manufatto è corredato di una breve scheda storico-linguistica a cura di D’Acquaviva, che contribuisce a contestualizzare uso ed estremi cronologici di riferimento.
L’amministrazione comunale, rappresentata dagli assessori Carbonara e Pellegrino e dal dott. Caccuri, ha rimarcato la rilevanza dell’iniziativa, indicando un possibile sviluppo di natura laboratorista che salvaguardi il cospicuo patrimonio di conoscenze tecnico-operative del sig. Agnello accanto alla valorizzazione delle sue opere.